RUBRICA AGGIORNAMENTO GIURISPRUDENZIALE n. 9/2023
ANAC, delibera n. 397/2023: l’iscrizione nel registro degli indagati non è più condizione sufficiente a legittimare l’esclusione della gara.
La semplice iscrizione nel registro degli indagati non comporta più l'esclusione dalle gare d'appalto. Si tratta, invero, di una situazione che da sola non basta a determinare effetti pregiudizievoli di natura civile o amministrativa per la persona alla quale il reato è attribuito.
È quanto ha precisato l'Autorità Nazionale Anticorruzione con la delibera in commento, chiarendo quanto stabilito dal nuovo Codice degli Appalti.
Rispondendo a una richiesta di parere relativa, però, al vecchio codice, l'ANAC aveva considerato legittima l'esclusione dell'impresa oggetto di un'indagine penale. Applicando il nuovo codice, però, le cose cambiano, come dimostra il caso appena trattato dall'Autorità.
Rispondendo a una richiesta di parere di un Comune siciliano, riguardo i requisiti di ordine generale per l'affidamento di contratti pubblici, con particolare riferimento all'illecito professionale grave, l'Autorità ha fornito indicazioni specifiche sulle cause di esclusione dalle gare d'appalto, sulla base di quanto disposto dal d.lgs. n. 36/2023. Nel mirino il rischio di esclusione da una procedura sottosoglia per un operatore raggiunto dal provvedimento di conclusione delle indagini preliminari per il reato di istigazione alla corruzione, in concorso con funzionari pubblici.
Importanti, soprattutto, i passaggi con i quali l'Autorità individua le differenze tra la disciplina in tema di illecito professionale grave, dettata dal codice appalti del 2016, e quella introdotta dal nuovo codice. Nella delibera, l'Autorità fornisce un raffronto tra norme del vecchio e del nuovo Codice.
Tra gli aspetti di maggior rilievo del nuovo Codice c'è la tipizzazione delle fattispecie costituenti grave illecito professionale (limitato, sotto il profilo penale, ai reati di cui alle lettere g) ed h) del co. 3 dell'art. 98, tra cui esercizio abusivo della professione, reati tributari, urbanistici, bancarotta, violazione del d.lgs. n. 231/2001) e dei mezzi di prova utili per la valutazione della sussistenza dell'illecito stesso, superando, in tal modo, l'impostazione precedente, che consentiva di valutare ogni condotta penalmente rilevante idonea ad incidere sulla affidabilità e sull'integrità della impresa concorrente.
Con le nuove regole perde, quindi, rilevanza la semplice iscrizione nel registro degli indagati, “probabilmente per esigenze di coordinamento del codice appalti con la riforma recata 150/2022 che ha introdotto (tra l'altro) nel codice di procedura penale la nuova disposizione dell'art. 335-bis, che così recita: "La mera iscrizione nel registro di cui all'articolo 335 non può, da sola, determinare effetti pregiudizievoli di natura civile o amministrativa per la persona alla quale il reato è attribuito" […] Sotto tale profilo, si registra quindi un netto cambiamento della disciplina del grave illecito professionale rispetto a quella dettata dal previgente art. 80, comma 5, lett. c) del d.lgs. 50/2016”.
Nelle gare d'appalto gestite con il codice del 2016, l'iscrizione nel registro degli indagati, pur non comportando una causa di esclusione automatica, poteva comunque essere valutata dalla PA come un indicatore di inaffidabilità dell'operatore e, per questo, condurre all'espulsione dalla procedura. Con il nuovo codice, invece, il semplice fatto che l'operatore sia stato sottoposto a indagini, non costituisce un mezzo di prova sufficiente a dimostrarne l'inaffidabilità e, dunque, impedisce alla PA la possibilità di estrarre il “cartellino rosso”.
Resta, però, per la stazione appaltante, l'obbligo di verificare che dalle indagini in corso non scaturisca un provvedimento più severo dell'Autorità giudiziaria, come l'applicazione di una misura cautelare o la scelta di avviare l'azione penale, che invece fanno scattare il rischio di illecito professionale grave anche nel nuovo codice.
TAR Lazio, sez. III, sent. n. 13100/2023: l’incompetenza di uno dei componenti della commissione di gara va dimostrata nel merito.
Il Tar Lazio ricorda che la censura di incompetenza dei componenti della commissione di gara deve essere circostanziata e deve contenere, inoltre, l'indicazione puntuale del legame tra il preteso "deficit" di competenza e la valutazione dell'offerta.
Nel caso trattato dal Giudice amministrativo viene in rilievo, in particolare, la censura del ricorrente sulla competenza dei componenti della commissione di gara. Secondo uno dei rilievi del ricorrente, le valutazioni delle offerte sarebbero state “affidate ad un seggio di gara composto, nel suo complesso, da componenti non qualificati e privi di qualsivoglia esperienza nel settore oggetto di gara”. Detta situazione avrebbe, pertanto, inciso sull'aggiudicazione dell'appalto.
