RUBRICA AGGIORNAMENTO GIURISPRUDENZIALE n. 4/2024
RUBRICA AGGIORNAMENTO GIURISPRUDENZIALE n. 4/2024
Cons. Stato, sez. V, sent. n. 2372/2024: il ribasso sbagliato nella compilazione dell’offerta non può essere considerato mero errore materiale.
Non è considerato errore materiale l’indicazione di un ribasso asseritamente errato, qualora non c’è divergenza con l’importo contrattuale netto offerto e presente nei vari moduli di gara compilati dall’operatore economico, ritenendo, in un quadro unitario, palese la sua volontà, stante, inoltre, l’esigibilità di una diligenza specifica richiesta a tutti coloro che partecipano a pubblici appalti.
Nel caso di specie, una società, classificatasi seconda nella graduatoria finale di una procedura negoziata, con l’applicazione del criterio del prezzo più basso, indetta da una stazione appaltante, attraverso il proprio portale telematico, ha chiesto l’annullamento dell’aggiudicazione disposta a altro operatore economico, sostenendo l’illegittimità per violazione della lex specialis di gara.
L’appellante, nel file riepilogativo dell’offerta, generato automaticamente dal sistema telematico, ha indicato, per mero errore materiale, una percentuale di ribasso in cifre diversa da quella inserita, in lettere ed in cifre, nel modulo di offerta predisposto dalla stazione appaltante, lamentando che la stessa, contrariamente a quanto stabilito nella lettera di invito, ha attribuito prevalenza all’offerta in cifre del modulo di sistema.
L’aggiudicazione così disposta è, conseguentemente, per l’appellante, il risultato di un errore della stazione appaltante, che ha considerato l’erroneo ribasso percentuale formulato all’interno di un file, che non ha, tra l’altro, natura di atto vincolante.
I giudici di Palazzo Spada hanno condiviso la ricostruzione interpretativa fatta in primo grado dal TAR, confermando, così, la correttezza dell’operato dell’ente.
Partendo dal principio di autoresponsabilità, che impone all’operatore economico una diligenza specifica, oltre la media, ovvero l’adozione di tutti gli accorgimenti necessari per un agire con cura, cautela e perizia, la vicenda processuale ha trovato, poi, la chiave di lettura nella identificazione dell’effettiva volontà negoziale espressa nell’offerta.
Alla luce di tale assunto, nel caso in esame, il ribasso offerto solo in cifre, non è per il collegio affetto da mero errore materiale, perché se applicato all’importo a base d’asta, è l’unico del tutto congruente con l’importo contrattuale netto indicato in entrambi i moduli dal ricorrente; applicando la diversa percentuale di sconto, seguono valori effettivi dell’offerta non in linea con l’importo contrattuale trascritto.
La percentuale di ribasso e l’indicazione del valore contrattuale sono elementi che devono necessariamente essere unitariamente considerati, pena l’indeterminatezza dell’offerta con conseguente esclusione dalla procedura di gara.
D’altra parte può configurarsi un errore materiale, secondo la giurisprudenza, esclusivamente “un mero refuso materiale riconoscibile ictu oculi dalla lettura del documento d’offerta; … la sua correzione deve a sua volta consistere nella mera riconduzione della volontà (erroneamente) espressa a quella, diversa, inespressa ma chiaramente desumibile dal documento, pena altrimenti l’inammissibile manipolazione o variazione postuma dei contenuti dell’offerta, con violazione del principio della par condicio dei concorrenti”; circostanze che non ricorrono nel caso di specie, essendo palese la volontà dell’offerente.
TAR Sardegna, sez. I, sent. n. 204/2024: esclusione per illecito professionale, anche con il nuovo Codice decisiva la valutazione della PA.
Anche nella nuova disciplina delineata dal d.lgs. n. 36/2023 l’esclusione per grave illecito professionale continua a fondarsi sull’esercizio di un potere discrezionale della stazione appaltante che si caratterizza per un ampio margine di valutazione. Infatti, anche se la nuova disciplina delimita in maniera più puntuale, rispetto al passato, i parametri sulla base dei quali deve essere esercitato il potere discrezionale, ciò non toglie che l’esclusione per grave illecito professionale presuppone un ambito valutativo dell’ente appaltante significativo, che può essere censurato dal giudice amministrativo solo in caso di palese irragionevolezza o evidente contraddittorietà.
Nel caso esaminato dal giudice amministrativo, un ente appaltante aveva bandito una gara alla quale, nonostante le vicissitudini del precedente contratto, il precedente esecutore decideva, comunque, di partecipare.
