RUBRICA AGGIORNAMENTO GIURISPRUDENZIALE n. 7/2023
Nel nuovo Codice Appalti: più “peso” alla validazione, la verifica vale anche come via libera anti-sismico.
Le novità del nuovo Codice Appalti in tema di progettazione non si esauriscono nella riduzione degli step progettuali, nei contenuti degli elaborati o nei riferimenti ai corrispettivi. Novità rilevanti vengono adottate anche sotto i profili degli strumenti digitali e di validazione.
Una delle novità più significative, in tema di progettazione, è l'introduzione di metodi e strumenti di gestione informativa digitale delle costruzioni, la cui disciplina è contenuta all'art. 43 del d.lgs. n. 36/2023. Tale disciplina prevede due diversi periodi temporali in relazione all'utilizzo di metodi e strumenti, secondo le indicazioni contenute ai co. 1 e 2. Così, dalla data di efficacia del d.lgs. n. 36/2023, fino al 31 dicembre 2024, l'adozione di tali strumenti ha carattere facoltativo, nel senso che le stazioni appaltanti ne possono prevedere l'utilizzo dandone evidenza nella documentazione di gara, collegando tale utilizzo da parte dei concorrenti all'attribuzione di un punteggio premiale della relativa offerta.
È stabilito, tuttavia, che tale facoltà può essere esercitata dalle stazioni appaltanti a condizione che queste ultime si siano già dotate delle misure indicate nell'Allegato I.9, finalizzate ad assicurare la formazione del personale e il corretto funzionamento delle dotazioni informatiche.
Il secondo periodo temporale decorre, invece, dal 1° luglio 2025. A partire da tale data il ricorso ai metodi e strumenti di gestione informatica diverrà un obbligo. Per il corretto adempimento di tale onere, le stazioni appaltanti dovranno porre in essere tutte le misure organizzative indicate all'Allegato I.9 e, conseguentemente, i concorrenti alle gare di progettazione dovranno attrezzarsi per operare con gli strumenti di informativa digitale richiesti.
L'introduzione delle misure e strumenti indicati non riguarda tutti gli interventi, essendo espressamente previste delle eccezioni.
In primo luogo, vi è un limite di valore: la disciplina indicata si applica esclusivamente alle opere di nuova costruzione e agli interventi su costruzioni esistenti di importo a base di gara superiore a 1 milione di euro.
La seconda eccezione è, invece, di tipo qualitativo: metodi e strumenti di gestione digitale non trovano spazio per gli interventi di ordinaria e straordinaria manutenzione, a meno che gli stessi non riguardino opere che già in precedenza erano state eseguite con l'uso di tali metodi e strumenti.
Si deve ritenere che queste esclusioni non operino in via derogatoria, ma costituiscano parte integrante della disciplina complessiva. Ciò, significa che le stazioni appaltanti non potranno richiedere obbligatoriamente l'utilizzo di strumenti e misure digitali per gli interventi indicati, neanche collegando questa previsione con l'attribuzione di un punteggio premiale (come stabilito in relazione al primo periodo di efficacia della nuova disciplina).
Il legislatore ha, evidentemente, ritenuto che per interventi di importo minore o comunque di complessità ridotta non fosse necessario, né opportuno, obbligare i progettisti all'adozione dei suddetti strumenti che, comunque, impongono un significativo sforzo organizzativo e gestionale.
L'art. 43, inoltre, offre un'indicazione di carattere generale delle caratteristiche che devono avere le misure e gli strumenti di gestione informativa digitale, il cui dettaglio viene riservato all'Allegato I.9. Tali indicazioni sono essenzialmente riconducibili a due ordini di ragioni:
- la necessità di evitare che l'utilizzo delle misure e strumenti possa avere carattere discriminatorio, limitando la concorrenza;
- l'esigenza che il ricorso alle stesse, da parte delle stazioni appaltanti, sia accompagnato da adeguate soluzioni organizzative e gestionali, che ne consentano un utilizzo adeguato ed efficace.
L'art. 42, invece, introduce alcune significative novità, rispetto all'art. 26 del d.lgs. n. 50/2016, nella disciplina dell'attività di verifica della progettazione, che trova il suo momento finale nella validazione della stessa.
