RUBRICA AGGIORNAMENTO GIURISPRUDENZIALE n. 8/2024
RUBRICA AGGIORNAMENTO GIURISPRUDENZIALE n. 8/2024
TAR Sicilia, sez. II, sent. n. 2476/2024: nel rispetto del principio di rotazione è vietato l’invito ai soci del contraente uscente.
Il principio di rotazione opera anche nei confronti di un operatore economico che sia collegato al contraente uscente in virtù di vincoli societari e familiari che facciano presumere la riconducibilità dei due soggetti a un unico centro decisionale. Di conseguenza, non è legittimo l’invito a una procedura negoziata rivolto a favore di un’impresa neocostituita interamente posseduta e amministrata da una persona fisica che sia anche socio dell’impresa contraente uscente, nonché legata da vincoli familiari con l’altro socio e amministratore di quest’ultima.
Sono queste le affermazioni contenute nella sentenza in commento, che offre un’interpretazione estensiva delle modalità di applicazione del principio di rotazione, che peraltro sollecita ulteriori riflessioni sulle ragioni giustificatrici e sulle ricadute operative dello stesso.
Un ente appaltante aveva indetto una procedura negoziata alla quale venivano invitate cinque imprese ma presentavano offerta solo in due. La seconda classificata formulava istanza di precontenzioso all’ANAC rilevando che l’altra impresa concorrente – prima classificata - avrebbe dovuto essere esclusa per una serie di ragioni. In particolare, il principale motivo di esclusione era da ravvisarsi nel fatto che l’invito rivolto a detta impresa doveva considerarsi operato in elusione del principio di rotazione.
Infatti, l’impresa invitata era neocostituita, interamente posseduta e amministrata da un soggetto che era anche socio del gestore uscente, nonché legato da vincoli familiari con l’altro socio e amministratore di quest’ultimo. A ciò si aggiunga che l’offerta tecnica presentata dal concorrente replicava in gran parte i contenuti dell’offerta presentata dal gestore uscente nella precedente procedura. Infine, il concorrente aveva fatto totale affidamento, per mezzo dell’avvalimento, dei requisiti di qualificazione del gestore uscente.
L’ANAC rilasciava il parere accogliendo le argomentazioni prospettate e ritenendo, quindi, che la partecipazione alla procedura negoziata dell’operatore economico avente le caratteristiche indicate e con le modalità descritte costituisse un’elusione fraudolenta del principio di rotazione. Infatti, le circostanze indicate e, in particolare, lo stretto legame di parentela tra il socio e amministratore della nuova società e il legale rappresentante del gestore uscente costituivano una pluralità di indizi idonei a far ritenere che vi fosse stato un accordo tra i due operatori al fine di eludere il meccanismo della rotazione.
Tale parere, unitamente alla nota dell’ente appaltante che dichiarava di aderire allo stesso, venivano impugnati dal concorrente, con una serie articolata di motivazioni volte a contestare l’esistenza della ritenuta elusione del principio di rotazione.
In primo luogo, il ricorrente evidenziava che il principio di rotazione non ha carattere assoluto ma relativo, posto che in caso contrario limiterebbe illegittimamente il potere della stazione appaltante di garantire la massima partecipazione alla procedura di gara. Nel caso di specie l’applicazione rigida di tale principio avrebbe come conseguenza che l’ente appaltante dovrebbe accettare l’unica offerta rimasta in gara. In questa logica, il principio di rotazione va inteso nel senso che non vi è un obbligo di escludere dalla gara il gestore uscente, ma solo quello di non favorirlo. In ogni caso, esiste la possibilità ammessa dalla stessa legge di derogare al principio di rotazione, in considerazione della struttura del mercato di riferimento e dell’assenza di alternative percorribili. Inoltre, il divieto di invito presuppone la riconducibilità soggettiva dell’operatore economico invitato al gestore uscente, cosicché le due realtà imprenditoriali possano essere riportate a un unico centro decisionale.
