RUBRICA AGGIORNAMENTO GIURISPRUDENZIALE n. 7/2024
RUBRICA AGGIORNAMENTO GIURISPRUDENZIALE n. 7/2024
Delibera ANAC n. 255/2024: l’Autorità boccia la gara gestita da Asmel per conto di un Comune lucano.
Dopo la sospensione della qualificazione come centrale di committenza, prosegue lo scontro tra l’Autorità Anticorruzione e Asmel, associazione che rappresenta circa 4.500 Comuni.
Il casus belli questa volta è rappresentato dalla gara gestita da Asmel Consortile per conto del Comune di Sant’Angelo le Fratte (non qualificato), in provincia di Potenza. In ballo c’era una procedura da 305.000 euro - promossa a dicembre 2023 quando Asmel Consortile non aveva ancora subito il provvedimento di sospensione della qualificazione - per affidare l’incarico di progettazione definitiva ed esecutiva dei lavori di messa in sicurezza di un costone roccioso a rischio dissesto. Gara che ora l’ANAC chiede al Comune di annullare in autotutela entro 20 giorni e di fare gestire a un nuovo soggetto qualificato.
“Le criticità emerse – scrive l’Autorità Anticorruzione nella delibera n. 255 del 24 maggio 2024 - appaiono estremamente gravi, afferendo sia alla competenza dello svolgimento del procedimento di gara che alla sua concreta conduzione”.
Due in particolare le principali contestazioni.
La prima riguarda la nomina del Rup. L’ANAC rileva che, in qualità di centrale di committenza, Asmel Consortile avrebbe dovuto nominare un proprio Responsabile unico del progetto (Rup), ma ha invece designato solo un Responsabile della Fase di affidamento (RFA), violando così l’art. 62, co. 13, del d.lgs. n. 36/2023. La nomina, inoltre, è stata effettuata con un atto analogico, in violazione dell’art. 19, co. 3, d.lgs. n. 36/2023, che richiede la completa digitalizzazione degli atti delle procedure di gara. Sul punto, l’ANAC sottolinea che “la nomina del Rup da parte dell’ente qualificato non è un mero formalismo ma ha il chiaro obiettivo di garantire che la procedura di gara sia giuridicamente ed effettivamente svolta da un soggetto adeguatamente qualificato, in coerenza il principio di necessaria qualificazione delle stazioni appaltanti. Al contrario, ammettendo cioè che l’ente qualificato nomini solo un Rfa, quest’ultimo sarebbe sottoposto alla supervisione, indirizzo e coordinamento del soggetto beneficiario, che tuttavia sarebbe non qualificato”.
La seconda obiezione riguarda, invece, la divisione dei ruoli tra la centrale di committenza ed il Comune. Nonostante Asmel Consortile fosse il soggetto qualificato, molti atti fondamentali della procedura di gara sono stati adottati dal comune non qualificato. Questo include la nomina della commissione giudicatrice e la gestione delle risposte ai quesiti dei partecipanti, compiti che per ANAC spettavano al Rup di un soggetto qualificato. “Il Legislatore – spiega ANAC nella delibera – con il nuovo Codice degli Appalti ha riservato a soggetti qualificati (centrali di committenza o stazioni appaltanti) lo svolgimento delle procedure di affidamento superiori a determinate soglie previste dalla legge, in ragione della maggiore complessità di tali procedure e della migliore competenza degli enti qualificati. Pertanto, nel caso in cui la fase di affidamento del contratto pubblico sia svolta da una stazione appaltante qualificata per conto di altra non qualificata, la prima dovrà svolgere l’intera fase e adottare i relativi atti”.
Dall’istruttoria dell’ANAC emerge, inoltre, “una certa approssimazione nella gestione della procedura”, in quanto “è stata creata una situazione di oggettiva incertezza in ordine al contenuto dei requisiti di partecipazione, certamente incidente sul regolare svolgimento della procedura di gara e sull’interesse a partecipare da parte di altri concorrenti (oltre gli otto indicati dal comune)”.
