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Aggiornamento Giurisprudenziale
Data
Gio, 07/17/2025 - 12:00

RUBRICA AGGIORNAMENTO GIURISPRUDENZIALE n. 6/2025

Cons. Stato, sez. V, sent. n. 5407/2025: nei servizi di progettazione è illegittimo integrare i requisiti con l’attività svolta dal tecnico della PA.

La progettazione svolta da un dipendente pubblico, anche se in regime di part time, non può essere utilizzata dallo stesso, o dall’operatore economico in cui egli sia inserito a qualsiasi titolo, per integrare i requisiti tecnico professionali richiesti dalla lex specialis, in quanto si tratta di un’attività imputabile esclusivamente all’amministrazione, in virtù dell’immedesimazione organica del dipendente pubblico, che non permette di scorporare le sue prestazioni dalla più complessa organizzazione pubblica.

Questo è quanto enunciato con sentenza dal Consiglio di Stato con la sentenza in commento. La pronuncia riguarda una gara indetta sotto la vigenza del d.lgs. n. 50/2016, ma le sue conclusioni rimangono valide anche con il nuovo codice.

In particolare, il Giudice di prime cure accoglie il ricorso dell’operatore economico che, chiedendo l’annullamento dell’aggiudicazione di una gara, ha contestato la possibilità dell’amministrazione di valutare, quale requisito di capacità tecnica richiesta per la partecipazione alla procedura, un’attività di progettazione interna, svolta da un dipendente di un comune e retribuita con l’incentivo tecnico di cui all’art. 113 del d.lgs. n. 50/2016. La stazione appaltante non avrebbe agito correttamente aggiudicando la gara, in quanto la progettazione svolta dal dipendente, amministratore e socio della società aggiudicataria, sarebbe un’attività imputabile esclusivamente all’amministrazione e non spendibile dal dipendente, né dalla società in gara.

L’operatore economico soccombente, quindi, presenta ricorso in appello richiamando il parere ANAC n. 416/2019, il quale consente a una società di professionisti di potersi avvalere delle esperienze maturate dalle figure apicali, quale il direttore tecnico, così come il singolo professionista partecipante in proprio può dimostrare il possesso dei requisiti anche con la spendita di incarichi svolti quale socio di una società di capitali. Secondo il Consiglio di Stato l’appello è infondato, poiché la progettazione svolta da un dipendente pubblico, sebbene in regime di part time, non può essere utilizzato dallo stesso per integrare i requisiti tecnico-professionali, previsti dalla lex specialis.

Non si può dare un’interpretazione diversa anche ricorrendo al principio di risultato, infatti, “l’esperienza maturata da un dipendente pubblico è intimamente connessa al suo inserimento nell’organizzazione pubblica, con profonde differenze rispetto a quella maturata da un libero professionista privato quanto alle opportunità, alle modalità organizzative e ai costi, per cui l’eventuale superamento del dato formale dell’imputazione giuridica esige una specifica scelta legislativa”. Così pure la previsione degli incentivi economici per le funzioni tecniche svolte dai dipendenti pubblici non consente di superare “l’immedesimazione organica del dipendente pubblico ed a scorporare le sue prestazioni dalla più complessa organizzazione pubblica”. L’appello viene quindi rigettato.

Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 5747/2025: il contratto di avvalimento è valido anche se non redatto e sottoscritto in forma digitale.

La redazione del contratto di avvalimento in formato nativo digitale e firmato digitalmente rileva ai fini della sua opponibilità alla stazione appaltante e non ai fini della validità del contratto (ad substantiam) o della sua prova (ad probationem). La sua ratio è quella di attribuire al contratto una data certa anteriore alla scadenza del termine di presentazione della domanda di partecipazione alla gara, con conseguente sua opponibilità nei confronti dei terzi, quale è, appunto, la stazione appaltante.

Questo è quanto enunciato dal Consiglio di Stato. In particolare, oggetto di contestazione è, tra l’altro, la previsione del bando di gara, laddove impone la forma scritta digitale ad substantiam del contratto di avvalimento.