L'art. 42 va letto in stretto coordinamento con l'Allegato I.7, che ne completa la disciplina con alcune prescrizioni di assoluto rilievo. La finalità della verifica è quella di accertare la piena rispondenza dei contenuti del progetto alle esigenze espresse nel documento di indirizzo di cui all'articolo 3 dell'Allegato I.7, nonché, più in generale, la conformità dello stesso alla normativa vigente. Il co. 1 stabilisce che la verifica avvenga in corso di progettazione e in relazione allo specifico livello previsto per l'appalto.
Inoltre, nel caso di appalto integrato e di Ppp, la verifica è duplice: avviene, cioè, prima sul progetto di fattibilità tecnico-economica – dovendo essere completata prima dell'avvio della relativa procedura di affidamento – e, successivamente, sul progetto esecutivo redatto dall'aggiudicatario, da completare prima dell'inizio dei lavori.
Nell'ipotesi ordinaria, cioè di progetto esecutivo da porre a base di gara, la verifica deve essere completata prima dell'avvio della stessa.
La verifica è affidata a soggetti qualificati, i cui requisiti, in base al rinvio contenuto al co. 5, sono definiti nell'Allegato I.7. Nello specifico, l'art. 34 di tale Allegato definisce i requisiti in relazione alle fasce di importo dei lavori, stabilendo che i soggetti abilitati ad effettuare la verifica sono:
- per i lavori di importo pari o superiore a 20 milioni di euro - ma nel caso di appalto integrato l'importo coincide con la soglia comunitaria – gli organismi di controllo accreditati ai sensi della normativa europea;
- per i lavori ricompresi tra la soglia comunitaria e 20 milioni di euro, dagli organismi accreditati di cui sopra e dalle società di ingegneria, società di professionisti e gli altri soggetti che possono prestare servizi di ingegneria come elencati all'art. 66 del d.lgs. n. 36/2023;
- per i lavori ricompresi tra 1 milione di euro e la soglia comunitaria, dagli uffici tecnici delle stazioni appaltanti se il progetto è stato redatto da professionisti esterni o, se è stato redatto da progettisti interni, se le stazioni appaltanti dispongano di un sistema interno di controllo di qualità;
- per i lavori di importo inferiore a 1 milione di euro, dal responsabile di progetto, che si può eventualmente avvalere di strutture di supporto o di professionisti esterni.
Gli specifici requisiti che devono essere posseduti dai soggetti esterni, chiamati a svolgere l'attività di verifica, sono definiti dall'art. 38 dell’Allegato I.7 e si sostanziano nel fatturato globale dell'ultimo quinquennio e nei servizi di verifica svolti sempre nell'ultimo quinquennio. Anche se la formulazione della disposizione lascia qualche margine di dubbio, sembra doversi ritenere che l'individuazione sopra riportata consenta ai soggetti idonei a svolgere l'attività di verifica per i lavori di importo più elevato di operare anche in relazione ai lavori di importo inferiore.
Un ruolo centrale nello svolgimento dell'attività di verifica è comunque assegnato al RUP. Quest'ultimo è chiamato a seguire tale attività contestualmente allo sviluppo della progettazione, garantendo il contraddittorio tra il verificatore e il progettista.
Sempre il co. 2 ribadisce, in linea con quanto precedentemente previsto dal d.lgs. n. 50/16, il regime di incompatibilità: chi effettua la verifica non può aver redatto la progettazione né successivamente assumere gli incarichi di coordinatore della sicurezza, direzione lavori e collaudo.
Il co. 4 prevede che all'esito dell'attività di verifica sia emanato l'atto formale di validazione, che deve intervenire necessariamente prima dell'avvio della procedura per l'affidamento dei lavori cui la stessa si riferisce. Infatti, nella documentazione di gara vanno indicati gli estremi dell'atto di validazione. Tale atto è sottoscritto dal responsabile del procedimento e deve fare riferimento all'attività svolta dal soggetto incaricato della verifica, tenendo anche conto delle eventuali controdeduzioni del progettista.
Di grande rilievo sono le previsioni, per molti aspetti innovative, contenute nel co. 3, che definiscono alcuni contenuti della verifica e, nel contempo, stabiliscono specifici effetti collegati dell'avvenuta validazione.
