RUBRICA AGGIORNAMENTO GIURISPRUDENZIALE n. 3/2024
RUBRICA AGGIORNAMENTO GIURISPRUDENZIALE n. 3/2024
TAR Veneto, sez. III, n. 632/2024: equo compenso norma imperativa applicabile agli appalti pubblici.
Con la recente sentenza in commento, il TAR Veneto, decidendo un ricorso concernente un appalto pubblico di servizi di architettura ed ingegneria, ha statuito che: “Come è noto, con l’approvazione della legge 21 aprile 2023, n. 49, pubblicata sulla G.U. 5 maggio 2023, n. 104 (ed entrata in vigore in data 20 maggio 2023), il legislatore ha riscritto le regole in materia di compenso equo per le prestazioni professionali con l’intento di incrementare le tutele per quest’ultime, garantendo la percezione, da parte dei professionisti, di un corrispettivo equo per la prestazione intellettuale eseguita anche nell’ambito di quei rapporti d’opera professionale in cui essi si trovino nella posizione di “contraenti deboli”. Più nel dettaglio, la novella normativa, che trova applicazione in favore di tutti i professionisti, a prescindere dalla loro iscrizione ad un ordine o collegio, ha previsto (art. 1) che per compenso equo deve intendersi la corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché conforme ai compensi previsti […] Il successivo articolo 2, inoltre, ha specificato che la legge in esame trova applicazione ai rapporti professionali fondati sulla prestazione d’opera intellettuale ex art. 2230 c.c., regolamentati da convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, delle attività professionali prestate a favore di imprese bancarie e assicurative, delle loro società controllate e delle loro mandatarie, imprese che, nell’anno precedente al conferimento dell’incarico, hanno occupato alle proprie dipendenze più di 50 lavoratori ovvero hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro e, infine, per le prestazioni rese in favore della Pubblica Amministrazione. Il legislatore ha quindi stabilito la nullità delle clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata, come determinato dall’art. 2, introducendo una nullità relativa o di protezione che consente al professionista di impugnare la convenzione, il contratto, l’esito della gara, l’affidamento, la predisposizione di un elenco di fiduciari o comunque qualsiasi accordo che prevede un compenso iniquo innanzi al Tribunale territorialmente competente in base al luogo in cui ha la residenza per far valere la nullità della pattuizione, chiedendo la rideterminazione giudiziale del compenso per l’attività professionale prestata con l’applicazione dei parametri previsti dai decreti ministeriali relativi alla specifica attività svolta dal professionista. Lo scopo della normativa in esame, come visto, è quello di tutelare i professionisti nell’ambito dei rapporti d’opera professionale in cui essi si trovino nella posizione di “contraenti deboli” ed emerge ulteriormente dalla previsione per la quale gli stessi ordini e i collegi professionali sono chiamati ad adottare disposizioni deontologiche volte a sanzionare il professionista che violi le disposizioni sull'equo compenso […] Nell’ipotesi in esame, l’interpretazione letterale e teleologica della legge n. 49/2023 depone in maniera inequivoca per la sua applicabilità alla materia dei contratti pubblici. Come già esposto, infatti, il legislatore, al dichiarato intento di tutelare i professionisti intellettuali nei rapporti contrattuali con “contraenti forti” ha espressamente previsto l’applicazione della legge anche nei confronti della Pubblica Amministrazione e ha riconosciuto la legittimazione del professionista all’impugnazione del contratto, dell’esito della gara, dell’affidamento qualora sia stato determinato un corrispettivo qualificabile come iniquo ai sensi della stessa legge. Non a caso, l’art. 8, d.lgs. n. 36/2023, oggi prevede che le Pubbliche Amministrazioni, salvo che in ipotesi eccezionali di prestazioni rese gratuitamente, devono garantire comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso nei confronti dei prestatori d’opera intellettuale. Sul piano letterale e teleologico, pertanto, gli elementi sopra evidenziati depongono in maniera chiara per l’applicabilità delle previsioni della legge n. 49/2023 