Nel caso di specie gli elementi indiziari indicati dall’ANAC e dall’ente appaltante non sarebbero idonei a prefigurare l’esistenza di un unico centro decisionale, mancando, peraltro, qualunque iter motivazionale a sostenere la decisione della stessa stazione appaltante, che si è limitata a recepire le conclusioni dell’Autorità. Tali elementi – fondati sull’esistenza di rapporti societari e relazioni familiari tra concorrente e gestore uscente – non avrebbero quel carattere di univocità e precisione necessario per configurare l’esistenza di un unico centro decisionale. La decisione assunta dall’ente appaltante ha, peraltro, portato all’aggiudicazione a favore dell’unica offerta rimasta in gara, in violazione del principio del risultato che impone all’ente appaltante di perseguire il miglior interesse pubblico.
Il TAR Sicilia ricorda, in via preliminare, che per giurisprudenza costante il principio di rotazione costituisce un riferimento ineludibile negli affidamenti dei contratti sottosoglia. La ratio del principio è quella di favorire la distribuzione temporale delle opportunità di aggiudicazione, evitando che si creino posizioni anticoncorrenziali e di sostanziale monopolio a favore di operatori che agiscono in un determinato settore.
Quanto al carattere relativo e non assoluto di tale principio, va evidenziato che lo stesso si riferisce all’ipotesi in cui l’ente appaltante abbia svolto una gara aperta, cioè senza predeterminazione del numero di soggetti da invitare.
Questo elemento, già in passato affermato dalla giurisprudenza, ha ricevuto una consacrazione legislativa ad opera dall’art. 49, co. 5, del d.lgs. n. 36/2023. Tale disposizione prevede che il principio di rotazione non si applichi alle procedure negoziate senza bando nell’ipotesi in cui l’indagine di mercato propedeutica agli inviti sia stata effettuata senza prevedere alcun limite al numero degli operatori da invitare. A giustificazione di tale deroga il fatto che, in questi casi, non si pone un tema di consolidamento di rendite di posizione in capo al gestore uscente, proprio in quanto vi è una totale apertura al mercato in grado di neutralizzare questo rischio. Nel caso di specie, tuttavia, la stazione appaltante ha predefinito il numero degli operatori da invitare. Ne consegue che si riespande in tutta la sua assolutezza il principio di rotazione, quale limite inviolabile a presidio della concorrenza.
Ciò detto, il giudice amministrativo entra nel caso specifico, ricordando che la stessa ANAC, nelle linee guida n. 4, aveva indicato tra i possibili meccanismi di elusione del principio di rotazione l’ipotesi in cui il concorrente da invitare sia riconducibile al gestore uscente, dando luogo a un’ipotesi di unico centro decisionale.
Ricorda, altresì, che la giurisprudenza amministrativa ha evidenziato che l’unicità del centro decisionale presuppone un collegamento tra imprese desumibile da una serie di indici che devono avere caratteristiche di gravità, precisione e concordanza, che spetta alla stazione appaltante valutare in concreto. Tali indici si devono concretizzare in elementi strutturali o funzionali ricavabili dagli assetti societari o dalle relazioni personali tra i concorrenti che fanno desumere appunto la riconducibilità degli operatori a un unico centro decisionale.
Nel caso di specie, secondo il giudice amministrativo ricorrono plurimi elementi relativi tanto all’assetto societario e personale degli operatori quanto al contenuto sostanziale delle offerte dagli stessi presentate – sia pure in due procedure diverse – da far ritenere sussistente una relazione di fatto tra concorrente e gestore uscente idonea ad alterare il confronto concorrenziale.
Dirimente, in tal senso, è la circostanza che la nuova società concorrente sia stata costituita pochi giorni prima dell’avvio della procedura e che il socio e amministratore di tale società sia legato da vincoli familiari stretti con l’amministratore del gestore uscente.
Ciò ha portato il TAR Sicilia a concludere che vi sia una chiara situazione di comunione di interessi e di interdipendenza tra i due soggetti – la società neo costituita e il gestore uscente - con la conseguenza che l’invito rivolto al primo costituisce una evidente elusione del principio di rotazione. Conclusione rafforzata dalla circostanza della sostanziale sovrapposizione tra il contenuto dell’offerta presentata a suo tempo dal gestore uscente nella relativa procedura di gara e quella presentata dalla società neocostituita nella gara attuale, indicativa anche del vantaggio avuto da quest’ultima in virtù della situazione di asimmetria informativa di cui ha goduto.