Sotto il primo profilo, viene precisato che, in sede di verifica, occorre accertare la conformità del progetto anche alle prescrizioni eventualmente impartite dalle amministrazioni competenti. La previsione – che riproduce una disposizione già contenuta nel d.l. n. 77/2021 - ha un evidente fine semplificatorio ed acceleratorio, volendo assicurare che il progetto rispetti le prescrizioni dettate in sede di conferenza di servizi, evitando così che debba, eventualmente, passare per un'ulteriore e successiva approvazione.
Lo stesso co. 3 stabilisce, inoltre, che la verifica positiva del progetto – cioè l'intervenuta validazione dello stesso – produce due effetti:
- assolve a tutti gli obblighi di deposito e autorizzazione per la costruzione in zone sismiche;
- assolve l'obbligo di denuncia dei lavori al genio civile. A completamento di tale previsione, è stabilito che i progetti con la relativa validazione sono depositati con modalità telematica presso l'archivio informatico nazionale delle opere pubbliche del Ministero delle Infrastrutture.
Si tratta di una previsione che delinea, in capo al validatore, un ambito di responsabilità molto esteso e, per alcuni aspetti, del tutto peculiare. Se, infatti, i confini della responsabilità sono indicati all'art. 42 dell’Allegato I.7, con riferimento al mancato rilievo di errori e omissioni del progetto verificato, gli effetti sopra indicati sembrano andare al di là di tale indicazione. Come visto, la previsione stabilisce che la validazione assolve a tutti gli obblighi di denuncia dei lavori al genio civile e di deposito ma, soprattutto, di autorizzazione per le costruzioni in zone sismiche.
Ciò, sembra significare che viene meno l'autorizzazione necessaria per l'inizio dei lavori del competente ufficio tecnico della regione prevista dall'art. 94 del d.P.R. n. 380/2001. È evidente il significativo ampliamento dell'ambito e soprattutto della natura della responsabilità del validatore, la cui attività finisce per sostituire la verifica propria dei soggetti pubblici competenti.
Questa novità, se interpretata nel senso che sembra emergere dalla formulazione testuale della norma, pone almeno due serie di questioni. La prima è se sia coerente con i principi generali del sistema che il validatore venga ad assumere su di sé una vera e propria funzione di tipo pubblicistico, poiché il suo atto di validazione – risultato comunque di un incarico di tipo privatistico – tiene luogo del provvedimento amministrativo di autorizzazione. La seconda, collegata alla prima, è se possa considerarsi ragionevole che, con una previsione inserita in tutt'altro contesto, si possa modificare così in profondità la normativa generale contenuta nel d.P.R. n. 380/2001, che regola lo svolgimento dell'attività edilizia.
Consiglio di Stato, sez. V, sent. n. 5975/2023: il prelievo dei campioni, i carotaggi e le eventuali prove complementari spettano ai laboratori di cui all’art. 59 del d.P.R. n. 380/2001.
Con la sentenza in commento, il Consiglio di Stato, riformando la sentenza resa dal TAR Lazio, sez. I, n. 3134/2022, ha affermato che le indagini sui materiali spettano esclusivamente ai laboratori elencati dall’art. 59 del d.P.R. n. 380/01.
La vicenda prende le mosse da un ricorso proposto da alcuni liberi professionisti e società di ingegneria avverso le Norme Tecniche delle Costruzioni, approvate con d.m. del 17/01/2018, e la circolare del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici n. 3187 del 21/03/2018, nella parte in cui avrebbero riservato “prelievi dei campioni della struttura e l’esecuzione delle prove” esclusivamente ai laboratori indicati dall’art. 59 del d.P.R. n. 380/01. Da ciò, sarebbe derivata (secondo la tesi dei ricorrenti) una illegittima “pretermissione degli altri possibili operatori del settore … i quali “sotto la vigenza delle NCT 2008, erano legittimati a compiere i prelievi dei campioni (pur non essendo laboratori autorizzati)””.
Il Giudice di primo grado, condividendo la tesi prospettata dai ricorrenti, ha accolto il ricorso, “statuendo la fondatezza del primo motivo, con il quale era stato contestato il difetto di previsione normativa in ordine alla limitazione dei prelievi di materiale ai laboratori autorizzati e al conseguente contrasto tra il paragrafo §8.5.3. delle NTC e il disposto dell’art. 59 del d.P.R. 380/2001”.
La società controinteressata nel giudizio di primo grado in parola (società autorizzata ai sensi dell’art. 59 del d.P.R. n. 380/01) ha proposto appello avverso la sentenza del TAR Lazio.