anche alla disciplina contenuta nel d.lgs. n. 50 del 2016; diversamente opinando, l’intervento normativo in questione risulterebbe privo di reale efficacia sul mercato delle prestazioni d’opera intellettuale qualora il legislatore avesse inteso escludere i rapporti contrattuali tra i professionisti e la Pubblica Amministrazione che, nel mercato del lavoro attuale, rappresentano una percentuale preponderante del totale dei rapporti contrattuali conclusi per la prestazione di tale tipologia (si ricorda, a titolo esemplificativo, che con riferimento al 2021 l’Anac, in un periodo ancora condizionato dall’emergenza pandemica, ha stimato in circa 70 miliardi di euro il valore totale degli appalti di servizi aggiudicati dalle Pubbliche Amministrazioni). Il Collegio ritiene, poi, che sia comunque applicabile, anche successivamente all’entrata in vigore della legge n. 49/2023, il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in ragione del rapporto qualità/prezzo. Infatti, mediante l’interpretazione coordinata delle norme in materia di equo compenso e del codice dei contratti pubblici (nel caso in esame, del d.lgs. n. 50/2016, ma il ragionamento è analogo anche con riguardo al d.lgs. n. 36/2023) si può affermare che il compenso del professionista sia soltanto una delle componenti del “prezzo” determinato dall’Amministrazione come importo a base di gara, al quale si affiancano altre voci, relative in particolare alle “spese ed oneri accessori”. L’Amministrazione è chiamata a quantificare tali voci in applicazione del D.M. 17 giugno 2016 per individuare l’importo complessivo da porre a base di gara; al tempo stesso, la voce “compenso”, individuata con tale modalità come una delle voci che costituiscono il prezzo, è da qualificare anche come compenso equo ai sensi della legge n. 49/2023, che sotto tale aspetto stabilisce che è equo il compenso dell’ingegnere o architetto determinato con l’applicazione dei decreti ministeriali adottati ai sensi dell'art. 9, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 […] Ne deriva che il compenso determinato dall’Amministrazione ai sensi del D.M. 17 giugno 2016 deve ritenersi non ribassabile dall’operatore economico, trattandosi di “equo compenso” il cui ribasso si risolverebbe, essenzialmente, in una proposta contrattuale volta alla conclusione di un contratto pubblico gravato da una nullità di protezione e contrastante con una norma imperativa. Nondimeno, trattandosi di una delle plurime componenti del complessivo “prezzo” quantificato dall’Amministrazione, l’operatività del criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in ragione del rapporto qualità/prezzo, è fatta salva in ragione della libertà, per l’operatore economico, di formulare la propria offerta economica ribassando le voci estranee al compenso, ossia le spese e gli oneri accessori. Siffatta conclusione, oltre ad assicurare la coerente e coordinata applicazione dei due testi normativi, consente di escludere che la legge n. 49/2023 produca di per sé effetti anti concorrenziali o in contrasto con la disciplina dell’Unione Europea (profilo che sarà esaminato più ampiamente nel prosieguo dell’esposizione). Si osserva, infatti, che escludere la proposizione di offerte economiche al ribasso sulla componente del prezzo rappresentata dai “compensi” non è un ostacolo alla concorrenza o alla libertà di circolazione e di stabilimento degli operatori economici, ma al contrario rappresenta una tutela per questi ultimi, a prescindere dalla loro nazionalità, in quanto permetterà loro di conseguire un corrispettivo equo e proporzionato anche da un contraente forte quale è la Pubblica Amministrazione e anche in misura superiore a quella che sarebbero stati disposti ad accettare per conseguire l’appalto […] deve essere evidenziato come la Stazione appaltante abbia espressamente richiamato la legge n. 49/2023 nell’ambito del controllo sull’anomalia dell’offerta del Raggruppamento aggiudicatario: tale richiamo non può essere derubricato ad un mero “aver tenuto conto”, come affermato dalla Stazione appaltante, posto che l’Amministrazione non è chiamata a tenere conto discrezionalmente di una legge in vigore, ma a darvi rigorosa applicazione. Ma ciò