È bene evidenziare che, sulla questione della competenza dei commissari di gara, tanto la pregressa disciplina, quanto il nuovo Codice (art. 93) ribadiscono, sia pure all'interno di dinamiche differenti, visto che la disciplina del 2016 prevedeva l'istituzione di un apposito albo di commissari (mai realizzato), che la “commissione è composta da un numero dispari di componenti, in numero massimo di cinque, esperti nello specifico settore cui si riferisce l'oggetto del contratto”. Ammettendo anche la facoltà della nomina di “componenti supplenti”.
La questione della competenza dei commissari, da intendersi non in riferimento a ciascuno dei componenti, ma in senso collegiale, è uno degli aspetti su cui il RUP deve prestare maggiore attenzione, visto che a questo soggetto compete, in realtà, non solo la richiesta della nomina di un organo valutatore, ma anche la predisposizione della proposta di nomina e, prima ancora, la definizione delle modalità di scelta/individuazione dei potenziali commissari.
Il Collegio precisa immediatamente che l'impugnazione della nomina del collegio per incompetenza non può prescindere “in modo assoluto dalla dimostrazione di come quel deficit conoscitivo possa negativamente impattare sulla valutazione della propria offerta”. Il vizio rilevato, infatti, deve essere tale da riflettersi sull'aggiudicazione e spetta al ricorrente dimostrare/individuare il legame “tra la denunciata incompetenza e gli esiti valutativi in relazione alla propria offerta (in tal senso, ex multis: Tar Roma n. 5107/2022; C. di St. n. 2253/2022; Tar Catania n. 628/2020)”.
Sulla competenza dei commissari, in realtà, la giurisprudenza, ha chiarito che è sufficiente, perché il collegio possa definirsi adeguato alle proprie incombenze, una competenza nel settore – secondo l'attuale formulazione contenuta nell'art. 93 a “cui si riferisce l'oggetto del contratto” e non più “cui afferisce l'oggetto del contratto”, come si leggeva nel co. 1 del pregresso art. 77 -. In pratica il riferimento è relativo ad una competenza per “aree tematiche omogenee”.
Si tratta di una analisi/valutazione complessiva, considerando “globalmente la preparazione e la competenza dei commissari” come un unico soggetto.
La competenza, poi, non deve essere valutata “appuntandosi ai singoli curricula dei commissari”, visto che si esige, per rassicurare i competitori, una prevalenza “seppure non esclusiva […] di membri esperti del settore oggetto dell'appalto”.
Come affermato dalla giurisprudenza prevalente, non è necessario che l'esperienza professionale di ciascun componente “copra tutti gli aspetti oggetto della gara” dovendosi queste professionalità integrarsi reciprocamente “in modo da completare e arricchire il patrimonio di cognizioni della commissione, purché idoneo, nel suo insieme, ad esprimere le necessarie valutazioni di natura complessa, composita ed eterogenea”.
Ferme queste coordinate ermeneutiche, conclude il giudice, nel caso di specie, la modalità sul metodo per il calcolo dei punteggi discrezionali risultava talmente puntuale da ridurre la valutazione ad una mera “verifica di corrispondenza ed aderenza delle offerte delle concorrenti alle specifiche tecniche e requisiti richiesti in modo molto dettagliato negli atti di gara e nell'apprezzamento della risposta ai risultati attesi”. Tale sottolineatura rendeva non superflua una esperienza specifica nel settore d’appalto. In ogni caso, il ricorrente non ha dedotto, né dimostrato, il preciso legame tra la denunciata incompetenza e l'esito della valutazione relativamente alla propria offerta. Non è stata fornita, in sostanza, la prova determinante che il deficit, preteso, di incompetenza abbia condizionato la valutazione espressa.
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, parere n. 2129/2023: nelle gare sottosoglia non si applica l’aumento della garanzia definitiva proporzionato al ribasso offerto.
L’aumento progressivo della garanzia definitiva, in base alla percentuale di ribasso superiore al 10%, non si applica agli appalti sottosoglia europea. Il chiarimento, importante per stazioni appaltanti e imprese impegnate nei contratti pubblici di importo medio-piccolo, arriva dal servizio di supporto giuridico del MIT.
La norma per gli appalti soprasoglia del nuovo Codice (art. 117, co. 2) prevede l’aumento progressivo della garanzia definitiva (pari al 10% dell’importo contrattuale) in maniera proporzionale al ribasso, se lo sconto proposto dall’impresa supera il 10 per cento. In particolare, l’aumento è di un punto percentuale per ogni punto percentuale di sconto superiore al 10%. Se lo sconto supera il 20%, invece, l’importo della progressione raddoppia (due punti percentuali per ogni punto percentuale superiore al 20%). L’obiettivo, che viene esplicitato nel Codice, è quello di “salvaguardare l’interesse pubblico alla conclusione del contratto nei termini e nei modi programmati”.