La fase esecutiva del precedente appalto si era caratterizzata per una contrapposizione netta tra appaltatore e stazione appaltante. Il primo aveva lamentato fin dall’inizio ritardi nella contabilizzazione e nella liquidazione dei corrispettivi dovuti. La stazione appaltante, a sua volta, contestava all’appaltatore una serie di inadempimenti contrattuali, giungendo a dichiarare la risoluzione del contratto. Veniva così instaurato un contenzioso presso il giudice ordinario, cui seguiva una fase di trattative finalizzate alla definizione transattiva delle reciproche contestazioni e pretese. Nel contempo, veniva indetta la procedura di gara per l’affidamento del nuovo contratto, cui partecipava anche l’operatore economico titolare del precedente contratto di appalto. La stazione appaltante ne
disponeva l’esclusione per grave illecito professionale. Il provvedimento di esclusione veniva impugnato dal concorrente davanti al giudice amministrativo con una serie di articolate censure.
In via preliminare, il giudice amministrativo ricostruisce il quadro normativo delineato dal d.lgs. n. 36 in tema di causa di esclusione relativa al grave illecito professionale. Tale disciplina deriva dalla lettura coordinata di una serie di disposizioni, in particolare dall’art. 95, co. 1, lett. e), e dall’art. 98. Queste disposizioni stabiliscono che il grave illecito professionale costituisce una causa di esclusione non automatica, che presuppone si verifichino le seguenti condizioni: a) elementi sufficienti a integrare il grave illecito professionale; b) idoneità del grave illecito professionale a incidere sull’affidabilità e integrità del concorrente; c) sussistenza di adeguati mezzi di prova.
Tra i mezzi di prova assume rilievo la condotta del concorrente che abbia dimostrato significative e persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che ne abbiano comportato la risoluzione per inadempimento.
La novità sostanziale della nuova disciplina sta nell’indicazione in via tassativa delle fattispecie che possono integrare il grave illecito professionale, nonché l’elencazione, anch’essa tassativa, dei relativi mezzi di prova. Non è, invece, venuta meno la natura del potere discrezionale in capo alla stazione appaltante nel decidere in merito all’esclusione del concorrente per grave illecito professionale. Tale potere continua a essere caratterizzato da una valutazione ampiamente discrezionale, nonostante la definizione più puntuale dei parametri entro cui si deve muovere.
Tra tali parametri vanno ricompresi anche quelli indicati all’art. 98, co. 4, ai sensi del quale la valutazione della gravità dell’illecito deve essere operata tenendo conto del bene giuridico leso dalla condotta dell’operatore e dell’entità della lesione, nonché del tempo trascorso dalla violazione. Quanto ai mezzi di prova, gli stessi devono essere valutati dalla stazione appaltante in relazione alla loro incidenza sull’affidabilità e integrità dell’offerente.
Questo complesso quadro normativo e i limiti che lo stesso delinea all’esercizio della discrezionalità dell’ente appaltante non tolgono che faccia comunque capo a quest’ultimo l’individuazione del “punto di rottura” che incrina il giudizio sull’affidabilità e integrità del concorrente.
Questa conclusione, che, in ultima analisi, rimette alla stazione appaltante il giudizio sui comportamenti pregressi del concorrente per stabilire se gli stessi abbiano effettivamente inciso sulla sua affidabilità e integrità, appare coerente anche con il principio della fiducia sancito dall’art. 2 del d.lgs. n. 36. Tale principio rafforza l’autonomia decisionale dei
funzionari della stazione appaltate, che quindi trova ampio spazio anche in relazione al giudizio sull’affidabilità e integrità del concorrente, la cui mancanza comporta l’esclusione dalla gara.
Alla luce di questo quadro normativo vanno esaminate le censure mosse dal ricorrente in relazione al comportamento della stazione appaltante. La prima censura si fonda sulla ritenuta contraddittorietà di tale comportamento. Tale contraddittorietà sarebbe ricavabile dal fatto che il concorrente, anche dopo l’intervenuta risoluzione contrattuale del precedente appalto, avrebbe partecipato ad altre procedure di gara indette dall’ente appaltante, in alcuni casi risultandone anche aggiudicatario.
Il giudice amministrativo ha respinto questa censura. Ha, infatti, rilevato che l’elemento della contraddittorietà costituisce un vizio dell’attività amministrativa solo quando si esprime in relazione a più atti tra loro inconciliabili ma emanati nell’ambito di un medesimo procedimento. Tale vizio al contrario non sussiste nel caso in cui si tratti di procedimenti diversi e indipendenti, anche se relativi al medesimo oggetto, come avvenuto nel caso di specie.