Ora, il Comune di Sant’Angelo le Fratte ha tempo venti giorni per comunicare all’Autorità le azioni che intende intraprendere in risposta alla delibera. In caso di reiterazione delle violazioni, ANAC è pronta ad attivare i poteri sanzionatori previsti dal nuovo Codice. Per questo l’Autorità ritiene “opportuno raccomandare ulteriormente di garantire l’effettivo svolgimento della procedura di gara da parte di soggetto adeguatamente qualificato, anche nella concreta gestione dei singoli atti del procedimento”. Infine, “per opportuna completezza va soggiunto che con Delibera 195 del 23.4.2024, Asmel Consortile scarl è stata sospesa dall’elenco delle stazioni appaltanti qualificate, stante la presenza di diverse criticità, con ciò allo stato essendole precluso pro futuro lo svolgimento delle procedure di affidamento”. Come dire: obbligatorio affidarsi a qualcun altro.
Consiglio di Stato, sez. III, sent. n. 4701/2024: principio del risultato, si premia oltre a rapidità ed economicità anche la qualità della prestazione.
La scelta del contraente deve fondarsi non solo sulla base dell’affidabilità e dell’economicità della proposta, ma deve tener conto anche della capacità qualitativa del soggetto di concorrere a tutelare, concretamente, gli interessi pubblici delineati dall’Amministrazione ai fini della gestione dell’opera e/o del servizio. Lo ha stabilito il Consiglio di Stato nella sentenza in commento.
Nel caso di specie, un partecipante alla gara ha impugnato gli atti di aggiudicazione per violazione della disciplina dei criteri ambientali minimi tenuto conto che:
1. i criteri ambientali minimi (CAM) venivano richiamati nel disciplinare tecnico senza, poi, essere coerentemente declinati nella legge di gara;
2. l’amministrazione determinava, sulla base della propria discrezionalità in sede di valutazione delle offerte, specifici criteri di valutazione, destinando soltanto 4 punti su 70 alla sostenibilità ambientale, limitata, tra l’altro, al solo profilo delle misure migliorative.
Il TAR Campania, con la sentenza n. 377/2024, ha rigettato il ricorso applicando il principio di “eterointegrazione” della gara e facendo leva sul generale principio del risultato di cui all’art. 1 del Codice. La sentenza del TAR è stata impugnata davanti al Consiglio di Stato che, nel tentativo di chiarire la soglia (minima) normativa di esigibilità della previsione dei criteri ambientali minimi all’interno della legge di gara, mette in evidenza interessanti sviluppi sull’applicazione del principio del risultato che l’amministrazione pubblica deve seguire negli affidamenti dei contratti pubblici.
Nel caso in esame la legge di gara non aveva previsto, disciplinato e articolato in nessun modo i CAM riferiti alle categorie merceologiche ed ai servizi compresi nell’appalto, limitandosi a richiamare genericamente l’applicabilità di tutte le disposizioni di legge e regolamentari vigenti in materia, senza alcuna ulteriore specificazione e declinazione all’interno della documentazione di gara.
Sul punto, il Consiglio di Stato ha ritenuto non legittime le motivazioni assunte dal TAR con riguardo al principio di eterointegrazione del bando – per cui i CAM genericamente richiamati entrano, comunque, a far parte della legge di gara – in quanto tali criteri, stabiliti per legge, non possono essere considerati quali elemento formale, ma piuttosto sostanziale, dal momento che le prescrizioni in questione mirano a conformare l’esecuzione della prestazione contrattuale, in conformità delle previsioni normative (art. 57, co. 2, del d.lgs. n. 36/2023). In tal senso, il Consiglio nella sentenza n. 9879 del 2022: “L’obbligatorietà di detti criteri e le gravi conseguenze che se ne devono trarre nella sede giudiziale di valutazione di legittimità delle procedure pubbliche di affidamento che non ne tengano debito conto depongono nel senso di valutare la questione del loro recepimento nella legge di gara sotto il profilo sostanziale, piuttosto che sotto il profilo formale del loro richiamo”.
Di fatto, la generica formulazione di applicazione dei suddetti criteri, senza che gli stessi siano declinati, limita la possibilità dell’operatore economico di poter formulare un’offerta consapevole.
