RUBRICA AGGIORNAMENTO GIURISPRUDENZIALE n. 3/2025
L’errore progettuale ed il contradditorio con i professionisti.
Il decreto correttivo al Codice degli Appalti corregge l’art. 120 del Codice – in tema di modificazioni del contratto in corso di esecuzione – apportando chiarimenti/precisazioni in tema di varianti ed una disciplina del contraddittorio in caso di errore progettuale. Gli interventi in argomento risultano annunciati, come si legge nella relazione illustrativa, con la sottolineatura per cui sul tema generale dell’esecuzione “non si sono (…) introdotte sostanziali innovazioni, ma solo chiarimenti, nell’ottica di risolvere criticità già note, legate ad alcune incertezze, derivanti dal costante ricorso degli operatori economici soprattutto a riserve e varianti contrattuali in corso d’opera, presentate spesso per ovviare a talune criticità della progettazione”.
Si è cercato, quindi, di introdurre “una normativa chiara e uniforme, tale da poter essere non solo di ausilio operativo a stazioni appaltanti e appaltatori, ma fungere anche da leva preziosa di prevenzione del costoso e numeroso contenzioso (civile)”.
Il correttivo sostituisce (con l’art. 42) integralmente la lett. c) del co. 1 dell’art. 120, che prevedeva, oggettivamente in una disposizione piuttosto ampia, che “le varianti in corso d’opera” dovevano essere intese “come modifiche resesi necessarie in corso di esecuzione dell’appalto per effetto di circostanze imprevedibili da parte della stazione appaltante. Rientrano in tali circostanze nuove disposizioni legislative o regolamentari o provvedimenti sopravvenuti di autorità o enti preposti alla tutela di interessi rilevanti”.
Sulla nuova configurazione ci si è attenuti, in pratica, agli approdi giurisprudenziali in materia ed oggi il comma in argomento declina le situazioni tipo che assurgono a condizioni legittimanti per le varianti.
In particolare, per varianti in corso d’opera “da intendersi come modifiche resesi necessarie in corso di esecuzione dell’appalto per effetto delle seguenti circostanze imprevedibili da parte della stazione appaltante, fatti salvi gli ulteriori casi previsti nella legislazione di settore”, le condizioni legittimanti sono costituite da:
1) esigenze derivanti da nuove disposizioni legislative o regolamentari o da provvedimenti sopravvenuti di autorità o enti preposti alla tutela di interessi rilevanti;
2) eventi naturali straordinari e imprevedibili e i casi di forza maggiore che incidono sui beni oggetto dell’intervento;
3) rinvenimenti, imprevisti o non prevedibili con la dovuta diligenza nella fase di progettazione;
4) difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non prevedibili dalle parti in base alle conoscenze tecnico-scientifiche consolidate al momento della progettazione.
È stato modificato anche il co. 7 dell’art. 120, che sostituisce, in pratica, le originarie due lettere, a) e b), con tre, integrando la pregressa lettera b) ed introducendo una inedita lettera c). Nel dettaglio il nuovo co. 7, ribadito che “non sono considerate sostanziali, fermi restando i limiti derivanti dalle somme a disposizione del quadro economico e dalle previsioni di cui alle lettere a) b) e c) del comma 6, le modifiche al progetto o le modifiche contrattuali proposte dalla stazione appaltante ovvero dall’appaltatore con le quali, nel rispetto della funzionalità dell’opera» chiarisce (in parte ribadisce) come siano tali le modifiche con cui:
a) si assicurino risparmi, rispetto alle previsioni iniziali, da utilizzare in compensazione per far fronte alle variazioni in aumento dei costi delle lavorazioni;
b) si realizzino soluzioni equivalenti o migliorative in termini economici, tecnici o di tempi di ultimazione dell’opera, ivi compresa la sopravvenuta possibilità di utilizzo di materiali, componenti o tecnologie non esistenti al momento della progettazione che possono determinare, senza incremento dei costi, significativi miglioramenti nella qualità dell’opera o di parte di essa, o riduzione dei tempi di ultimazione;
Rientrano, inoltre (lettera c)) «gli interventi imposti dal direttore dei lavori per la soluzione di questioni tecniche emerse nell’esecuzione dei lavori che possano essere finanziati con le risorse iscritte nel quadro economico dell’opera”.
Per effetto delle ricalibrature suggerite dal Consiglio di Stato all’art. 120 viene aggiunto un comma 15-bis, relativo al contraddittorio da attivare tra stazione appaltante, progettista e appaltatore, nel caso di errore progettuale.