In sostanza, la valutazione sull’affidabilità dell’operatore deve essere compiuta in relazione alla specifica procedura, tenendo conto dell’oggetto, delle condizioni e del luogo di esecuzione del contratto da affidare. Detto altrimenti, non esiste una inaffidabilità dell’operatore economico in termini assoluti, ma solo in relazione a ogni singola gara.
Nel caso di specie, anche la mera differenza territoriale tra la procedura in contestazione e per la quale è stata disposta l’esclusione del concorrente e le altre cui lo stesso aveva partecipato giustifica il diverso trattamento operato dalla stazione appaltante.
Una seconda censura avanzata dal ricorrente ha riguardato il presunto comportamento ritorsivo che avrebbe guidato la stazione appaltante nel deliberare l’esclusione dalla gara. Ciò, in quanto l’esclusione sarebbe stata disposta in coincidenza con il fallimento delle trattative per definire il contenzioso pendente in relazione al precedente contratto di appalto.
Il giudice amministrativo ha respinto questa censura limitandosi a evidenziare come la stessa fosse basata su una lettura del tutto soggettiva e opinabile del concorrente, priva di riscontri concreti. Piuttosto, l’esclusione è intervenuta in relazione a un atto di risoluzione del precedente contratto di appalto, anche in relazione al fatto che si erano esaurite negativamente le trattative per comporre in via bonaria le contestazioni poste a fondamento della risoluzione.
Venendo al merito delle specifiche motivazioni poste a base dell’esclusione, il giudice amministrativo ha ritenuto che le stesse non fossero tali da evidenziare l’illegittimità del
potere discrezionale esercitato dall’ente appaltante. La stazione appaltante ha posto alla base del provvedimento di esclusione il comportamento del concorrente nella fase esecutiva del precedente appalto, che si è concretizzato nell’abbandono del cantiere e nel rifiuto di eseguire i lavori che gli erano stati ordinati. Quanto ai mezzi di prova richiesti dall’art. 98, co. 6, in relazione alla fattispecie del grave illecito professionale, la stessa disposizione li indica nell’intervenuta risoluzione per inadempimento del precedente contratto di appalto.
Secondo la stazione appaltante, la risoluzione incide in maniera significativa sull’affidabilità del concorrente, poiché la condotta dell’appaltatore che ha causato la risoluzione risulta di particolare rilevanza anche perché si è riscontrata in relazione a un precedente appalto del tutto sovrapponibile - per oggetto, tipologia di lavori e localizzazione territoriale - a quello oggetto della nuova gara.
Costituisce elemento di rilievo la circostanza che la nuova procedura di gara trova la sua causa e origine proprio nella risoluzione del precedente contratto di appalto, per cui sarebbe paradossale che a tale procedura possa partecipare – magari rendendosi aggiudicatario – l’operatore al cui pregresso comportamento è riconducibile la necessità di indire una nuova gara.
Sulla base di queste considerazioni il giudice amministrativo conclude che la motivazione del provvedimento di esclusione appare logica e ragionevole, basandosi su dati fattuali incontestabili e oggetto di corretta valutazione.
In questi termini, la motivazione appare conforme ai requisiti indicati dall’art. 98, poiché individua con certezza i comportamenti del concorrente che incidono sulla sua affidabilità e integrità e indica l’intervenuta risoluzione per inadempimento del precedente contratto come adeguato mezzo di prova.
TAR Campania-Salerno, sez. I, sent. n. 722/2024: la risoluzione consensuale del contratto non conta automaticamente come illecito professionale.
La risoluzione consensuale di un precedente contratto di appalto pubblico non costituisce ex se grave illecito professionale, suscettibile di legittimare l’esclusione automatica del concorrente, ma deve essere valutata dalla stazione appaltante “nel suo complesso”, al fine di verificare se possa considerarsi indicativa dell’attitudine dell’operatore economico all’inadempimento delle obbligazioni contrattuali.
Sulla base di tale constatazione il TAR ha ritenuto legittima la valutazione della stazione appaltante di considerare non rilevante una precedente risoluzione contrattuale dovuta ad
inadempimenti non imputabili all’operatore economico e privi del carattere della significatività e della persistenza, che non hanno indotto la stazione appaltante a una risoluzione in via amministrativa o giudiziale del contratto, non hanno impedito lo svincolo della cauzione, e non hanno costituito oggetto di iscrizione nel casellario ANAC.