Il ricorrente, insoddisfatto della decisione del Giudice di prime cure impugna la sentenza dinnanzi al Consiglio di Stato eccependo l’invalidità del contratto di avvalimento prodotta dall’aggiudicataria, non essendo sottoscritta digitalmente. Secondo il Collegio il motivo è infondato. L’art. 104 del d.lgs. n. 36/2023, oltre a definire il contratto di avvalimento come il contratto con cui una o più ausiliarie si obbligano a mettere a disposizione dell’operatore economico le dotazioni tecniche e risorse umane e strumentali per tutta la durata dell’appalto, richiede che la sua forma sia quella scritta a pena di nullità (atto pubblico, art. 2699 cod. civ., o scrittura privata, art. 2702 cod. civ.). L’atto pubblico è il documento redatto da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede mentre la scrittura privata è il documento sottoscritto dall’autore mediante l’apposizione di una firma autografa. Ne consegue, pertanto, che ciò che potrebbe rendere invalido il contratto di avvalimento è solo la mancanza della forma scritta ma non anche la mancanza della forma digitale (art. 104, co. 1, del d.lgs. n. 36/2023).

Ricordano i Giudici di Palazzo Spada che “le prescrizioni normative che impongono oneri formali costituiscono delle deroghe al principio della libertà di forma, con conseguente divieto di una loro applicazione analogica (art. 14 disp. prel. c.c.)”. 

Nel caso di specie è stata apposta la firma autografa e, peraltro, il Consiglio di Stato, in materia di contratti pubblici ha già avuto modo di ravvisare un principio di equipollenza tra le varie forme di sottoscrizione (digitale e analogica) sulla base dell’art. 65 del d.lgs. n. 82/2005, generando in capo alla pubbliche amministrazioni un “obbligo di accettare” istanze firmate anche in modalità analogica con sottoscrizione e copia del documento scansionati (Cons. Stato, sez. V, 5 giugno 2025, n. 4877). Così pure, in applicazione del principio di tassatività delle cause di esclusione della procedura di gara, non può essere sanzionata con l’esclusione la mancanza di forma digitale del contratto di avvalimento.

Per i Giudici non può neppure “ritenersi che tale invalidità possa derivare dalla previsione dell’art. 8 del disciplinare di gara, secondo cui “Il concorrente allega alla domanda di partecipazione il contratto di avvalimento, che deve essere nativo digitale e firmato digitalmente dalle parti, nonché le dichiarazioni dell’ausiliario””. In sentenza si legge che “tale previsione del disciplinare di gara, infatti, non può essere intesa nel senso di imporre la forma digitale a pena di nullità. E’ solamente la legge che può prescrivere una determinata forma negoziale sotto pena di nullità (per un’ipotesi di firma digitale a pena di nullità, v. art. 22, cod. amministrazione digitale)…Nel caso di specie, non vi è nessuna previsione di legge che impone la forma digitale del contratto di avvalimento sotto pena di nullità, non potendo considerarsi tale l’art. 8 del disciplinare, sia perché si tratta di un atto avente natura amministrativa e non legislativa e sia perché, in ogni caso, non prevede tale forma digitale sotto pena di nullità”.

Pertanto, l’onere formale consistente nella “redazione del contratto di avvalimento in formato nativo digitale e firmato digitalmente” rileva ai fini della sua opponibilità alla stazione appaltante (e non ai fini della validità del contratto (ad substantiam) o della sua prova (ad probationem), la cui ratio è quella di “attribuire al contratto una data certa anteriore alla scadenza del termine di presentazione della domanda di partecipazione alla gara con conseguente sua opponibilità nei confronti dei terzi, quale è appunto la stazione appaltante”. 

Alla luce di quanto sopra esposto, la prescrizione formale del disciplinare di gara assume rilievo solo ai fini dell’opponibilità della data certa del contratto nei confronti della stazione appaltante e non ai fini della sua validità e il motivo viene respinto.