che è dirimente osservare è che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Stazione appaltante e dal Raggruppamento aggiudicatario, la disciplina di gara deve ritenersi essere stata eterointegrata dalla legge n. 49/2023 […] Nel caso in esame, il bando di gara non ha previsto, espressamente, l’applicazione della legge sul c.d. “equo compenso” e non ha precluso la formulazione di offerte economiche al ribasso sulla componente “compenso” del prezzo stabilito; tale lacuna, con riferimento ad un profilo sottratto alla libera disponibilità della Stazione appaltante, deve ritenersi integrata dalle norme imperative previste dalla legge n. 49/2023 che, come visto, ha stabilito la nullità delle clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata. Il fatto che il combinato disposto degli artt. 1, 2 e 3, l. n. 49 del 2023 integrino un’ipotesi di norma imperativa, non può, ad avviso del Collegio essere messo in dubbio. Premesso che la già ricordata previsione testuale della nullità rappresenta, quantomeno, un indizio “forte”, al riguardo, occorre ricordare come, secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidato, ‹‹il focus dell'indagine sulla imperatività della norma violata si appunta ora sulla natura dell'interesse leso che si individua nei preminenti interessi generali della collettività›› (Cass. civ., Sez. Un., 15 marzo 2022 n. 8472). Nel caso di specie, l’imperatività della normativa in esame è associata non solo, come detto, alla previsione testuale della nullità, ma anche al fatto che lo scopo del provvedimento è quello di assicurare al professionista un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, sia in sostanziale attuazione dell’art. 36 Cost., sia per rafforzare la tutela dei professionisti nel rapporto contrattuale con specifiche imprese, che per natura, dimensioni o fatturato, sono ritenute contraenti forti, ovvero, per quanto in questa sede di interesse, con la P.a.. A tale riguardo, con particolare riguardo alle procedure di evidenza pubblica, è chiaro come non possono non venire in preminente rilievo anche i principi di imparzialità e buon andamento della P.a.: sarebbe irragionevolmente discriminatorio se i limiti imposti dalla normativa in esame non fossero rispettati, in modo particolarmente cogente, proprio dalla P.a. nell’ambito delle gare, laddove vengono in gioco anche interessi generali ulteriori correlati alla tutela della concorrenza e della par condicio dei concorrenti in gara. In questo senso, con specifico riguardo alla rilevanza della disciplina sull’equo compenso nell’ambito delle procedure di gara, in combinato disposto con le previsioni contenute nel d.lgs. n. 50 del 2016, il Collegio ritiene che la natura relativa o di “protezione” della nullità in questione, così come emergente dall’art. 3, comma 4, l. n. 49 del 2023 (laddove prevede che ‹‹la nullità delle singole clausole non comporta la nullità del contratto, che rimane valido ed efficace per il resto. La nullità opera solo a vantaggio del professionista ed è rilevabile d'ufficio››) non possa comportare l’irrilevanza della violazione dei compensi minimi in sede di gara. Infatti, la norma in questione è di portata generale, ed è chiaramente pensata, in particolare, in funzione della già avvenuta stipula del contratto con il professionista, nell’ambito, quindi, del rapporto contrattuale con lo stesso instaurato. D’altronde, pur non contenendo la normativa in esame una previsione puntuale in ordine alle conseguenze derivanti dalla violazione in esame nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica, è evidente che, in considerazione delle finalità di carattere generale sopra evidenziate, e, in particolare, al fine di garantire il puntuale rispetto del principio di imparzialità e buon andamento dell’attività della P.a., nonché dei principi anche eurounitari alla base delle procedure ad evidenza pubblica medesime, non può ammettersi un’aggiudicazione in palese violazione di una norma imperativa, ancorché nell’ambito del rapporto contrattuale “a valle” la nullità del contratto possa essere dedotta solo dal professionista. Diversamente, infatti, si rischierebbe, proprio nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica, una