Considerato che la valutazione della rilevanza di una precedente risoluzione contrattuale rientra nella discrezionalità dell’amministrazione aggiudicatrice, deve ritenersi legittimo che, in presenza di una risoluzione operata sulla base della proposta condivisa dell’operatore economico, senza dar luogo all’applicazione di penali o al pagamento di risarcimenti, la stazione appaltante qualifichi lo scioglimento del contratto come “evento che attiene alla dinamica contrattuale dei rapporti tra le parti nella fase esecutiva dell’appalto”, non idoneo a inficiare l’affidabilità del concorrente. Tanto più se, nelle successive commesse, lo stesso operatore economico ha regolarmente eseguito il contratto, senza che alcun genere di contestazione in merito ad inadempimenti o carenze.
Il provvedimento di risoluzione, infatti, è considerato rilevante in quanto conseguente a significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento ovvero la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili. Ciò che conta non è, quindi, la forma dello scioglimento del vincolo contrattuale (unilaterale o consensuale), quanto la causa, consistente in un inadempimento realizzatosi attraverso significative e persistenti inottemperanze ad obblighi di legge o contrattuali.
Generalmente, tali forme di inadempimento vengono sanzionate attraverso l’adozione, da parte della stazione appaltante, di provvedimenti unilaterali di scioglimento del rapporto contrattuale, e sfociano in successive controversie giudiziarie, ma nulla esclude che una risoluzione consensuale possa essere adottata in seguito ad un inadempimento dell’appaltatore “al fine di evitare i tempi e i costi di un giudizio nonché l’incertezza dei relativi esiti” (Cons. Stato, sez. V, sent. n. 4708/2022).
Considerato che lo scopo delle cause di esclusione è selezionare concorrenti dotati di inderogabili caratteristiche di integrità ed affidabilità, la relativa disciplina deve essere interpretata ed applicata sulla base di una lettura sostanzialista, non circoscritta al mero nomen iuris (atto negoziale o provvedimento amministrativo), ma incentrata sulle circostanze che hanno determinato lo scioglimento del contratto in fase di esecuzione, ed in particolare sulla sussistenza di significative e persistenti violazioni delle obbligazioni contrattuali.
Ciò posto, il TAR rileva che, indipendentemente dalla riconducibilità dello scioglimento volontario di un contratto di appalto tra le cause di esclusione, la risoluzione consensuale
per inadempimento rientra tra i pregressi episodi professionali da riferire alla stazione appaltante. Considerato, infatti, che gli obblighi dichiarativi posti in capo ai concorrenti al momento della partecipazione a una procedura di gara costituiscono adempimenti strumentali a garantire il corretto svolgimento della procedura, il relativo perimetro applicativo comprende tutti i fatti, anche non predeterminabili ex ante, che in concreto incidono in modo negativo sull’integrità ed affidabilità dell’operatore economico. Di conseguenza, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, l’omissione della dichiarazione concernenti precedenti risoluzioni contrattuali, seppure consensuali, legittima l’esclusione del concorrente.
Tuttavia anche l’inadempimento di tale obbligo dichiarativo di per sé non giustifica l’espulsione automatica dalla procedura dell’operatore economico, giacché detto adempimento rileva esclusivamente se indicativo di una condotta astrattamente idonea a fare dubitare dell’integrità ed affidabilità dell’operatore economico in vista dell’affidamento dell’appalto. Ciò comporta la necessità che ogni episodio professionale critico del concorrente sia autonomamente apprezzato dalla stazione appaltante, alla luce delle sue specifiche connotazioni specifiche e delle ragioni che hanno determinato la risoluzione in fase di esecuzione, mentre non può essere riconosciuto un rilievo esclusivo alla tipologia di atto negoziale o provvedimento amministrativo che ne sia seguito.
Spetta, quindi, all’amministrazione aggiudicatrice il potere di qualificare ogni specifica vicenda ed apprezzare la condotta dell’operatore economico, verificandone la riconducibilità alle cause di esclusione normativamente prescritte. Tale potere, connotato da ampi margini di discrezionalità, risulta, tuttavia, temperato dall’obbligo di motivazione posto in capo alla stazione appaltante, che impone l’esternazione del percorso logico-giuridico seguito per giungere alla decisione adottata, al fine di evitare che il rilievo sostanzialista dell’inadempimento trasmodi in arbitrio dell’amministrazione aggiudicatrice.