TAR Lazio, sez. I-bis, sent. n. 15303/2024: in tema di grave illecito professionale anche la mancata esclusione richiede una adeguata motivazione.
Nel caso sussistano una serie di elementi circostanziati che possano integrare la causa di esclusione del grave illecito professionale, qualora l’ente appaltante decida comunque di non tenerne conto e di ammettere il concorrente alla gara, questa decisione - espressione della sua discrezionalità - deve essere accompagnata da una congrua motivazione. Nel contempo, l’esclusione non può essere disposta per un fatto meramente formale, e cioè per la circostanza che il concorrente abbia dichiarato nel DGUE di non trovarsi in condizioni tali da configurare il grave illecito professionale, sbarrando la relativa casella, ma abbia nel contempo prodotto una dichiarazione integrativa in cui evidenzia una serie di circostanze astrattamente idonee a incidere sull’affidabilità professionale. Si è espresso in questi termini il TAR Lazio, con una decisione che presenta alcuni profili di significativo interesse in relazione alla configurabilità del grave illecito professionale alla luce della disciplina contenuta nel d.lgs. n. 36/2023.
Nel caso di specie, un ente appaltante aveva svolto una procedura aperta suddivisa in lotti. A seguito dell’aggiudicazione di un lotto a favore di un consorzio, il concorrente secondo classificato in graduatoria proponeva ricorso davanti al giudice amministrativo. Il ricorrente sosteneva che l’aggiudicatario avrebbe dovuto essere escluso dalla gara per aver reso dichiarazioni non veritiere in merito a circostanze rilevanti ai fini della causa di esclusione del grave illecito professionale. Nello specifico, veniva contestato che il concorrente, da un lato, aveva sbarrato la pertinente casella del “NO” del DGUE, con ciò dichiarando che non ricorrevano situazioni che potevano integrare a suo carico gravi illeciti professionali, dall’altro, produceva una dichiarazione integrativa in cui evidenziava una serie di fatti che, in realtà, potevano essere valutati sotto questo profilo. Questo comportamento integrerebbe, secondo il ricorrente, una condotta idonea a influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltate, configurando, quindi, una autonoma causa di esclusione ai sensi dell’art. 98, co. 3, lett. b), del d.lgs. n. 36/23.
In particolare, nella dichiarazione integrativa venivano elencate una serie di circostanze idonee ad incidere sull’affidabilità e professionalità del concorrente, quali: provvedimenti sanzionatori dell’AGCM concernenti intese restrittive della concorrenza; provvedimenti di risoluzione contrattuale e di esclusione da precedenti procedure di gara; provvedimenti di applicazione di penali in relazione a precedenti contratti. Ulteriori circostanze risultavano, poi, a carico dell’impresa consorziata indicata come esecutrice: procedimenti penali pendenti verso i legali rappresentanti, risoluzione di un precedente contratto, irregolarità fiscale. A fronte di tali circostanze dichiarate il seggio di gara non avrebbe posto in essere alcun approfondimento istruttorio, né avrebbe espresso le ragioni per le quali riteneva non rilevanti le stesse ai fini dell’esclusione del concorrente.
Il TAR Lazio evidenzia, in via preliminare, che costituisce fatto incontestato che sia il consorzio in quanto tale che l’impresa consorziata, dopo avere sbarrato la casella “NO” sul DGUE relativa alla sussistenza di gravi illeciti professionali, hanno prodotto le dichiarazioni integrative aventi il contenuto sopra richiamato. La censura del ricorrente sotto questo profilo si sostanzia, quindi, nel comportamento formalmente contraddittorio del concorrente, tale da determinare, di per sé, un’autonoma causa di esclusione dalla gara.