Il Consiglio di Stato ha riformato la sentenza di primo grado, fornendo una attenta disamina dell’evoluzione normativa ed avendo cura di rilevare che: “Prima dell’adozione delle NTC 2018 e, in particolare, del paragrafo §8.5.3, l’art. 59 del d.P.R. n. 380 del 2001 (e ancora prima l’art. 20 L. 1086/1971) stabiliva che, per consentire un’adeguata conoscenza delle caratteristiche dei materiali di costruzione posti in opera, si dovessero eseguire ‘prelievi di calcestruzzo’ mediante ‘operazioni di carotaggio’, prelievi di barre di armatura inglobate nei getti’ e ‘prelievi di campioni in carpenteria metallica’ a mezzo di attrezzature idonee alla perforazione e/o alla demolizione del calcestruzzo. L’art. 59, comma 2, del d.P.R. n. 380 cit. come modificato con l’introduzione, ad opera della l. n. 55 del 2019 (di conversione del c.d. decreto ‘Sblocca Cantieri’), di un nuovo settore di autorizzazione relativo alla esecuzione di indagini non distruttive sulle costruzioni esistenti (lett-c bis), odiernamente, prevede che: ‘Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti può autorizzare, con proprio decreto, ai sensi del presente capo, altri laboratori ad effettuare: …c-bis) prove e controlli su materiali da costruzione su strutture e costruzioni esistenti’. La disposizione, infatti, introduce uno specifico regime di autorizzazione per i laboratori specializzati nelle strutture esistenti. Il vecchio testo, invece, stabiliva al comma 2 che: “Il Ministero delle infrastrutture può autorizzare, con proprio decreto, ai sensi del presente capo, altri laboratori ad effettuare: a) prove sui materiali da costruzione; c) prove di laboratorio su terre e rocce”. Ai sensi dell’art. 59 del d.P.R. n. 380 del 2001, i laboratori, per poter operare in tale settore, dovevano presentare apposita domanda al Ministero, il quale, dopo aver verificato (a mezzo del Servizio Tecnico Centrale del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici) la sussistenza dei requisiti, rilasciava apposita autorizzazione […] Secondo gli appellati, le prove definite ‘distruttive’ sui materiali sono sempre state riservate ai laboratori ex art. 20 L. 1086/1971 e attuale art. 59 d.P.R. 380/2001, ma non l’attività di prelievo dei campioni, né le ‘prove non distruttive’ da eseguirsi in cantiere che erano consentite, oltre che ai laboratori anche ai singoli professionisti. Le NTC 2018, nella parte finale del paragrafo §8.5.3 rubricato ‘Caratterizzazione meccanica dei materiali’ ed inserito nel capitolo 8 relativo alle costruzioni esistenti, hanno, invece, stabilito che: “Per le prove di cui alla Circolare 08 settembre 2010, n. 7617/STC, il prelievo dei campioni dalla struttura e l’esecuzione delle prove stesse devono essere effettuati a cura di un laboratorio di cui all’art. 59 del d.P.R. 380/2001”. Al §11.2.2 delle NTC relativamente alle ‘prove complementari’, si statuisce “Le prove di accettazione e le eventuali prove complementari, compresi i carotaggi di cui al punto 11.2.6, devono essere eseguite e certificate di laboratori di cui all’art. 59 del d.P.R. n. 380/2001”. Pertanto, a mente del paragrafo §8.5.3 delle NTC, e delle norme sopra indicate, le prove elencate nella Circolare n. 7617/2010, richiedendo l’analisi chimica e fisica dei campioni, devono essere necessariamente effettuate e certificate a cura di un laboratorio debitamente autorizzato ai sensi dell’art. 59, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, previa dimostrazione del possesso di determinati requisiti organizzativi e strutturali. Prima delle NTC di cui al D.M. 17.1.2018, il Legislatore non aveva specificato chi potesse effettuare tali attività, sicché ogni professionista poteva svolgerla. Dopo l’adozione delle nuove Norme Tecniche per le Costruzioni del 2018, con le quali è stata introdotta la suddetta riserva, il Legislatore ha chiaramente previsto che tali indagini possono essere effettuate solo ‘a cura di un laboratorio di cui all’art. 59 del d.P.R. 380/2001’. Al momento dell’emanazione delle NTC del 2018, erano previste due tipologie di laboratori, oltre a quelli ‘ufficiali’ di