La disposizione ora prevede che “fermo restando quanto previsto dall’articolo 41, comma 8-bis, le stazioni appaltanti verificano in contraddittorio con il progettista e l’appaltatore errori o omissioni nella progettazione esecutiva che pregiudicano, in tutto o in parte, la realizzazione dell’opera o la sua futura utilizzazione e individuano tempestivamente soluzioni di progettazione esecutiva coerenti con il principio del risultato”.
Come si legge nella relazione illustrativa – e nello stesso parere del Consiglio di Stato – il nuovo comma appare necessario stante il collegamento con il nuovo co. 8-bis dell’art. 41, in cui ora si impone al RUP di prevedere nei contratti “di progettazione stipulati dalle stazioni appaltanti ed enti concedenti”, per effetto dell’esternalizzazione della progettazione (di uno o di entrambi i livelli), delle clausole espresse in cui si devono disciplinare “le prestazioni reintegrative a cui è tenuto, a titolo transattivo, il progettista per rimediare in forma specifica ad errori od omissioni nella progettazione emerse in fase esecutiva, tali da pregiudicare, in tutto o in parte, la realizzazione dell’opera o la sua futura utilizzazione”.
Questo comma si chiude con la previsione della nullità insanabile di ogni patto contrario “che escluda o limiti la responsabilità del progettista per errori o omissioni nella progettazione che pregiudichino, in tutto o in parte, la realizzazione dell’opera o la sua futura utilizzazione”.
Manifestazioni di interesse e affidamento diretto.
Si inasprisce, in giurisprudenza, il dibattito sulla possibilità di utilizzare, o meno, nell’affidamento diretto l’avviso pubblico a manifestare interesse, che costituisce strumento tipico per l’effettuazione dell’indagine di mercato della sola procedura negoziata (in questo senso l’art. 50 del Codice e l’allegato II.1 che dispongono in materia).
Il TAR ed il Consiglio di Stato si pongono in posizioni diverse circa i rapporti tra la previa pubblicazione di un avviso aperto alla partecipazione di ogni operatore in possesso dei requisiti senza criteri di sbarramento per l’affidamento diretto e l’applicazione della rotazione.
La posizione che, oggettivamente, alla luce del dettato normativo appare maggiormente persuasiva, in questo caso, sembra essere quella più recente espressa dal giudice di primo grado e, segnatamente, dal TAR Puglia, sez. II, sent. n. 138/2025.
Nel caso di specie, la ricorrente impugna gli atti di aggiudicazione per violazione delle disposizioni che vietano, nel sottosoglia, il riaffido al pregresso affidatario (attraverso le procedure semplificate). Nel procedimento avviato dal RUP della stazione appaltante, l’affidamento diretto veniva preceduto dalla pubblicazione di un avviso pubblico a manifestare interesse per partecipare alla successiva procedura comparativa per l’affidamento di un servizio.
L’appalto veniva assegnato al pregresso affidatario e da qui la censura di illegittimità visto che (secondo il ricorrente) “per costante e condivisa giurisprudenza, il principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti ha la finalità di evitare il consolidamento di rendite di posizione in capo al gestore uscente, la cui posizione di vantaggio deriva soprattutto dalle asimmetrie informative (Cons. Stato, Sez. V, 15 dicembre 2020, n. 8030), che potrebbero consentirgli di formulare un’offerta migliore rispetto ai concorrenti, specie nel contesto di mercati con un non elevato numero di operatori (Cons. Stato, Sez. V, 17 marzo 2021, n. 2292)”.
La replica della stazione appaltante, evidentemente, veniva fondata sulla circostanza dell’avviso pubblico aperto, senza sbarramenti, che consentirebbe di non applicare la rotazione (in realtà, come si vedrà più avanti, la possibilità – e si tratta di un autentico vicolo per il RUP salvo motivazioni -, è prevista solo per la procedura negoziata).
Il Giudice viene persuaso dalle ragioni del ricorso. Nell’analisi si rammenta quale sia la ratio sottesa al principio della rotazione che “risiede nella necessità di assicurare un’effettiva alternanza tra gli operatori economici coinvolti nelle procedure di affidamento, al fine di prevenire che l’eccessiva discrezionalità riconosciuta alla stazione appaltante nell’individuazione degli affidatari possa tradursi in uno strumento per favorire determinati operatori economici o per eludere le regole della concorrenza; tale principio si pone, dunque, quale presidio fondamentale per la tutela dell’imparzialità, della trasparenza e della legalità amministrativa nel settore degli appalti pubblici”.
Per evitare pratiche arbitrarie/strumentali che impediscano la partecipazione alle competizioni, in particolare delle piccole/medie imprese, e al contempo favorire la distribuzione “temporale delle opportunità di aggiudicazione tra tutti gli operatori potenzialmente idonei, il principio in questione comporta, in linea generale, che ove la procedura prescelta per il nuovo affidamento sia di tipo ristretto o “chiuso” (recte, negoziato), l’invito all’affidatario uscente riveste carattere eccezionale (così Cons. Stato, Sez. V, 12 giugno 2019, n. 1524)”.