Anche con riferimento al limitato peso che la PA ha riservato ai CAM nell’ambito dei criteri di valutazione delle offerte, sulla base dell’ampia discrezionalità riconosciuta, non avendone definito i contorni in sede di gara, il Consiglio di Stato ha ritenuto non condivisibile tale comportamento, rilevando, nel caso in esame, una non adeguata individuazione dell’interesse pubblico sotteso alla gara. Il Collegio, infatti, ricorda che:
1. le previsioni del Codice degli Appalti in materia di sostenibilità ambientale non sono casuali, ma impongono una conformazione degli obblighi negoziali funzionale, sul piano sostanziale, all’effettiva esecuzione della prestazione dell’appaltatore in conformità alle specifiche tecniche portate dai criteri ambientali;
2. la definizione dei CAM è funzionale a far emergere il cosiddetto “interesse pubblico”, perseguito dalla PA, che si connota di una componente non rimessa alla valutazione discrezionale dell’amministrazione, ma obbligatoriamente richiesta dalla legge come condizionante il contenuto delle offerte e delle prestazioni.
Pertanto, secondo il Consiglio di Stato il ricorso alla eterointegrazione della legge di gara a opera dei decreti che disciplinano gli specifici criteri ambientali non è sufficiente a far ritenere rispettate le previsioni, in materia di sostenibilità ambientale, previste dal Codice degli Appalti (C.d.S., sentenza n. 8773/2022).
Il Consiglio di Stato ha ritenuto, infine, non legittime le considerazioni proposte dal TAR che legittimava il comportamento della PA facendo leva sul principio del risultato e, più nello specifico, del prioritario interesse pubblico di dare attuazione all’appalto in modo tempestivo.
Sul punto, il Collegio mette in luce che i contratti pubblici sono stati sottoposti a una vera e propria evoluzione normativa: dalla concezione cosiddetta “unipolare” (limitata alle esigenze contabili) si è passati a quella “bipolare” (affiancando alla prima l’interesse pro-concorrenziale e la libera circolazione) e si è arrivati, infine, a quella “multipolare”, mediante la quale si attribuisce al contratto anche il ruolo di strumento di politiche sociali ed ambientali (Direttiva 2014/24/Ue).
Nell’attuale quadro normativo, dunque, il contratto di appalto non è solo un mezzo che consente all’amministrazione di procurarsi beni o di erogare servizi alla collettività, ma funge da “strumento a plurimo impiego” funzionale all’attuazione di politiche pubbliche ulteriori rispetto all’oggetto negoziale immediato: uno strumento – plurifunzionale – di politiche economiche e sociali, con conseguenti ricadute sulla causa del provvedimento di scelta del contraente (Consiglio di Stato, sezione III, sentenza n. 11322/2023).
Tali precetti costituiscono il “motore” delle valutazioni della PA sottostante l’interesse pubblico di scelta del contraente; interesse perseguito non più solo sul piano dell’affidabilità e dell’economicità, bensì anche sul terreno della capacità dell’operatore di concorrere, concretamente, alla tutela degli ulteriori interessi pubblici nel frattempo normativamente assegnati alla cura dell’amministrazione (tra cui, per l’appunto, la sostenibilità ambientale).
Da tale impostazione emerge il “risultato” ricercato dalla legge che non è dato dal mero obiettivo di garantire l’effettivo e tempestivo svolgimento del servizio (a qualsiasi condizione), ma, bensì, lo svolgimento del servizio finalizzato all’attuazione delle politiche ambientali alle quali risultano funzionali i criteri ambientali minimi.
Nell’accogliere l’appello, il Consiglio di Stato ricorda che la nozione di risultato, anche alla luce del significato attribuito dal d.lgs. n. 36 del 2023, non ha riguardo unicamente alla rapidità e alla economicità, ma anche alla qualità della prestazione e, pertanto, la “migliore offerta” deve rintracciarsi in quella che garantisce le migliori condizioni economiche ma solo a parità di requisiti qualitativi richiesti.
Nella specifica materia dei criteri ambientali minimi, la giurisprudenza afferma che il mero richiamo ai criteri ambientali da parte della legge di gara “non equivale a prospettare la conformità del risultato della gara allo scopo voluto dai parametri normativi”. È necessaria una loro concreta determinazione e parametrazione nella legge di gara ai fini della valutazione concreta delle offerte. Un monito per la redazione dei bandi pubblici alla luce del nuovo Codice degli Appalti.
TAR Calabria, sez. I, sent. n. 848/2024: l’invito a manifestare interesse è una procedura negoziata, non affidamento diretto.
