RUBRICA AGGIORNAMENTO GIURISPRUDENZIALE n. 8/2023
D.lgs. n. 36/2023: stipula del contratto senza «stand still» per l'intero sottosoglia.
Il RUP non deve rispettare lo "stand still" per predisporre gli atti per la stipula dei contratti di importo inferiore alla soglia comunitaria. È questa una delle novità contenute nell'art. 18 del nuovo Codice degli Appalti.
Lo "stand still" si sostanzia in una sorta di stop di 35 giorni dall'ultima comunicazione del provvedimento di aggiudicazione entro cui, salvo una serie di eccezioni, il dirigente/responsabile del servizio non può stipulare il contratto. Termine, questo, che evita di vanificare/rendere più complessa la difesa in giudizio dei soggetti interessati all’aggiudicazione.
L'art. 18 del nuovo Codice precisa che il termine dilatorio non si applica:
- nel caso di procedura di aggiudicazione in cui sia stata presentata o ammessa una sola offerta e non sono state tempestivamente proposte impugnazioni del bando o della lettera di invito, o le impugnazioni sono già state respinte con decisione definitiva;
- in caso di appalti basati su un accordo quadro;
- nell'ipotesi di appalti basati su un sistema dinamico di acquisizione;
- nel caso di contratti di importo inferiore alle soglie europee.
L'affrancamento complessivo dallo “stand still” per l'intero sottosoglia rappresenta la novità rispetto alle previsioni contenute nel codice del 2016 in cui, nel caso di specie, si prevedeva la possibilità di non applicare la regola in parola per l'acquisto “effettuato attraverso il mercato elettronico nei limiti di cui all'articolo 3, lettera bbbb) e nel caso di affidamenti effettuati ai sensi dell'art. 36, co. 2, lett. a) e b)”.
La deroga sul rispetto del termine dilatorio, per l'intero sottosoglia, attua la direttiva contenuta nella legge delega n. 78/2022, in cui si assicura una “riduzione e certezza dei tempi”, non solo relativamente alle procedure di gara ma anche “alla stipula dei contratti”, in modo da velocizzarne l'esecuzione. Da notare che, in ogni caso, la giurisprudenza ha evidenziato che la violazione del termine dilatorio integra una mera irregolarità e non porta all'annullamento dell'aggiudicazione, né a dichiarazioni di inefficacia salvo il caso di vizi specifici di questa (Cfr. Cons. Stato, sez. V, sent. n. 9995/2022).
Il co. 4 ribadisce, invece, l'applicazione dello “stand still processuale". In pratica, la stipula del contratto viene sospesa nel caso di “ricorso avverso l'aggiudicazione con contestuale domanda cautelare” e il contratto non può essere stipulato dal momento della notifica dell'istanza cautelare alla stazione appaltante o all'ente concedente almeno “fino alla pubblicazione del provvedimento cautelare di primo grado o del dispositivo o della sentenza di primo grado, in caso di decisione del merito all'udienza cautelare”. L'effetto sospensivo cessa quando, in sede di esame della domanda cautelare, il giudice si dichiara incompetente “o fissa con ordinanza la data di discussione del merito senza pronunciarsi sulle misure cautelari con il consenso delle parti, valevole quale implicita rinuncia all'immediato esame della domanda cautelare”.
Altre novità sono previste nel co. 5 dell'art. 18, in cui si disciplina una possibile alternativa per l'operatore economico in caso di superamento, da parte della stazione appaltante, del termine per la stipula del contratto. La stipula deve avvenire entro 60 giorni dal momento in cui l'aggiudicazione è divenuta efficace (30 giorni per i contratti del sottosoglia), fatta salva la possibilità di fissare un termine diverso da parte della stazione appaltante o previo accordo tra le parti. In caso di ritardo sul termine in parola, l'aggiudicatario ha l'alternativa di svincolarsi dagli impegni notificando la propria volontà ed in questo caso non ha diritto ad “alcun indennizzo, salvo il rimborso delle spese contrattuali”, oppure può eccepire il silenzio inadempimento che potrebbe aprire anche forme risarcitorie specifiche.