TAR Calabria – Reggio Calabria, sent. n. 455/2025: va esclusa l’offerta priva di ribasso.

La mancata indicazione del ribasso, a fronte di chiare disposizioni della legge di gara, non può che determinare l’esclusione dell’appaltatore. 

Nel caso di specie, la commissione di gara procedeva ad aggiudicare il contratto al miglior offerente il quale, però, non indicava nella propria offerta il “ribasso percentuale offerto sull’importo a base di gara” limitandosi ad indicare il solo “prezzo di aggiudicazione”. Così, attraverso una operazione di conversione dei dati, il ribasso percentuale veniva individuato dal collegio.

L’operazione – e la stessa aggiudicazione - viene immediatamente contestata dal ricorrente (secondo nella graduatoria di merito) che ha prospettato la violazione della legge di gara e un intervento non consentito perché in violazione della par condicio tra i concorrenti.

Il Giudice condivide le ragioni del ricorso.

Il TAR non ha ritenuto rilevanti le difese della stazione appaltante che si sono concentrate, in sostanza, su due aspetti.

In primo luogo, la circostanza che un mero approccio formale (e quindi l’eventuale esclusione) avrebbe privato la stazione appaltante di una offerta “nettamente vantaggiosa rispetto a quella presentata dagli altri due” concorrenti. Visto, inoltre, che l’interpretazione della proposta economica non poteva che essere palese ed il collegio altro non avrebbe fatto se non anticipare “quell’operazione matematica di conversione dal valore percentuale al prezzo unitario di trattamento che, invero, la stessa stazione appaltante, ai fini dell’aggiudicazione e stipula/esecuzione del contratto, avrebbe comunque dovuto compiere in un secondo momento”.

Con ulteriore argomentazione, la stazione appaltante evidenzia che l’operazione compiuta dal collegio è stata semplicemente quella di una lettura corretta della volontà negoziale espressa nell’offerta economica “non residuando alcun margine di dubbio sull’offerta da esso presentata; - a garantire la par condicio e il favor partecipationis tra tutti gli operatori economici concorrenti”.

Di diverso avviso il Giudice che, invece, ravvisa una grave violazione della legge di gara che sul punto – e sulla necessità, evidente, di indicare la percentuale di sconto sulla base di gara (tra l’altro a pena di esclusione) –, risultava chiarissima senza alcun pericolo di fraintendimento.

Del resto, spiega la sentenza, in tema si registrano precise indicazioni giurisprudenziali. Ad esempio, lo stesso TAR (con la sentenza n. 233 del 4/04/2025), in relazione ad un caso simile, è giunto alle medesime conclusioni.

Anche nel caso di specie “il tenore letterale del bando non lasciava nessuno spazio a dubbi interpretativi; deve, dunque, affermarsi il carattere vincolante che la disposizione assume non solo nei confronti dei concorrenti ma anche della stazione appaltante soggetta, in applicazione dell’art. 97 Cost., al principio generale del c.d. autovincolo”. L’indicazione in argomento, consueta ed ovvia nelle leggi di gara, costituisce un chiaro autovincolo tutt’altro che formale visto che risulta finalizzato a disciplinare l’uniformità di partecipazione alla competizione (soprattutto in relazione al frangente delicato della redazione delle offerte).

In questo senso, ricorda il Giudice, lo stesso Consiglio di Stato sez. III n. 9789/2022 ha rimarcato che “laddove la lex specialis di gara preveda l’indicazione dello sconto offerto, in cifre, tale previsione costituisce autovincolo insuscettibile di essere modificato o disapplicato da parte della Commissione di gara”.

Non solo, “l’esclusione prevista dal disciplinare di gara per il caso di mancata indicazione della percentuale di sconto offerto in cifre e lettere non è contraria ai principi di proporzionalità e ragionevolezza, nella misura in cui la clausola in oggetto conferisce certezza al contenuto dell’offerta”.