Tale censura viene respinta dal giudice amministrativo. Ciò, in quanto si risolve in una contestazione su aspetti meramente formali relativi alle modalità di compilazione dei moduli di gara, senza che possa tuttavia ravvisarsi alcuna dichiarazione non veritiera sotto il profilo sostanziale. Infatti, attraverso la dichiarazione integrativa prodotta il concorrente ha reso noto all’ente appaltante in maniera dettagliata tutte le circostanze potenzialmente rilevanti ai fini del giudizio sulla sua moralità e idoneità professionale. Non è quindi ravvisabile alcuna omissione, reticenza o falsità nelle dichiarazioni, che avrebbero potuto comportare l’esclusione dalla gara.
A fronte di tale dato è del tutto irrilevante la mera circostanza che, tanto il consorzio, quanto l’impresa consorziata abbiano sbarrato la casella “NO” del DGUE in corrispondenza della dichiarazione relativa alla sussistenza di fatti tali da poter integrare la fattispecie del grave illecito professionale. Occorre, infatti, considerare che attraverso le circostanze evidenziate nella dichiarazione integrativa il concorrente ha fornito alla stazione appaltante tutti gli elementi necessari per effettuare un’adeguata valutazione in merito alla rilevanza degli stessi ai fini del giudizio sull’affidabilità del concorrente. Giudizio che rientra nella piena discrezionalità dell’ente appaltante, che deve individuare il punto di rottura oltre il quale le circostanze indicate incidono sull’affidabilità del concorrente, determinandone l’esclusione dalla procedura di gara.
Questa conclusione è peraltro coerente con il principio del risultato sancito dall’articolo 1 del d.lgs. n. 36/23. L’applicazione di tale principio porta a ritenere che la procedura e i suoi aspetti formali debbano costituire un mezzo per il raggiungimento del miglior risultato possibile e non il fine della disciplina. Di conseguenza, non può ritenersi consentita l’esclusione di un concorrente dalla gara per un dato meramente formale, e cioè per avere sbarrato una determinata casella del modulo compilato ai fini della partecipazione alla gara relativamente all’assenza di gravi illeciti professionali, qualora si evidenzi – come nel caso di specie – che lo stesso concorrente abbia comunque fornito una dichiarazione completa e veritiera, come tale idonea a mettere in condizioni la stazione appaltante di operare un’attenta valutazione in ordine all’affidabilità professionale del medesimo.
Il secondo motivo di censura sollevato dal ricorrente riguarda il fatto che, nonostante le plurime circostanze a carico dell’aggiudicatario potenzialmente idonee a incidere sulla affidabilità e integrità dello stesso, l’ente appaltante non abbia evidenziato le ragioni per le quali ha, comunque, deciso di ammetterlo alla gara. In via preliminare il TAR Lazio rivendica il suo potere di intervento su questa specifica censura. Se, infatti, è vero che il giudice amministrativo non può sostituirsi all’amministrazione nelle valutazioni alla stessa riservate, è altresì vero che il sindacato giurisdizionale può legittimamente riguardare proprio le motivazioni poste alla base di tali valutazioni. In sostanza, tali motivazioni devono sorreggere la decisione sull’ammissione o sull’esclusione relativamente al profilo dell’idoneità professionale del concorrente secondo canoni di ragionevolezza e di logicità. Sotto questo aspetto, non è quindi ammissibile sostenere che la valutazione dell’ente appaltante in ordine all’ammissione dei concorrenti alla gara non richieda alcuna motivazione e sia come tale sottratta al sindacato del giudice amministrativo, poiché ciò significherebbe creare una zona franca dalla tutela giurisdizionale, in contrasto con i precetti costituzionali.
Ciò detto, nel merito della censura avanzata, il TAR Lazio ricorda che la valutazione in merito alla sussistenza in capo al concorrente del grave illecito professionale implica un apprezzamento dell’ente appaltante che rientra nell’ambito della sua discrezionalità tecnica. E ciò anche dopo le modifiche introdotte dal nuovo Codice che, pur avendo tipizzato con maggiore precisione una serie di elementi che possono configurare questa causa di esclusione, mantengono, tuttavia, in capo all’ente appaltante la imprescindibile valutazione in merito all’idoneità degli stessi a determinare l’esclusione o meno del concorrente.