Se i ritardi sono imputabili all'aggiudicatario - altra novità - la stazione appaltante può valutare di revocare l'aggiudicazione. Nella relazione tecnica, a salvaguardia degli interessi pubblici superiori, si rammenta però che “l'esercizio dell'autotutela, in particolare della revoca, non è obbligatorio”, pertanto “le parti potranno comunque addivenire ad una stipulazione tardiva se corrisponde all'interesse pubblico”. Nel caso in cui il contratto debba essere approvato, al contratto deve essere apposta una “condizione risolutiva”, non più sospensiva, “dell'esito negativo della sua approvazione, laddove prevista, da effettuarsi entro trenta giorni dalla stipula. Decorso tale termine, il contratto si intende approvato”. La mancata stipula del contratto, al di fuori delle ipotesi riportate, “costituisce violazione del dovere di buona fede, anche in pendenza di contenzioso”.
Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 5393/2023: non va escluso il concorrente che conclude un accordo di ristrutturazione del debito.
L'accordo di ristrutturazione del debito, omologato dal Tribunale, non costituisce causa di esclusione dalle gare dell'operatore. Non è neanche necessario, ai fini della partecipazione alla procedura di gara, che tale accordo sia accompagnato dalla relazione di un professionista che attesti la conformità dell'accordo al piano e la ragionevole capacità dell'impresa di adempiere al contratto, come è previsto nel caso di concordato preventivo. Infatti, accordo di ristrutturazione del debito e concordato preventivo sono due istituti distinti per caratteristiche e finalità, e non è, quindi, corretto estendere al primo le regole che sono proprie del secondo.
In termini più generali, le cause di esclusione dalle gare rappresentano un numero chiuso e hanno carattere tassativo, per cui non è legittimo procedere alla esclusione di un concorrente in ipotesi diverse da quelle espressamente indicate dalla relativa disciplina.
Sono queste le principali affermazioni contenute nella sentenza del Consiglio di Stato in commento, da esaminare anche alla luce della disciplina sulle cause di esclusione contenuta nel nuovo Codice. La pronuncia contiene anche interessanti affermazioni in merito alla corretta applicazione del principio di equivalenza, relativamente ai limiti entro i quali è legittimo che un concorrente presenti in sede di offerta tecnica prodotti e/o prestazioni non identiche - ma appunto equivalenti – rispetto a quanto indicato nella documentazione di gara.
Nel caso esaminato dal Giudice amministrativo, un ente appaltante aveva bandito una gara per l'affidamento del servizio integrato di raccolta dei rifiuti, da aggiudicarsi con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa. A fronte dell'intervenuta aggiudicazione il secondo classificato proponeva ricorso. Il ricorso si fondava su una serie di motivi di censura, di cui due erano i più rilevanti. Con il primo si contestava la mancata esclusione dalla gara dell'aggiudicatario, in quanto lo stesso era soggetto a un accordo di ristrutturazione del debito ex art. 182–bis della legge fallimentare. Secondo il ricorrente la presenza di questo accordo omologato dal Tribunale avrebbe inciso in maniera sostanziale sull'affidabilità e solidità finanziaria dell'impresa, e avrebbe dovuto portare all'esclusione del concorrente, anche in considerazione della mancanza della relazione del professionista volta a confermare l'idoneità dell'impresa all'adempimento del contratto. Un secondo rilevante motivo di ricorso era legato alla ritenuta presentazione da parte dell'aggiudicatario di un'offerta tecnica contenente delle specifiche non conformi a quelle indicate nella documentazione di gara, con conseguente errata applicazione da parte della stazione appaltante del principio di equivalenza.