La mancata, si potrebbe dire naturale, indicazione del ribasso determina incompletezza e indeterminatezza dell’offerta, ponendosi “in violazione del principio di diligenza esigibile e autoresponsabilità (in virtù del quale grava sul concorrente l’onere di sopportare le conseguenze degli errori commessi in sede di formulazione dell’offerta)”.

Circostanza che non rende ammissibile nessun ragionamento in ausilio dell’operatore da parte della stazione appaltante che, in questo modo, avrebbe introdotto – come accaduto – interventi “modificativi o integrativi delle offerta” in “violazione dei principi di par condicio, di immodificabilità dell’offerta, di certezza e trasparenza delle regole di gara e del suo svolgimento (Cons. Stato sez. III n. 9789/2022)”.

D’altra parte, conclude il Giudice, non si può ritenere ammissibile, in casi del genere, neppure il ricorso a forme di soccorso istruttorio, né integrativo, né di chiarimento, considerato che la norma di riferimento (l’art. 101 del codice) non “ne prevede il ricorso nelle ipotesi di omissione, inesattezza e irregolarità dell’offerta economica”.

Il Giudice ha disposto, con l’annullamento del provvedimento di aggiudicazione, il riavvio del procedimento e la riedizione del potere per giungere ad “una nuova aggiudicazione in favore della ricorrente e di stipulare con la stessa il contratto per l’intera durata contrattuale prevista nella legge di gara (cinque mesi), ferme restando le verifiche che la stazione appaltante riterrà necessarie in base alla lex specialis e alla normativa applicabile”.

Cons. Stato, sez. V, sent. n. 5599/2025: per partecipare ad una gara gestita tramite il sistema dinamico di acquisizione bisogna necessariamente essere iscritti al sistema.

Possono partecipare ad un appalto specifico, nell’ambito di un sistema dinamico di acquisizione (SDA), solo coloro che sono stati ammessi al sistema (ovvero che hanno ottenuto l’accreditamento) prima dell’invio della lettera di invito, quale “data spartiacque” per l’individuazione dei soggetti da invitare.

Questo è quanto enunciato dal Consiglio di Stato nella sentenza in parola. 

In particolare, con il ricorso in appello si contesta la decisione del Giudice di prime cure secondo la quale possono essere ammessi ad un appalto specifico tutti gli operatori ammessi al sistema dinamico di acquisizione prima della data di scadenza del termine di presentazione delle offerte.

Per il Consiglio di Stato, invece, la “data spartiacque” per l’individuazione dei soggetti da invitare è quella dell’invio della lettera di invito e ciò è confermato anche dall’art. 32, co. 7, del d.lgs. n. 36/2023, per il quale le stazioni appaltanti valutano le domande di ammissione al sistema dinamico, in base ai criteri di selezione, entro 10 giorni lavorativi dal loro ricevimento, prevedendo un termine di prorogabilità per la valutazione delle domande di ammissione, nel caso in cui sia stato già inviato l’invito al primo appalto specifico. 

Pertanto, diversamente da quanto stabilito dal TAR, non avrebbe alcun senso consentire la partecipazione all’appalto specifico anche di operatori non ammessi al sistema alla data dell’invio della lettera di invito. Questa ricostruzione è confermata anche dal richiamo dell’art. 32 alla disciplina delle procedure ristrette, per il quale qualsiasi operatore economico può presentare domanda di partecipazione in risposta a un avviso di indizione di gara e, a seguito della valutazione da parte delle stazioni appaltanti delle informazioni fornite, solo gli operatori economici invitati possono presentare l’offerta. 

La partecipazione all’appalto specifico, quindi, è riservata agli operatori economici che hanno ottenuto l’accreditamento in tempo utile, ex art. 32, co. 8, del d,lgs n. 36/2023 e, dunque, non può essere condivisa l’interpretazione del Giudice di prime cure che conduce a strutturare la procedura “soggetta al continuo aggiornamento degli operatori da invitare dopo che è già stata inoltrata la lettera di invito”. Diversamente, significherebbe ““saltare” la fase di prequalifica che non si può pretendere che venga svolta “al contrario” cioè dopo l’avvio dell’appalto specifico”.

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