Illegittimo l’affidamento diretto di un appalto pubblico, senza previa gara, mediante il quale due enti pubblici istituiscono tra loro un contratto che non abbia il fine di garantire l’adempimento di una funzione di servizio pubblico comune agli enti medesimi, non sia retto unicamente da considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento di obiettivi d’interesse pubblico, oppure sia tale da porre un prestatore privato in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti.
A distanza di 8 mesi dalla pronuncia della Corte Europea (Sentenza 19 dicembre 2012, causa C-159/11), arriva la sentenza del Consiglio di Stato (Sentenza n. 3849 del 15 luglio 2013) in merito la legittimità di un contratto stipulato tra due Enti pubblici con il quale veniva affidato l’incarico di studio e valutazione della vulnerabilità sismica di strutture ospedaliere, da eseguirsi alla luce delle recenti normative nazionali emanate in materia di sicurezza delle strutture ed in particolare degli edifici strategici, con un corrispettivo di 200.000 euro al netto di Iva.
I giudici di Palazzo Spada hanno confermato una precedente pronuncia del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (sentenza Sez. Staccata di Lecce, Sezione II n. 00416/2010) che aveva accolto il ricorso presentato da Ordini, Associazioni professionali e imprese di ingegneria che avevano ritenuto che il contratto stipulato tra i due enti sostanziasse un affidamento diretto di un appalto pubblico di servizio ricadente nel perimetro di applicazione delle norme sull’evidenza pubblica comunitaria ed interna, ed in particolare di un contratto avente ad oggetto prestazioni qualificabili come servizi di ingegneria. Il Tar aveva, infatti, disatteso le difese degli enti resistenti volte a sostenere la legittimità del contratto, in quanto avente ad oggetto attività di ricerca scientifica e consulenza tecnica esercitabile dalle università nei confronti di enti pubblici in virtù di contratti o convenzioni e quindi riconducibile allo schema degli accordi tra pubbliche amministrazioni ai sensi dell’art. 15 l. n. 241/1990.
Il Consiglio di Stato ha affermato che qualora un’amministrazione si ponga rispetto all’accordo come operatore economico, prestatore di servizi e verso un corrispettivo anche non implicante il riconoscimento di un utile economico ma solo il rimborso dei costi, non è possibile parlare di una cooperazione tra enti pubblici per il perseguimento di funzioni di servizio pubblico comune, ma di uno scambio tra i medesimi. Secondo i giudici del CdS, il contratto oggetto della disputa “non contiene una” disciplina” di attività comuni agli enti, ma compone un contrasto di interessi tra l’ente pubblico che, da un lato, grazie all’attività scientifica da essa istituzionalmente svolta, offre prestazioni di ricerca e consulenza deducibili in contratti di appalto pubblico di servizi e l’ente che, conformandosi a precetti normativi, domanda tali prestazioni, in quanto strumentali allo svolgimento dei propri compiti di interesse pubblico. Il tutto secondo la logica dello scambio economico suggellata dalla previsione di un corrispettivo, calcolato secondo il criterio del costo necessario alla produzione del servizio e dunque in perfetta aderenza allo schema tipico dei contratti di diritto comune ex art. 1321 cod. civ. Ne consegue che lo strumento impiegato è estraneo alla logica del coordinamento di convergenti attività di interesse pubblico di più enti pubblici, ma vede uno di questi fare ricorso a prestazioni astrattamente reperibili presso privati”. Il commento dell’OICE.
Particolare soddisfazione viene espressa dal vice presidente vicario OICE, Luigi Iperti: “Il Consiglio di Stato, chiarisce con estrema precisione che se una determinata attività può essere svolta da soggetti operanti sul mercato non può essere oggetto di accordi tra amministrazioni laddove sia previsto un corrispettivo a favore di una delle amministrazioni e se l’attività non sia oggetto di interesse comune. Siamo particolarmente soddisfatti che si sia finalmente affermato un principio sacrosanto e cioè che, soprattutto in tempi come questi, la logica della concorrenza e del mercato debba sempre prevalere nell’interesse pubblico al contenimento della spesa pubblica e alla migliore qualità, frutto necessariamente di un confronto concorrenziale”. Importante, per l’OICE, è la ridefinizione dei limiti degli accordi fra Amministrazioni: “La norma della legge 241/90 – ha continuato Luigi Iperti – può essere utilizzata soltanto quando vi sia un interesse realmente in comune fra due amministrazioni e non sia previsto un corrispettivo; questo dicono sia il Tar, sia la Corte di giustizia, sia il Consiglio di Stato; in tutti gli altri casi occorre fare ricorso al mercato ed esperire una gara pubblica, sia sotto sia sopra soglia comunitaria. Sulla base di questo principio è nostro auspicio che sia dato un taglio netto alla pratica degli affidamenti diretti e in house che, spesso, prevedono prezzi del tutto fuori mercato e senza alcuna garanzia qualitativa. L’OICE, dopo questa importante vittoria non mancherà di monitorare che la sentenza sia rispettata su tutto il territorio nazionale”.
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