La questione si sposta, quindi, sulla sussistenza e l’ampiezza dell’onere motivazionale nel caso in cui l’ente appaltante decida per l’ammissione del concorrente su cui gravano elementi da valutare ai fini della sua idoneità professionale. Da un lato, la giurisprudenza ha affermato che nel caso in cui la stazione appaltante non ritenga le pregresse vicende del concorrente idonee a incidere sulla sua moralità professionale fino al punto di decretarne l’esclusione dalla gara, la stessa non è tenuta a esplicitare in maniera analitica le ragioni di tale decisione, come invece deve fare nel caso del provvedimento di esclusione. Questo principio va tuttavia interpretato con le dovute cautele. Esso, infatti, non può comportare l’assenza di qualunque onere motivazionale, specie laddove sul punto vi sia stata contestazione in gara. La stessa giurisprudenza, in tempi più recenti, ha affermato che la regola dell’onere motivazionale attenuato in caso di ammissione del concorrente alla gara è destinata a subire un’eccezione. Ciò avviene nel caso in cui le pregresse vicende professionali portate all’attenzione della stazione appaltante presentino a prima vista un rilievo tale da non poter esimere la stessa dall’esplicitare le ragioni per le quali non le ritiene comunque determinati ai fini dell’esclusione dalla gara.
È quindi necessario che la stazione appaltante compia un esame completo, dal punto di vista fattuale e giuridico, di tutti gli elementi potenzialmente rilevanti ai fini dell’affidabilità professionale del concorrente e che di tale esame venga data adeguata e logica evidenza, attraverso una congrua motivazione. Nel caso di specie, a fronte di una pluralità di circostanze potenzialmente incidenti sull’affidabilità e integrità professionale del concorrente, la stazione appaltante non ha offerto alcuna evidenza delle ragioni per le quali ha ritenuto le stesse non idonee a determinare l’esclusione dalla gara. Non solo non vi è stata alcuna motivazione a sostegno dell’ammissione, ma non è stato operato neanche alcun approfondimento istruttorio, che invece sarebbe stato necessario a fronte di elementi plurimi e significativi astrattamente idonei a incidere sull’affidabilità del concorrente. A fronte di tale carenza di istruttoria e di correlata motivazione, non può essere il giudice amministrativo a sostituirsi all’ente appaltante e operare la valutazione richiesta, non potendo supplire a un potere amministrativo non esercitato. Spetta, infatti, solo alla stazione appaltante compiere le sue valutazioni in merito agli eventuali illeciti professionali dei concorrenti, con riferimento all’incidenza degli elementi prospettati sull’affidabilità degli stessi. Sulla base di tale assunto il TAR Lazio, nell’accogliere il ricorso per carenza di motivazione in merito alla decisione di ammettere il concorrente alla gara, ha invitato la stazione appaltante a rinnovare l’istruttoria ed a pronunciarsi con un provvedimento espresso e motivato sul profilo dell’idoneità professionale del concorrente stesso.
MIT, parere n. 2831/2024: obbligo di scorrimento della graduatoria di gara.
Con il parere n. 2831/2024, il MIT rammenta la corretta applicazione delle disposizioni in tema di scorrimento della graduatoria nel caso di risoluzione del contratto con l’originario aggiudicatario.
Nel caso in esame, la stazione appaltante pone all’ufficio di supporto alcuni quesiti sulla corretta applicazione dell’istituto dello scorrimento della graduatoria ai sensi dell’art. 110 del pregresso Codice. Il riscontro fornito è utile anche per meglio comprendere alcune modifiche intervenute con l’art. 124 del nuovo Codice in cui si disciplina – con novità - la fattispecie.
Nel caso, evidenziato l’ampio numero di soggetti presenti in graduatoria e stante la necessità di completare la realizzazione dell’opera con nuovo appaltatore (considerata la risoluzione contrattuale intervenuta con l’originario aggiudicatario), si chiede all’ufficio di supporto la possibilità (o meno) di utilizzare un unico interpello contemporaneo a tutte le imprese presenti in graduatoria in modo da “abbreviare i tempi” e riaffidare l’appalto (al prezzo di aggiudicazione) all’impresa dichiaratasi disponibile. Oppure, prosegue l’istanza, si chiede se la stazione appaltante possa comunque ritenersi legittimata a scegliere – ed avviare – direttamente una nuova gara d’appalto in luogo dello scorrimento.