La rotazione può non essere oggetto di considerazione se il RUP motiva adeguatamente la decisione di non applicare il criterio dell’alternanza.
Nel caso di specie, pur richiamata con clausola di stile la circostanza della insussistenza di alternative sul mercato, “circostanza, peraltro, contraddetta in concreto dalla partecipazione della società ricorrente alla procedura”, le motivazioni fondanti la deroga non sono state correttamente esplicitate.
Non solo – ed è questo l’aspetto pratico di sicuro rilievo –, secondo il Giudice non “può essere utilmente invocato nella specie dalle difese resistenti il disposto del comma 5 dell’art. 49 D. Lgs. n. 36 cit.” (ovvero la pubblicazione di un avviso pubblico aperto), “poiché tale disposizione derogatoria al principio di rotazione (prevista dal legislatore per il caso dell’indagine di mercato effettuata senza porre limiti al numero di operatori economici, in possesso dei requisiti richiesti da invitare alla successiva procedura negoziata) è praticabile esclusivamente per i contratti affidati con le procedure di cui all’articolo 50, comma 1, lettere c), d) ed e)”, ovvero con procedura negoziata.
Pubblicare, quindi, un avviso pubblico per procedere poi con l’affidamento diretto e non applicare la rotazione non risulterebbe congruo rispetto all’attuale assetto normativo visto che questa possibilità è prevista solamente per le procedure negoziate.
Come anticipato, il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza n. 366/2025, precedente a quella del TAR pugliese, afferma l’esatto contrario.
Nel caso di specie, il RUP procedeva applicando la rotazione, l’aggiudicazione veniva censurata dal Giudice di primo grado (sentenza, da notare, sempre del TAR Puglia) che il Consiglio di Stato ha riformato sostenendo una tesi opposta.
In particolare, nella sentenza di riforma si legge che la pubblicazione dell’avviso pubblico – anche nell’affidamento diretto - appare “idonea a delineare un meccanismo di apertura alla partecipazione degli operatori economici del settore interessato, che esclude qualsiasi intervento della stazione appaltante nella fase di selezione o individuazione degli operatori economici da invitare alla procedura”. Nel caso dell’avviso propedeutico a una indagine di mercato, per poi procedere con l’affidamento diretto, si verrebbe a creare “una situazione diversa” rispetto alla procedura negoziata. E questa “preventiva indagine di mercato non costituisce atto di indizione di una procedura di gara concorsuale, ma un’indagine conoscitiva non vincolante, tesa all’individuazione di operatori economici da invitare alla successiva procedura negoziata (nel quale caso lo strumento della manifestazione di interesse non rende affatto superflua la rotazione: Cons. Stato, V, 6 giugno 2019, n. 3831)”.
Pur autorevoli, tra le due diverse conclusioni appare maggiormente persuasiva la posizione restrittiva espressa dal Giudice pugliese. Se la ratio della rotazione è quella di evitare che il pregresso affidatario si avvantaggi della posizione già maturata nel precedente rapporto contrattuale si può ritenere che la mera pubblicazione di un avviso a manifestare interesse (peraltro strumento tipico/esclusivo dell’indagine di mercato formale della procedura negoziata) non possa ritenersi sufficiente ad azzerare la posizione di vantaggio (che la rotazione, invece, tende ad annullare per garantire la par condicio).
Da notare, inoltre, che non solo la prerogativa dell’avviso aperto alla partecipazione generale è una previsione specifica e vincolante per la procedura negoziata ed in relazione a questo caso l’estensore ha ammesso l’inapplicabilità (vincolante salvo motivazione) della rotazione, ma la previa pubblicazione dell’avviso determina – se non si attiva un corretto presidio del RUP – una competizione tra operatori economici che nell’affidamento diretto non è consentito visto che non sostanzia (come si spiega nell’allegato I.1) una competizione/procedura di gara.
In modo paradossale, poi, la concorrenza preannunciata dalla scelta dell’avviso non si realizza in concreto.
Consiglio di Stato, sez. IV, sent. n. 2418/2025: ok alle varianti del progetto che non modificano l’oggetto dell’appalto.
Nelle procedure di affidamento dei contratti con il metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa, salva diversa e specifica previsione della lex specialis, sono sempre ammesse modifiche al progetto posto a base di gara, quali fondamento per i punteggi premiali, purché non sfocino in varianti incidenti sulla tipologia, sulla struttura e sulla funzione dell’appalto; ossia, sulle caratteristiche essenziali dell’opera, tali da integrare un mutamento dell’oggetto del contratto (c.d. aliud pro alio).