Per quanto riguarda, invece, gli appalti sottosoglia, la garanzia definitiva opera in misura del 5% e può anche essere non richiesta, laddove la PA motivi con sufficiente ragionevolezza la scelta. Per i tecnici del MIT è chiaro che il fatto che la clausola dell’aumento progressivo sia stata proposta solo per gi appalti soprasoglia esclude la possibilità che la norma possa essere estesa, per analogia, anche agli appalti medio-piccoli. Inoltre, viene chiarito, sempre nel parere, che la quantificazione della garanzia del 5% “è da considerarsi esaustiva, nel senso che non si applicano né gli aumenti né le riduzioni previsti per il soprasoglia”.
D.lgs. n. 36/2023, art. 9: principio di equilibrio contrattuale.
Il nuovo Codice dei contratti pubblici riveste particolare rilevanza, oltre che per le semplificazioni e le razionalizzazioni introdotte, per aver inserito una parte introduttiva sui principi, che costituiscono i cardini di orientamento nell’interpretazione e nell’applicazione delle diverse disposizioni normative.
Nell’ambito dei suddetti principi è ricompreso quello di conservazione dell’equilibrio contrattuale (art. 9). Dalla lettura della norma appare chiaro che il principio deve essere interpretato come esigenza di ristabilire il sinallagma (la corrispettività) di tipo funzionale tra le prestazioni, in senso essenzialmente economico, e che lo stesso viene in rilievo in fase esecutiva e non come sinallagma rilevante in fase di costituzione del rapporto negoziale, atteso che le regole stabilite in sede di predisposizione della legge di gara, cristallizzate con l’aggiudicazione e la successiva stipula del contratto, non potranno essere alterate, in omaggio al rispetto del principio della par condicio fra i partecipanti alla procedura di evidenza pubblica.
Risulta evidente come le fondamenta della norma siano costituite dalla eccessiva onerosità sopravvenuta, che può verificarsi nei casi di contratti ad esecuzione periodica o continuata, ovvero ad esecuzione differita (art. 1467 c.c.), a causa di eventi straordinari e imprevedibili, ma, a differenza dell’istituto civilistico, non dà luogo alla risoluzione del contratto, bensì al solo diritto alla rinegoziazione del medesimo per ricondurlo ad equità.
Invero, nel bilanciamento fra i contrapposti, complessi e rilevanti interessi pubblici e privati, che vengono in rilievo nel settore dei contratti pubblici, si è ritenuto prevalente quello a non porre nel nulla l’intera operazione che ha dato vita all’acquisizione della commessa pubblica, dando, però, la possibilità al contraente svantaggiato di ristabilire l’equilibrio contrattuale originario risultante in sede di aggiudicazione della procedura concorsuale, salvo che non abbia volontariamente assunto il rischio del sopraggiunto disequilibrio.
Secondo le previsioni dell’art. 9 del nuovo Codice, la rinegoziazione secondo buona fede delle originarie condizioni contrattuali, per ristabilire l’equilibrio economico (la corrispettività nel valore tra le prestazioni), costituisce un diritto che sorge solo nel caso in cui sopravvengano circostanze straordinarie e imprevedibili al momento della stipula, al di fuori dell’ambito della normale alea e delle ordinarie fluttuazioni del mercato di riferimento. Dunque, solo in seguito ad avvenimenti straordinari e imprevedibili che siano idonei ad alterare in maniera rilevante l’equilibrio originario del contratto ed estranei alla responsabilità dello stesso contraente svantaggiato.
La norma specifica, inoltre: 1) che gli oneri per la rinegoziazione sono riconosciuti nell’ambito delle somme a disposizione indicate nel quadro economico dell’intervento, alle voci imprevisti e accantonamenti, e, se necessario, anche utilizzando le economie da ribasso d’asta e solo nei limiti del ripristino dell’originario equilibrio del contratto risultante dall’aggiudicazione, senza alterazione della sua sostanza economica; 2) che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti favoriscono l’inserimento nel contratto di clausole di rinegoziazione, dandone pubblicità nel bando o nell’avviso di indizione della gara, specie quando il contratto risulta particolarmente esposto per la sua durata, per il contesto economico di riferimento o per altre circostanze al rischio delle interferenze da sopravvenienze.
Costituiscono applicazione concreta del principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale, in sede di esecuzione, l’istituto della revisione prezzi (art. 60), reso obbligatorio e generalizzato mediante l’inserimento di specifiche clausole in tutti i contratti, e la modifica dei contratti in corso di esecuzione (art. 120), che andranno, dunque, interpretati alla luce delle previsioni dell’art. 9.