pericolosa eterogenesi dei fini: il professionista concorrente potrebbe essere “tentato” di abusare della nullità di protezione in questione, volutamente presentando un’offerta “inferiore” ai minimi, per così ottenere l’aggiudicazione e, una volta stipulato il contratto far valere la nullità parziale al fine di attivare il “meccanismo” di cui al comma 6 dell’art. 3 […] È evidente d’altronde, che ciò porterebbe ad un aggiramento del principio di tendenziale immutabilità dell’offerta anche in sede di esecuzione del contratto pubblico. In questo senso, allora, la nullità relativa o di protezione si può ritenere giustificata proprio in relazione ai casi in cui il professionista è sostanzialmente “tenuto” a “subire” la previsione contraria all’equo compenso, e ciò anche eventualmente quando ad imporre la riduzione al di sotto dei minimi sia la P.a.. Diversamente, nell’ambito di gare, come quella in esame, dove la violazione della normativa sull’equo compenso non è imposta dalla P.a., ma dipende da una volontaria scelta dell’operatore economico al fine di ottenere l’aggiudicazione superando gli altri concorrenti, la natura “relativa” della nullità non può rivestire alcun rilievo, l’imperatività della normativa medesima imponendo, al contrario, un effetto escludente delle offerte con la stessa in contrasto […] la Stazione appaltante ha determinato, ai sensi del D.M. 17 giugno 2016, il corrispettivo da porre a base di gara, distinguendo i compensi da riconoscere all’aggiudicatario dalle spese e dagli oneri accessori; il compenso, determinato in tal modo, doveva essere ritenuto non ribassabile dall’operatore economico partecipante alla gara, trattandosi di “equo compenso” ai sensi della legge n. 49/2023, in ragione della piena coincidenza dei criteri di calcolo previsti dal D.M. 17 giugno 2016 e di quello adottato ai sensi dell'art. 9, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 per la liquidazione giudiziale dei compensi del professionista. In tale quadro, nonostante la modulistica di gara prevista dalla Stazione appaltante, ciascun concorrente è stato posto in condizioni di formulare la propria offerta economica nella consapevolezza che il ribasso percentuale offerto, a seconda della sua entità, avrebbe potuto erodere i compensi equi stabiliti dall’Amministrazione. Qualora quest’ultima avesse compiuto la semplice verifica aritmetica esposta dal ricorrente, avrebbe potuto accertare agevolmente che l’offerta economica del Raggruppamento aggiudicatario era stata formulata in violazione della legge sull’equo compenso. Infatti, la stessa Stazione appaltante, con riferimento al “Lotto n. 1 - P.O. San Donà di Piave” (Valore appalto € 1.107.850,00, art. 3.2 disciplinare) aveva stabilito l’importo di € 633.920,00 per la progettazione definitiva e € 473.930,00 per la progettazione esecutiva; nel totale del lotto il compenso per l’attività di progettazione era pari a € 969.451,31 (€ 554.730,58 + 414.720,73) mentre le spese e gli oneri ammontavano complessivamente a € 138.389,17. Con riferimento, invece, al Lotto n. 2 P. O. Portogruaro (Valore Appalto € 1.099.470,00, art. 3.2 disciplinare), la lex specialis aveva stabilito l’importo di € 629.280,00 per la progettazione definitiva e di € 470.190,00 per la progettazione esecutiva; nel totale il compenso per l’attività di progettazione era pari a € 960.965,31 (550.006,44 + 410.958,87), mentre le spese e gli oneri ammontano a € 138.499,12, pari al 14,41%. Il Raggruppamento aggiudicatario ha offerto, con riferimento al Lotto n. 1, un ribasso del 40.500 %, con la conseguenza che l’importo complessivo offerto (pari ad euro 659.170,75, comprensivi anche delle spese generali e degli oneri accessori) era evidentemente inferiore alla sola voce dei compensi determinata dall’Amministrazione nella misura di € 960.965,31 […] Da quanto esposto, deriva che l’aggiudicazione e gli atti di gara impugnati sono illegittimi, nei limiti sopraindicati, nella parte in cui la Stazione appaltante, in ragione della proposizione di una offerta economica formulata in violazione della legge n. 49/2023, non ha escluso dalla procedura il raggruppamento controinteressato e ha aggiudicato allo stesso l’appalto in oggetto”.