La predisposizione dell’avviso pubblico a manifestare interesse qualifica la procedura di assegnazione dell’appalto come procedura negoziata e non un procedimento di affidamento diretto visto che innesta un procedimento di selezione che è assente nell’affidamento diretto.
La sentenza citata si sofferma su una questione sostanziale che riguarda la corretta definizione del procedimento amministrativo dell’affidamento diretto. È ampiamente noto che il nuovo Codice – a differenza del pregresso – contiene una chiara definizione dell’affidamento diretto rispetto alle procedure di aggiudicazione.
L’affidamento diretto, evidenzia l’allegato I.1 - che contiene le “Definizioni dei soggetti, dei contratti, delle procedure e degli strumenti», art. 3, (definizione “delle procedure e degli affidamenti”), co. 1, lett. d) – puntualizza che per affidamento diretto si intende “l’affidamento del contratto senza una procedura di gara, nel quale, anche nel caso di previo interpello di più operatori economici, la scelta è operata discrezionalmente dalla stazione appaltante o dall’ente concedente, nel rispetto dei criteri qualitativi e quantitativi di cui all’articolo 50, comma 1 lettere a) e b), del codice e dei requisiti generali o speciali previsti dal medesimo codice”. L’affidamento diretto, pertanto e a differenza degli altri sistemi di assegnazione del contratto, non ha (non genera) una procedura di gara/selezione neppure nel caso in cui venga strutturato con la considerazione/consultazione di più preventivi.
Da ciò il dubbio sulla possibilità di utilizzare, in relazione all’affidamento diretto, l’avviso pubblico a manifestare interesse a cui segue poi l’invito che genera, in realtà, una selezione – una procedura di selezione/gara. Come emerge dalla sentenza in commento, con l’avviso pubblico non si può parlare di affidamento diretto.
Non a caso, l’art. 49 (che dispone in tema di rotazione) prevede l’avviso pubblico solo con riferimento alla procedura negoziata. Più nel dettaglio, il co.5 dell’articolo citato spiega che per i contratti affidati con le procedure negoziate di cui all’art. 50, co. 1, lettere c), d) ed e), le stazioni appaltanti non applicano il principio di rotazione quando l’indagine di mercato sia stata effettuata senza porre limiti al numero di operatori economici in possesso dei requisiti richiesti da invitare alla successiva procedura negoziata. E, successivamente, lo stesso art. 50, co. 1, lett. c), d) ed e), esige che i competitori vengano individuati in “base ad indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici”.
Completa la disciplina (sulle formalità di avvio della procedura negoziata) il co. 2 dell’art. 2 dell’allegato II.2, relativo alla disciplina delle indagini di mercato ed all’elenco degli operatori economici per gli affidamenti dei contratti di importo nel sottosoglia comunitario.
Al di là dell’equivoco riferimento all’affidamento, nella rubrica dell’articolo, in realtà fin dall’articolo 1 dell’allegato si precisa che lo stesso disciplina la dinamica di scelta degli operatori da invitare alle procedure negoziate e, quindi, per contratti di importo pari o superiore ai 140.000 euro per servizi e forniture e pari o superiori ai 150.000 euro per lavori.
La disposizione contenuta nell’art. 2, co. 2, dell’allegato precisa che “La stazione appaltante assicura l’opportuna pubblicità dell’attività di esplorazione del mercato, scegliendo gli strumenti più idonei in ragione della rilevanza del contratto per il settore merceologico di riferimento e della sua contendibilità. A tal fine la stazione appaltante pubblica un avviso sul suo sito istituzionale e sulla Banca dati nazionale dei contratti pubblici dell’Anac”.
L’avviso, quindi, è obbligatorio ed è chirurgicamente contemplato per le sole procedure negoziate, implicando l’attivazione di una procedura di selezione. Procedura di selezione, come detto, che non è presente nell’affidamento diretto, neppure con più preventivi.
Se il RUP utilizza, per l’affidamento diretto, l’avviso pubblico a manifestare interesse, pertanto, innesta nel procedimento amministrativo un elemento specifico della procedura di aggiudicazione. Questo approccio istruttorio snatura l’affidamento diretto determinando il passaggio da procedimento a procedura di aggiudicazione (ovvero a procedura negoziata). Questo è ciò che emerge dalla sentenza che non avvalla l’affidamento diretto con avviso pubblico chiarendone i limiti.