Il TAR Puglia respingeva il ricorso. Relativamente al primo profilo di censura, evidenziava che l'accordo di ristrutturazione del debito non è ricompreso tra le cause di esclusione dalle gare indicate all'art. 80 del d.lgs. n. 50/2016, la cui elencazione deve ritenersi avere carattere tassativo. Né appariva necessario che, ai fini della partecipazione alla gara, l'accordo fosse accompagnato dalla relazione del professionista attestante la conformità al piano e la capacità di adempimento del contratto, trattandosi di un documento previsto per la diversa ipotesi del concordato preventivo. Peraltro, l'accordo di ristrutturazione non precostituisce un ingiustificato privilegio per l'operatore economico, ma rappresenta piuttosto un ragionevole contemperamento tra la libertà di iniziativa economica privata e l'esigenza dell'interesse pubblico al recupero dei crediti tributari e previdenziali.
Quanto al secondo profilo di censura, il giudice amministrativo ha ritenuto che la stazione appaltante abbia fatto un corretto uso del principio di equivalenza di cui all'art. 68 del d.lgs. n. 50, ritenendo sostanzialmente assimilabili gli elementi contenuti nell'offerta tecnica dell'aggiudicatario con quelli definiti nella documentazione di gara. La sentenza del TAR Puglia è stata oggetto di ricorso al Consiglio di Stato, che ne ha tuttavia sostanzialmente confermato le conclusioni.
Sotto il profilo dell’accordo di ristrutturazione del debito, il Consiglio di Stato amplia e condivide le argomentazioni del giudice di primo grado. Ricorda, in primo luogo, che le cause di esclusione collegate allo stato di crisi dell'impresa sono indicate in maniera puntuale da legislatore: fallimento, liquidazione coatta, concordato preventivo o sottoposizione a una di queste procedure concorsuali. Questa elencazione è da considerarsi tassativa e non suscettibile di interpretazione analogica. Di conseguenza, l'accordo di ristrutturazione del debito – non essendovi ricompresa – non può costituire causa di esclusione dalla gara. Infatti, a fronte di casi di esclusione indicati dal legislatore che rappresentano un numero chiuso e sono di stretta interpretazione, procedere all'esclusione in ipotesi diverse in quanto ritenute assimilabili si porrebbe in contrasto con i principi del favor partecipationis e del legittimo affidamento dei concorrenti.
Né l'accordo di ristrutturazione può, in alcun modo, essere assimilato al concordato preventivo. Si tratta di istituti del tutto distinti e regolamentati da specifiche discipline, il che impedisce anche sotto questo profilo qualunque possibilità di applicazione analogica dell'obbligo di presentare in sede di gara la relazione di un professionista con i contenuti sopra ricordati (prevista solo in relazione al concordato preventivo).
Le conclusioni del giudice amministrativo escono confermate e anzi rafforzate dal nuovo quadro normativo delineato dal d.lgs. n. 36/2023. Da un lato, l'art. 94 conferma, tra le cause di esclusione dalla gara, l'ipotesi che l'operatore economico che sia stato sottoposto a liquidazione giudiziale o si trovi in stato di liquidazione coatta o di concordato preventivo o nei cui confronti sia in corso un procedimento per l'accesso a una di tali procedure (comma 1, lettera d). Rispetto a questa disciplina restano ferme tutte le considerazioni sviluppate nelle due pronunce del TAR Puglia e del Consiglio di Stato.
Ma v’è un'altra previsione, contenuta nell'art. 10, che rafforza le conclusioni del giudice amministrativo. Tale disposizione ricomprende tra i principi generali del Codice quello della tassatività delle cause di esclusione, cui viene accompagnata la previsione secondo cui le clausole che prevedono cause ulteriori di esclusione sono nulle e si considerano come non apposte. Il che rende ancora più evidente l'impossibilità di adottare interpretazioni estensive o analogiche in merito alla disciplina delle esclusioni dalle gare.