Alla luce di quanto rilevato dal Giudice amministrativo:
- la legge sull’equo compenso trova piena applicazione nell’ambito dei contratti pubblici;
- la norma sull’equo compenso ha carattere imperativo e, per ciò solo, non può essere elusa e, in caso di sua violazione, viene automaticamente eterointegrata all’interno degli atti di gara;
- le uniche voci che possono formare oggetto di ribasso sono quelle relative alle spese ed agli oneri accessori, restando, dunque, esclusa la componente relativa al compenso professionale;
- l’eventuale offerta presentata in gara ed avente un ribasso sulla componente relativa al compenso deve essere esclusa.
TAR Sicilia, sez. I, sen.t n. 703/2024: negli appalti integrati è legittimo richiedere un gruppo di progettazione.
Nella gara per l’affidamento di un appalto integrato è legittima la clausola del disciplinare di gara con cui si richiede ai concorrenti di possedere una struttura operativa minima per lo svolgimento dell’attività di progettazione, indicando, nel contempo, gli schemi organizzativi e contrattuali in cui devono essere inquadrati i rapporti con il progettista.
Una clausola di questo tenore non può essere considerata irragionevolmente limitativa della concorrenza, né si può sostenere che la stessa introduca una causa di esclusione ulteriore rispetto a quelle previste dal d.lgs. n. 36/2023, in violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione di cui all’art. 10, e debba, quindi, essere ritenuta nulla.
Si è espresso in questi termini il TAR Sicilia nella sentenza in commento, che offre interessanti indicazioni sui requisiti che possono essere richiesti ai progettisti in sede di gara per l’affidamento di un appalto integrato, in linea con le previsioni contenute nel d.lgs. n. 36/23.
Nel caso esaminato dal Giudice amministrativo, un ente appaltante aveva indetto una procedura di gara per l’affidamento di un appalto avente ad oggetto la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori di ristrutturazione di un edificio. Trattandosi, appunto, di un appalto integrato il disciplinare regolava puntualmente i requisiti richiesti ai concorrenti ai fini di dimostrare che gli stessi possedevano anche i requisiti per lo svolgimento dell’attività di progettazione.
Nello specifico, la relativa clausola della lex specialis stabiliva che i concorrenti dovessero dimostrare di avere una struttura operativa minima dedicata alla progettazione, indicando anche tre diverse modalità attraverso cui doveva strutturarsi il rapporto tra concorrente e progettista. Le tre modalità erano così individuate: a) rapporto di lavoro subordinato, cioè il progettista doveva essere un dipendente del concorrente; b) raggruppamento temporaneo tra concorrente e progettista, in cui il progettista assume il ruolo di mandante; c) rapporto di lavoro parasubordinato, cioè il progettista ha un rapporto di consulenza/collaborazione con il concorrente, di carattere continuativo e su base annua.
In sede di svolgimento della gara, la stazione appaltante rilevava che un concorrente non aveva dato evidenza di quanto previsto nella richiamata clausola, e aveva quindi attivato il soccorso istruttorio. In tale sede, il concorrente produceva un atto di impegno a costituirsi in raggruppamento temporaneo con il progettista, che aveva tuttavia una data di sottoscrizione successiva al termine di scadenza per la presentazione delle offerte. Riteneva, quindi, che non fosse soddisfatto il requisito richiesto dal disciplinare di gara e procedeva all’esclusione del concorrente stesso.