Lo ricorda il Consiglio di Stato con una sentenza che può essere confermata anche dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 209/2024.
In particolare, è stata indetta una procedura aperta telematica per l’affidamento di un appalto integrato da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. All’esito della procedura, la terza in graduatoria presenta ricorso al TAR eccependo, tra l’altro, che l’aggiudicatario avrebbe offerto la progettazione e la realizzazione di un tipo di impianto di digestione diverso rispetto a quello posto a base di gara e, pertanto, doveva essere escluso. L’operatore economico ricorre, quindi, in appello impugnando la sentenza di primo grado che rigetta il ricorso.
Il Consiglio di Stato non pare però discostarsi dalle osservazioni del Giudice di prime cure. I principi di par condicio e del favor partecipationis impongono che le clausole di esclusione devono essere previste dal bando, salvo in ipotesi “assolutamente residuale ed eccezionale” tra cui vi rientra l’ “aliud pro alio”. Trattasi di un caso in cui il bene offerto è radicalmente diverso rispetto a quello promesso e la giurisprudenza, in merito, afferma che “la difformità dell’offerta rispetto alle caratteristiche tecniche essenziali previste negli atti di gara può risolversi in un aliud pro alio e giustificare, pertanto, l’esclusione dalla procedura anche in assenza di espressa previsione della sanzione espulsiva (Cons. Stato, sez. V, 5 maggio 2016, n. 1818; Id., 5 maggio 2016, n. 1809). Nondimeno, l’esclusione dell’offerta per difformità dai requisiti minimi, anche in assenza di un’esplicita comminatoria di esclusione, può operare soltanto nei casi in cui la lex specialis prevede caratteristiche e qualità dell’oggetto dell’appalto che possano essere qualificate con assoluta certezza come caratteristiche minime, perché espressamente definite come tali, oppure perché se ne fornisce una descrizione che ne rivela in modo certo ed evidente il carattere essenziale. Laddove manchi una tale certezza […] e permanga un margine di ambiguità circa l’effettiva portata delle clausole del bando, riprende vigore il principio residuale che impone di preferire l’interpretazione della lex specialis maggiormente rispettosa del principio del favor partecipationis e dell’interesse al più ampio confronto concorrenziale, oltre che della tassatività – intesa anche nel senso di tipicità ed inequivocabilità – delle cause di esclusione (Cons. Stato, Sez. III, n. 3084/2020; Id., 12 agosto 2024, n. 7102)”.
A tal riguardo, quando il criterio di aggiudicazione è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, si distinguono le soluzioni migliorative dalle varianti in quanto “le prime possono liberamente esplicarsi in tutti gli aspetti tecnici lasciati aperti a diverse soluzioni sulla base del progetto posto a base di gara ed oggetto di valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico, rimanendo comunque preclusa la modificabilità delle caratteristiche progettuali già stabilite dall’Amministrazione, mentre le seconde si sostanziano in modifiche del progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale, per la cui ammissibilità è necessaria una previa manifestazione di volontà della stazione appaltante, mediante preventiva autorizzazione contenuta nel bando di gara e l’individuazione dei relativi requisiti minimi che segnano i limiti entro i quali l’opera proposta dal concorrente costituisce un aliud rispetto a quella prefigurata dalla Pubblica Amministrazione, pur tuttavia consentito”
Si può affermare, quindi, che nelle procedure di affidamento dei contratti con il metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa, salva diversa e specifica previsione della lex specialis, sono sempre ammesse modifiche al progetto posto a base di gara, quali fondamento per i punteggi premiali “purché non sfocino in varianti incidenti sulla “tipologia”, sulla “struttura” e sulla “funzione” dell’appalto, ossia, in altri termini, sulle caratteristiche essenziali dell’opera, tali da integrare un mutamento dell’oggetto del contratto (i.e. un aliud pro alio)”.
Nel caso di specie, la tipologia del sistema tecnologico di digestione non poteva considerarsi una caratteristica essenziale dell’impianto, poiché non era mai stato disciplinato né nel disciplinare di gara né nel capitolato speciale. Perciò, contrariamente a quanto affermato dall’appellante, non occorre che la lex specialis consenta espressamente l’apposizione della modifica progettuale al fine di non escludere l’operatore economico. Al contrario, in assenza di un divieto espresso contenuto nella lex specialis “qualsiasi variante progettuale è permessa – e viene valutata sotto la pregevolezza tecnica – purché non impatti sui tratti caratterizzanti l’opera, mutando l’oggetto dell’appalto”.