Nel caso di specie, semplificando, al pregresso affidatario viene impedita la partecipazione per effetto dell’applicazione del criterio della rotazione. Il ricorrente contesta che, in realtà, pur nella volontà di procedere con l’affidamento diretto la stazione appaltante pubblicava degli avvisi a manifestare interesse senza limitazione di partecipazione.
In particolare, con la modalità di selezione la stazione appaltante prevedeva l’invito in favore di chi avesse manifestato interesse e, quindi, una successiva fase di confronto tra preventivi su Mepa, con la previsione dell’affidamento diretto del servizio all’operatore economico “in possesso dei requisiti e di pregresse e documentate esperienze analoghe a quelle oggetto di affidamento, che presenterà l’offerta più congrua e conveniente, in quanto in grado di garantire un rispondente alle esigenze dell’amministrazione ad un costo allineato con i valori di mercato”.
Anche il ricorrente manifestava interesse ritenendo di aver titolo alla partecipazione per effetto della pubblicazione di un avviso pubblico senza alcuna limitazione di partecipazione al quale, per l’art. 49, non si applica la rotazione.
Da notare che il ricorrente partecipava fin dal primo avviso pubblico (unico partecipante), senza ammissione alla fase successiva per effetto dell’applicazione del criterio della rotazione, presentando un ribasso più conveniente rispetto all’affidamento poi avvenuto – ad altro operatore - con il secondo avviso pubblico.
Da qui l’affermazione del ricorrente di un operato illegittimo da parte della stazione appaltante per aver impedito la partecipazione ad un avviso pubblico aperto a tutti gli interessati.
Il Giudice ha condiviso le doglienze. In primo luogo, ricordando che in caso di avviso aperto, fin dalle linee guida ANAC n. 4, la rotazione non costituisce un elemento istruttorio sempre che la stazione appaltante “non disponga alcuna limitazione in ordine al numero di operatori economici tra i quali effettuare la selezione (ex multis, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 31 marzo 2023, n. 5555)”.
Nel caso di specie, inoltre, si legge in sentenza, “emerge come l’avviso pubblico (…) non abbia integrato un affidamento diretto, essendo in esso prevista una selezione aperta a tutti e basata sul criterio dell’offerta più congrua e conveniente, così da escludere una potenziale lesione del principio di rotazione”.
L’inciso sopra riportato ha una rilevanza istruttoria per il RUP rilevantissima: attraverso l’avviso pubblico la stazione appaltante innesta una procedura di selezione scostandosi dalla fattispecie dell’affidamento diretto avviando in realtà un’autentica procedura negoziata. Se, poi, l’avviso in parola non pone alcun limite alla partecipazione, la rotazione non può essere applicata salvo che ciò non venga espressamente chiarito nell’avviso medesimo. In questo modo, però, il RUP innesta dei limiti alla partecipazione (che, quindi, non è aperta). Da notare che il ricorrente ha ottenuto una pronuncia favorevole per il risarcimento danni per perdita di chance (determinata dalla illegittima esclusione).
Delibera ANAC n. 234/2024: illegittima l’esclusione basata su una semplice contestazione dell’Agenzia delle Entrate.
Non basta una semplice contestazione ricevuta dall’Agenzia delle Entrate per escludere un’impresa da una gara d’appalto. A chiarire il livello minimo di gravità per considerare la contestazione utile ai fini dell’esclusione da una gara, ricordando quanto prevedere ora il nuovo Codice degli Appalti, è un parere di precontenzioso (delibera n. 234 del 15 maggio 2024), emesso dall’Autorità Anticorruzione in risposta a un caso riguardante il Museo regionale di Messina.
Il Museo regionale di Messina aveva escluso una società dalla gara a causa di una violazione contestata dall’Agenzia delle Entrate. La violazione riguardava il mancato o inesatto versamento dell’Ires per l’anno fiscale 2020. Tuttavia, la società aveva già ottenuto la rateizzazione del debito entro il termine previsto dalla contestazione.