cui al comma 1, (…) ossia quelli per l’effettuazione delle ‘prove sui materiali da costruzione’ (comma 2, lett. a), e quelli per le ‘prove di laboratorio su terre e rocce’ (comma 2, lett. c), disciplinati da due diverse Circolari (quanto ai primi come si è detto dalla Circolare n. 7617/2010 e, quanto ai secondi, dalla Circolare n. 7618/2010). Ne consegue che, dopo la riforma, la competenza è stata ovviamente assegnata ai laboratori individuati al comma 2, lett. a) oltre che comunque a quelli c.d. ‘ufficiali’ di cui al comma 1. In sostanza, il prelievo di campioni di materiale in cantiere finalizzato all’esecuzione di prove chimiche, fisiche e meccaniche sui materiali, viene riservato ai laboratori deputati ad eseguire quest’ultima tipologia di prove. Per completezza va precisato che la Circolare n. 7/2019 ha integrato il paragrafo §8.5.3, e, come si è detto, successivamente la legge 14.6.2019, n. 55, ha aggiunto all’art. 59, comma 2, del d.P.R. 380/2001, una nuova lettera c-bis) prevedendo che ai laboratori è consentito, sempre previa autorizzazione del MIT, procedere all’espletamento, oltre che delle prove ‘distruttive’, anche delle ‘prove e controlli su materiali da costruzione su strutture e costruzioni esistenti’, ossia le prove ‘non distruttive’, tra cui le prove pacometriche e sclerometriche. Orbene, il Collegio ritiene che, per una corretta valutazione della questione in ordine all’asserito contrasto tra le disposizioni impugnate e la norma di rango primario di cui all’art.59 del d.P.R. 380/2001, va rammentato che la disciplina dei controlli in un settore delicato come quello dei ‘prelievi dei campioni’, così come le disposizioni che regolamentano il regime autorizzativo dei laboratori e il controllo sulle costruzioni in vigore con la Legge 1086/71, deve essere necessariamente demandata allo Stato, attraverso i laboratori ufficiali in capo alle Università, all’ANAS ed a RFI, o comunque a mezzo di rilascio di autorizzazione, previo controllo, del Ministero competente. In passato, con le modifiche intervenute successivamente al 1971, stante la necessità diffusa di controlli su materiali da costruzione, si era concesso ai soggetti privati, i cosiddetti laboratori autorizzati, di svolgere tale attività. I laboratori autorizzati venivano considerate strutture svolgenti servizi di ‘pubblica necessità’. Tale esigenza è stata assicurata anche con le disposizioni successive. Il Legislatore, infatti, prevedendo la competenza a svolgere l’effettuazione delle ‘prove’ o ‘prelievi’ ai laboratori individuati al comma 2 lett. a), oltre che a quelli c.d. ‘ufficiali’ di cui al comma 1, ha inteso garantire un maggior controllo in un settore peculiare per le ricadute non solo economiche, ma anche in termini di sicurezza pubblica, mediante la ‘tracciabilità’ dei campioni prelevati dalle strutture, in questo modo consentendo la certezza della provenienza, l’autenticità dei campioni, e la regolarità della relativa certificazione […] Sulla base di tale percorso interpretativo, di seguito illustrato, si può ragionevolmente ritenere la coerenza delle disposizioni censurate, con riferimento all’art. 59 del d.P.R. n. 380/2001, la cui ‘ratio legis’ è riposta nella peculiarità della funzione certificativa affidata ai laboratori autorizzati, che postula non solo la correttezza dell’attività delle prove sulle costruzioni, e quindi dei prelievi di materiale, ma anche la ‘tracciabilità’ dei campioni, e quindi la autenticità della relativa certificazione; attività quest’ultima che non può essere disgiunta da quella di ‘prelievo’ […] A tale fine, le operazioni di prelievo devono garantire che il materiale costituente la struttura sia campionato correttamente (anche per consentire, in ipotesi, una revisione delle analisi), atteso che un prelievo e una campionatura non ben eseguita può dare dei risultati falsati, senza contare che il prelievo effettuato da personale non specializzato può arrecare un danno alla struttura. Risulta pertanto che la ratio legis che ha ispirato il Legislatore, nell’introduzione delle disposizioni impugnate, si giustifica anche