In relazione alla possibilità di chiamare in causa contemporaneamente – attraverso un generale interpello - le imprese presenti in graduatoria, l’ufficio di supporto si esprime negativamente. Secondo il parere, le disposizioni codicistiche del 2016 (commi 1 e 2 dell’articolo 110) – che sul punto vengono in sostanza riprodotte con il nuovo articolo 124 (con una differente – e più efficace – rubrica: “Esecuzione o completamento dei lavori, servizi o forniture nel caso di procedura di insolvenza o di impedimento alla prosecuzione dell’affidamento con l’esecutore designato”) - impongono al RUP l’interpello progressivo in modo che si possa formulare la richiesta di disponibilità agli “operatori economici che seguono in graduatoria solo in caso di rifiuto del precedente interpellato”.
In relazione alla possibilità di espletare una nuova gara, in luogo dello scorrimento della graduatoria, il MIT esclude che ciò possa accadere (da notare che questo vale solo in parte anche per la nuova disposizione contenuta nell’art. 124). Per l’ufficio di supporto, la disposizione, infatti, deve intendersi perentoria/vincolante nel senso che, in presenza di graduatoria, il Codice del 2016 imponeva l’utilizzo della stessa senza possibilità alternative.
Questo obbligo è venuto meno con il nuovo Codice dei Contratti visto che l’attuale primo comma dell’art. 124, conferma quanto già previsto nell’articolo 110 ovvero che lo scorrimento riguarda i casi “di liquidazione giudiziale, di liquidazione coatta e concordato preventivo, oppure di risoluzione del contratto ai sensi dell’articolo 122 o di recesso dal contratto ai sensi dell’articolo 88, comma 4-ter, del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, oppure in caso di dichiarazione giudiziale di inefficacia del contratto”, salvo, poi, apportare una importante novità. Si ribadisce, infatti, lo scorrimento della graduatoria ma sempre che sia “tecnicamente ed economicamente possibile”.
Pertanto, il RUP, nella sua istruttoria e decisione di scorrimento dovrà certificare, per il proprio dirigente/responsabile del servizio (e, quindi, per la stazione appaltante), l’adeguatezza tecnica rispetto all’intervento da realizzare. In difetto, ma con adeguata motivazione, potrà decidere di indire una nuova gara d’appalto.
Da notare che l’art. 124 – nel comma 2 – aggiunge, oltre alla possibilità di aggiudicare agli stessi prezzi proposti dall’originario aggiudicatario, se precisato nella legge di gara, la possibilità di stabilire che “il nuovo affidamento avvenga alle condizioni proposte dall’operatore economico interpellato”.
Altre novità sono previste nei commi 3 e 4 del nuovo articolo. Nel comma 3 si prevede l’opportunità dello scorrimento della graduatoria, in caso di appalto sopra la soglia comunitaria per i lavori e di importo pari o superiori al milione di euro per beni/servizi, ma solo previo parere del collegio consultivo.
Ulteriore novità è stata innestata nel nuovo comma 4 in cui si è previsto – a differenza del pregresso regime – “che la sopravvenienza della liquidazione giudiziale dopo il provvedimento di aggiudicazione non comporti automaticamente la decadenza dall’aggiudicazione, ma il contratto possa essere stipulato col curatore autorizzato all’esercizio dell’impresa, previa autorizzazione del giudice delegato”.
Nella relazione tecnica al Codice, a tal riguardo si spiega che “si tratta di una situazione in cui la partecipazione e l’aggiudicazione sono avvenute quando l’imprenditore era ancora in bonis, del tutto legittimamente, e manca soltanto l’aspetto formale della stipulazione”.
Il comma in argomento si chiude con la precisazione che l’autorizzazione alla stipula del contratto deve però intervenire entro i 60 giorni dall’aggiudicazione (30 per i contratti sottosoglia comunitaria) se non è stato stabilito un termine diverso dalla stazione appaltante o, eventualmente, sia stato concertato tra le parti. In difetto, prosegue la norma, “il curatore è da intendersi sciolto da ogni vincolo”.