L’ANAC ha spiegato che, per considerare una violazione come grave ai fini dell’esclusione da una gara, il valore della violazione deve essere almeno pari a 35.000 euro e deve rappresentare almeno il 10% del valore dell’appalto. Nel caso specifico, la violazione contestata non raggiungeva tali soglie. A stabilire definitivamente le soglie, al termine di un lungo tira e molla normativo, è stato il nuovo Codice dei Contratti e l’ANAC sottolinea che le violazioni non definitivamente accertate non possono essere considerate automaticamente come causa di esclusione, lasciando alla stazione appaltante una certa discrezionalità nella valutazione. Al contrario una violazione grave degli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse deve essere valutata con i criteri specifici stabiliti dal codice. “La ‘gravità’ della violazione (non definitivamente accertata) di cui parla il Codice dei contratti pubblici - scrive l’Autorità - riguarda gli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse o contributi previdenziali e deve essere valutata: quando la violazione è pari o superiore al 10 per cento del valore dell’appalto e purché tale l’importo non sia inferiore a 35.000 euro. Questa è la clausola interpretativa che la Stazione appaltante deve utilizzare ai fini della valutazione discrezionale circa l’esclusione o meno del concorrente che sia incorso nella violazione non immediatamente escludente”. Da questo punto di vista il parere segna un punto a favore dei diritti delle imprese attive nel mercato degli appalti pubblici, assicurando che non vengano penalizzate ingiustamente per violazioni non gravi e non accertate definitivamente.
Per questo il Consiglio dell’Autorità ha valutato l’operato del Museo regionale di Messina come non conforme alle regole del Codice. L’esclusione della società è stata quindi dichiarata illegittima con la richiesta di annullare il provvedimento in autotutela. Il Museo regionale di Messina dovrà ora rivedere la propria decisione alla luce delle indicazioni fornite da ANAC. In caso di mancata conformità al parere, la stazione appaltante dovrà comunicare le proprie motivazioni entro quindici giorni.
Consiglio di Stato, sez. V, sent. n. 4732/2024: ok ai requisiti prestati solo per guadagnare punti.
Nel nuovo Codice ha acquisito piena legittimazione l’avvalimento premiale così detto “puro”, cioè quello in cui i mezzi e le risorse messi a disposizione dall’impresa ausiliaria sono finalizzati esclusivamente all’attribuzione di un maggior punteggio all’offerta tecnica. Il riconoscimento dell’avvalimento premiale nei termini indicati costituisce una novità rispetto al d.lgs. n. 50/16, che lo ammetteva – secondo l’interpretazione della giurisprudenza – solo nell’ipotesi in cui l’istituto fosse utilizzato anche per la dimostrazione dei requisiti di qualificazione di cui l’impresa concorrente era carente, e solo in via aggiuntiva ai fini dell’incremento qualitativo dell’offerta tecnica. Ne consegue che le disposizioni del d.lgs. n. 36/23 non possono essere utilizzate per legittimare in via interpretativa l’avvalimento premiale “puro” in relazione a una procedura di gara svolta nella vigenza del d.lgs. n. 50/2016, poiché tali disposizioni non possono essere considerate di interpretazione autentica della disciplina previgente, avendo piuttosto carattere pienamente innovativo rispetto a quest’ultima.
Si è espresso in questo senso il Consiglio di Stato, che si occupa nello specifico dell’avvalimento premiale ma contiene anche interessanti indicazioni più generali sulla disciplina dell’istituto contenuta nel d.lgs. n. 36/23.
Un ente appaltante aveva svolto una procedura aperta per l’erogazione di un servizio di durata triennale. Intervenuta l’aggiudicazione la stessa veniva impugnata davanti al Giudice amministrativo da un altro concorrente. Il ricorrente – oltre ad una serie di censure relative all’attribuzione dei punteggi dell’offerta tecnica – contestava la scelta della stazione appaltante di non prendere in considerazione nell’ambito della propria offerta tecnica il punteggio premiale che sarebbe derivato dalla presenza dei mezzi e risorse messi a disposizione dall’impresa ausiliaria.
Il TAR Campania respingeva questa censura. Rilevava, infatti, che l’art. 89 del d.lgs. n. 50/16 – applicabile ratione temporis – non consentiva, secondo quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza, l’avvalimento solo “premiale”, cioè quello finalizzato esclusivamente all’attribuzione di un maggior punteggio all’offerta tecnica. Né poteva assumere rilievo il richiamo operato dal ricorrente alla nuova disciplina dell’istituto contenuta nel nuovo Codice, che consente questo tipo di avvalimento, giacché in questo modo si verrebbe a dare a tale disciplina valore di interpretazione autentica della normativa previgente, mentre si tratta di un elemento certamente innovativo rispetto a quest’ultima.