con la necessità di assicurare che l’attività di prelievo venga effettuata da tecnici non solo competenti, ma anche dotati di una idonea organizzazione e di efficienti dotazioni strumentali; il tutto da sottoporre al controllo del Ministero, il quale valuterà, in questo senso va inteso il termine ‘può’, sulla base dei requisiti, se rilasciare la necessaria autorizzazione. Il Collegio ritiene, infatti, che alla locuzione ‘può’ sia possibile conferire solo il suddetto significato interpretativo, sicché il Legislatore ha voluto intendere che il MIMS (e per esso il STC del CSLLPP) rilascia ai laboratori, ex art. 59 TUE, l’autorizzazione per lo svolgimento della relativa attività, qualora muniti dei requisiti prescritti dalle Circolari applicative (le nn. 7617/2010, 7618/2010 e 633/2019). L’esito di tale valutazione conduce a ritenere che le disposizioni censurate non appaiono in contrasto con l’art. 59 del d.P.R. n. 380/2001, né può essere ravvisato alcun profilo di irragionevolezza. Considerato, infatti, che l’attività di certificazione, come si è detto, è una attività ‘pubblica’, il Ministero è tenuto a valutare la sussistenza delle necessarie professionalità e della strumentazione idonea ad assicurare che il prelievo e il trasporto dei campioni avvenga correttamente, e che ne sia garantita la tracciabilità e l’archiviazione. Per tale ragione si è inteso ulteriormente precisare, con la Circolare del CSLLPP n. 3187 del 2018, anche questa oggetto di impugnazione, che §2.2.2. “…la norma stabilisca che il prelievo dei campioni per le prove distruttive di cui alla Circ. 71617/STC, possa essere effettuato soltanto da un Laboratorio di cui all’art. 59 del d.P.R. 380/01. In merito ai laboratori autorizzati, di cui al comma 2 del suddetto articolo 59 del d.P.R. 380/01, questo Servizio, nelle more della revisione della Circolare sopracitata e dell’eventuale istituzione di uno specifico regime autorizzativo per il prelievo di campioni sulle strutture, ritiene che la suddetta attività di prelievo possa in questa fase di prima applicazione, essere effettuata dai Laboratori prove materiali autorizzati sulla base della Circolare 7617/STC, esplicitamente citata al §8.4.2 delle NTC18, senza necessità di ulteriori istanze da parte del Laboratorio e/o specifiche autorizzazioni da parte del STC….. Ai fini della certificazione delle conseguenti prove i Laboratori daranno evidenza, nel verbale di accettazione dei campioni e nel certificato di prova stesso, della conformità dell’avvenuto prelievo a quanto disposto dal §8.4.2 (recte
§8.5.3) o dal §11.2.2 delle NTC18; diversamente i campioni non potranno essere accettati ai fini dell’attività di certificazione ufficiale del Laboratorio”. Dai suddetti rilievi emerge all’evidenza la coerenza della scelta legislativa, atteso che il Legislatore, a mezzo delle disposizioni impugnate, ha inteso rappresentare l’indirizzo da seguire in un settore che investe non solo interessi economici, ma anche la sicurezza pubblica, proponendo una regolamentazione in tutte le sue componenti funzionali […] Diversamente opinando, si verrebbe a determinare una incomprensibile frattura tra la fase del prelievo e la fase della certificazione, che, al contrario, come si è detto, deve essere effettuata su campioni correttamente prelevati, non contaminati, e adeguatamente repertati. Né si può predicare, come invero è conseguito dalle conclusioni rassegnate dal T.A.R., che l’attività di prelievo possa essere eseguita da chiunque, o da qualsiasi tecnico, non adeguatamente munito di formazione, preparazione e conoscenze specifiche, e senza protocolli e istruzioni operative verificate, in questo modo impedendo di fatto ogni controllo sulla qualità e la provenienza dei campioni e, quindi, sull’attendibilità dei risultati delle prove. L’assunto contrasterebbe, come si è detto, con le finalità che il Legislatore ha inteso perseguire, ossia regolamentare il settore, garantire non solo l’attendibilità dell’attività certificativa dei laboratori, ma assicurare anche adeguati standard di sicurezza dei fabbricati oggetto di accertamento”.