In relazione al secondo motivo di ricorso (principio di equivalenza delle prestazioni) il Consiglio di Stato ricorda, in primo luogo, che la documentazione di gara prevedeva che l'offerta tecnica dovesse rispettare le caratteristiche minime indicate negli elaborati progettuali e gli standard di servizio minimi. Secondo il ricorrente l'offerta tecnica dell'aggiudicatario non avrebbe rispettato tali requisiti minimi in relazione alla sostituzione di un contenitore per la raccolta di rifiuti con altro contenitore avente caratteristiche diverse e peggiorative. Questa circostanza avrebbe dovuto comportare l'esclusione dell'offerta dell'aggiudicataria, in quanto recante un prodotto – e quindi una prestazione – diverso/a da quello/a richiesto/a. La mancata esclusione sarebbe quindi ascrivibile a una errata applicazione da parte dell'ente appaltante del principio di equivalenza sancito dall'art. 68 del d.lgs. n. 50, che non poteva essere invocato nel caso di specie, in quanto la documentazione di gara non aveva richiesto genericamente una determinata prestazione, ma aveva specificato le caratteristiche tipologiche e strutturali del servizio da rendere e dei prodotti da utilizzare. Anche questa censura è stata respinta dal Consiglio di Stato.
Nella pronuncia viene, infatti, evidenziato che l'esclusione dell'offerta per difformità dai requisiti minimi può operare solo nel caso in cui la documentazione di gara indichi in maniera puntuale e con assoluta certezza i caratteri delle prestazioni e dei prodotti richiesti. Laddove, invece, emergano margini di dubbio, riprende vigore il principio che impone di interpretare le clausole del disciplinare in maniera da favorire la più ampia partecipazione alle gare. In questo senso si deve ritenere che, prima la stazione appaltante, e, successivamente, il giudice di primo grado abbiano fatto corretta applicazione del principio di equivalenza. Per ritenere che lo stesso non operi occorre, infatti, che chi ne contesta l'utilizzo dimostri, in maniera inequivocabile, che i due prodotti a confronto abbiano caratteristiche del tutto differenti, tale da alterare l'oggetto della prestazione. Dimostrazione che nel caso di specie non vi è stata.
ANAC, parere n. 23/2023: no all'appalto offerto come transazione per chiudere il contenzioso con l'impresa.
Una stazione appaltante non può concludere un accordo transattivo con un'azienda offrendole in cambio lo stesso appalto revocato per grave inadempimento. Un operatore economico, peraltro, su cui è stata disposta l'annotazione nel casellario informatico delle imprese. È quanto ha precisato l’ANAC, rispondendo ad una richiesta di parere da parte di un Comune marchigiano.
In sede di esecuzione del contratto era sorta una controversia fra il Comune e la ditta affidataria, che aveva portato alla revoca dell'appalto. Successivamente, volendo chiudere il contenzioso che ne era nato, il Comune marchigiano proponeva un accordo che prevedeva l'aggiudicazione alla stessa dell'appalto come transazione. L'Autorità, ricordando che, comunque, deve essere interpellata l'Avvocatura dello Stato prima di procedere ad un accordo transattivo, ha ribadito in maniera chiara “il carattere imperativo ed indisponibile dei sistemi di affidamento dei contratti pubblici, e la necessità che detti contratti siano aggiudicati ad operatori economici in possesso di adeguati requisiti professionali e morali, inclusa l'assenza di gravi illeciti professionali, tanto più se commessi – come nel caso in questione – in relazione allo stesso contratto che si intende riaffidare, quale presupposto indispensabile per garantire la corretta esecuzione e la qualità delle prestazioni dedotte nel contratto d'appalto, nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza”.
In sostanza, con il parere in commento, l'Autorità esclude che sia ammissibile un “accordo con cui si instaura con l'appaltatore un nuovo e diverso rapporto contrattuale, per soddisfare un interesse diverso da quello dedotto nel contratto originario a seguito di una procedura ad evidenza pubblica”. Non si può, quindi, concludere una transazione per risolvere un contenzioso, dando in cambio un appalto. Poiché “la conclusione di un accordo transattivo tra amministrazione aggiudicatrice ed appaltatore al fine di tacitare le pretese avanzate da quest'ultimo in sede giurisdizionale in cambio di un nuovo affidamento di lavori, determina un grave vulnus agli equilibri concorrenziali. Le procedure di affidamento sono, infatti, rigorosamente soggette alla normativa comunitaria e nazionale a tutela della libera concorrenza e non possono essere oggetto di scambi transattivi in termini di affidamento lavori/rinuncia alle liti”.