Il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza di primo grado, condividendone le argomentazioni e le conclusioni. La tesi del ricorrente si fonda sull’applicazione retroattiva della nuova disciplina dell’avvalimento contenuta all’art. 104 del d.lgs. n. 36/23. Al riguardo, il Consiglio di Stato ricorda come nella vigenza del d.lgs. n. 50/16 la giurisprudenza consolidata aveva affermato l’ammissibilità dell’avvalimento “anche” premiale, per cui l’istituto poteva essere utilizzato nel contesto della stessa gara sia per integrare un requisito di qualificazione di cui era carente l’impresa principale, che per attribuire un maggior punteggio all’offerta tecnica della stessa.
Non era, invece, riconosciuto l’avvalimento “solo” premiale, finalizzato, cioè, esclusivamente a una migliore valutazione dell’offerta tecnica. Questo indirizzo giurisprudenziale deve intendersi oggi superato dalla nuova disciplina dell’avvalimento contenuta all’art. 104 del d.lgs. n. 36/23, che ha espressamente ammesso l’avvalimento premiale “puro”.
Ciò, si ricava chiaramente da due disposizioni. Il co. 4 secondo cui il concorrente che ricorre all’avvalimento deve specificare se intende avvalersi delle risorse altrui per acquisire un requisito di partecipazione o per migliorare la propria offerta. Il successivo co. 12 stabilisce, poi, che nei casi in cui l’avvalimento sia finalizzato a migliorare l’offerta, alla medesima gara non possono partecipare l’impresa principale e l’impresa ausiliaria. Si tratta tuttavia di una disciplina dal contenuto chiaramente innovativo, che come tale non può essere utilizzata in chiave di interpretazione autentica della normativa previgente.
Ciò, anche alla luce del fatto che l’intera disciplina dell’avvalimento contenuta nel d.lgs. n. 36/23 denota un cambio di impostazione rispetto al precedente Codice. In particolare, il Consiglio di Stato evidenzia gli elementi di diversità della nuova disciplina nei seguenti termini.
In primo luogo, l’art. 104 pone al centro di tale disciplina il contratto di avvalimento, tanto da definire l’istituto in relazione, appunto, al contratto con cui lo stesso trova attuazione operativa. Secondo il Consiglio di Stato l’attenzione posta dal legislatore sul contratto piuttosto che sul prestito dei requisiti in sé considerato consente di ricomprendere tra le forme di avvalimento anche quello “premiale”, in cui l’istituto viene utilizzato – purché il contratto lo indichi espressamente – non ai fini del prestito dei requisiti ma ai fini dell’attribuzione di un punteggio incrementale all’offerta tecnica.
L’altro rilevante elemento di diversità indicato dal Consiglio di Stato sta nel riconoscimento esplicito – che nella precedente disciplina mancava – del carattere normalmente oneroso del contratto di avvalimento, che tuttavia si può concretizzare anche in un interesse patrimoniale in senso ampio dell’impresa ausiliaria, per quanto non immediatamente espresso in termini di corrispettivo in denaro.
Come ricordato, nella vigenza della precedente disciplina la giurisprudenza aveva considerato inammissibile l’avvalimento “solo” premiale, ritenendo non coerente con la funzione dell’istituto un utilizzo dello stesso volto esclusivamente a consentire una migliore valutazione dell’offerta, senza che la partecipazione dell’ausiliaria assumesse alcun rilievo ai fini della qualificazione del concorrente (Cons. Stato, Sez. V, 9 gennaio 2024, n. 281; Sez. V, 9 febbraio 2023, n. 1449). Questa conclusione era stata avvalorata sulla base della considerazione che il prestito di mezzi e risorse non funzionali a integrare il deficit di qualificazione del concorrente rischia di alterare il principio della par condicio, venendo a favorire lo stesso concorrente – con l’attribuzione di un punteggio incrementale all’offerta tecnica - attraverso un utilizzo distorto di un istituto che ha tutt’altra finalità (TAR Campania, 4 agosto 2023, n. 4756).
In sostanza, consentire il ricorso all’avvalimento “solo” premiale significherebbe piegare la funzione pro-concorrenziale dell’istituto – che si sostanzia nel consentire la partecipazione alla gara di operatori di per sé privi dei necessari requisiti di qualificazione - a una logica in cui proprio la concorrenzialità viene alterata.
Nonostante queste considerazioni critiche della giurisprudenza pregressa, il legislatore del d.lgs. n. 36/23 ha espressamente ammesso l’avvalimento anche “solo” premiale, come si ricava dai commi 4 e 12 dell’art. 104, sopra richiamati. In realtà, resta qualche dubbio che tale scelta del legislatore nazionale sia pienamente coerente con la ratio anche comunitaria dell’istituto, che si identifica – appunto un un’ottica di ampliamento della concorrenza – con la possibilità per l’operatore di far ricorso ai mezzi e alle risorse di un soggetto terzo per raggiungere quel livello di qualificazione di cui altrimenti sarebbe privo. Peraltro, un’ulteriore perplessità nasce proprio in relazione al co. 12 dell’art. 104, che nel caso di avvalimento “solo” premiale – ed esclusivamente in questo caso - pone il divieto di contemporanea partecipazione alla medesima procedura dell’impresa principale e dell’impresa ausiliaria.
Non si comprende, infatti, la ragione per cui tale divieto – se si ritiene debba sussistere - non operi anche nel caso dell’avvalimento tradizionale, cioè quello finalizzato a colmare il deficit di qualificazione del concorrente. L’unica spiegazione sembra essere quella di non aver voluto creare commistioni tra offerte (quella dell’impresa concorrente cui partecipa l’impresa ausiliaria e quella che avrebbe potuto presentare quest’ultima in via autonoma). Ma se questa è la ratio del divieto, sembra piuttosto un’indiretta conferma degli effetti distorsivi che si accompagnano all’avvalimento “solo” premiale.
Già in passato la giurisprudenza aveva affermato che l’onerosità del contratto di avvalimento non necessariamente doveva identificarsi con la previsione espressa di un corrispettivo economico a favore dell’impresa ausiliaria a fronte della messa a disposizione delle sue risorse e mezzi.
Per determinare l’onerosità poteva, infatti, considerarsi sufficiente un interesse patrimoniale – diretto o indiretto – che potesse giustificare l’assunzione di obblighi e responsabilità da parte dell’impresa ausiliaria, quale ad esempio l’interesse dell’impresa ausiliaria a collaborare con una società di grande importanza unitamente all’altro l’interesse (direttamente patrimoniale) a vedersi attribuito il subappalto delle prestazioni affidate (Cons. Stato, Sez. V, 2 maggio 2018, n. 2953).
In questa logica, è stato affermato che la nullità del contratto di avvalimento per mancanza del requisito dell’onerosità poteva essere dichiarata – in assenza della previsione di un corrispettivo in denaro - solo qualora non fosse ravvisabile una ragione pratica giustificativa del contratto idonea a prefigurare un concreto interesse dell’impresa ausiliaria a mettere a disposizione le proprie risorse, nell’ambito di un rapporto di tipo sinallagmatico, in cui cioè sia evidente lo scambio reciproco tra prestazione (dell’impresa ausiliaria) e controprestazione (dell’impresa principale), ancorché non espresso in termini di corrispettivo economico (Cons. Stato, Sez. V, 12 luglio 2023, n. 6826).
Questo orientamento giurisprudenziale è oggi pienamente recepito dall’art. 104 del d.lgs. n. 36/23. Il co. 1 stabilisce, infatti, che il contratto di avvalimento è normalmente oneroso, salvo che non risponda a un interesse dell’impresa ausiliaria, interesse cui, dunque, viene riconosciuto un rilievo patrimoniale in una logica di corrispettività delle reciproche prestazioni (l’impresa ausiliaria presta le sue risorse in cambio di un’utilità, non necessariamente identificabile in un corrispettivo in denaro).
Sotto questo profilo assume particolare interesse l’affermazione operata dal Consiglio di Stato nella sentenza in commento, laddove evidenzia come la nuova disciplina dell’avvalimento sia incentrata sul contratto piuttosto che sul prestito dei requisiti, con l’effetto di demandare al contenuto del contratto le concrete modalità operative per l’utilizzo dell’istituto, compreso il profilo dell’onerosità e delle forme in cui questo carattere può trovare espressione