Contro il provvedimento di esclusione veniva proposto ricorso al giudice amministrativo. Sosteneva il ricorrente che la stazione appaltante avrebbe errato nel valutare la disciplina prevista per la qualificazione dei progettisti nell’appalto integrato, con la conseguenza di formulare in sede di soccorso istruttorio richieste irragionevoli e contrarie alla legge. Infatti, risalendo a monte, una corretta considerazione del dettato normativo porterebbe a ritenere che la clausola del disciplinare di gara che regolava la qualificazione dei progettisti doveva considerarsi nulla (o almeno illegittima), in quanto introduttiva di una causa di esclusione non prevista dall’ordinamento dei contratti pubblici, in violazione dell’espresso divieto dall’art. 10 del Codice.
Il Tar Sicilia ricorda, preliminarmente, che la clausola del disciplinare di gara era chiara nel prevedere l’esclusione dei concorrenti che non avessero dimostrato di poter contare sui requisiti di progettisti esclusivamente secondo una delle modalità indicate. Di conseguenza, considerata la natura immediatamente escludente di tale clausola, la stessa avrebbe dovuto essere oggetto di impugnazione immediata da parte del concorrente che ne avesse voluto contestare la legittimità. Cosa che non è avvenuta nel caso di specie.
Questa obiezione potrebbe essere superata solo aderendo alla ricostruzione alternativa prospettata dal ricorrente, secondo cui la clausola in discussione andrebbe considerata nulla – e non solo illegittima -, in quanto posta in violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione sancito dall’articolo 10 del Codice.
Per dare risposta a tale questione, il Giudice amministrativo parte dalla previsione contenuta all’art. 44, co. 3, del d.lgs. n. 36/23. Secondo l’esplicita formulazione della norma, in caso di appalto integrato i concorrenti devono possedere i requisiti prescritti per i progettisti, in una delle tre seguenti modalità: a) possiedono in proprio tali requisiti (in quanto titolari di Soa per progettazione ed esecuzione); b) si avvalgono di progettisti qualificati, da indicare in sede di offerta; c) partecipano in raggruppamento con progettisti qualificati.
Questa prima disposizione va interpretata in chiave sistematica, cioè alla luce di altre norme del Codice relative alla qualificazione dei concorrenti. In questa logica, viene in rilievo, in primo luogo, la previsione dell’art. 10, co. 3, che consente agli enti appaltanti di fissare in sede di gara requisiti di qualificazione attinenti e proporzionati all’oggetto del contratto, tenendo presente l’interesse pubblico alla più ampia partecipazione. Ed in questo senso si esprimono anche gli articoli 100 e 103.
Nella stessa direzione si muove la previsione contenuta nell’Allegato II.12 – relativo alla qualificazione dei concorrenti – secondo cui, ai fini dell’affidamento di un appalto integrato, il concorrente che intenda partecipare con la SOA di progettazione e costruzione deve dimostrare la presenza di uno staff tecnico di progettazione composto da professionisti in possesso di determinati titoli.
Sulla base di questo quadro normativo complessivo, il Giudice amministrativo ha ritenuto che l’ente appaltante abbia legittimamente specificato i requisiti di progettazione da richiedere ai concorrenti e le modalità con cui dimostrarli. In particolare, sia i requisiti in sé, che le modalità di dimostrazione degli stessi, appaiono attinenti e proporzionati all’oggetto dell’appalto, considerato che l’ente appaltante gode, comunque, di ampi margini di discrezionalità nel definirli, nei limiti della ragionevolezza e proporzionalità.
In particolare, è legittima la richiesta da parte dell’ente appaltante ai concorrenti di disporre di una struttura operativa minima dedicata allo svolgimento dell’attività di progettazione, specificando in questo modo la mera indicazione nominativa ritenuta dall’ente appaltante non sufficiente ai fini di dimostrare un’adeguata qualificazione.
In sostanza, secondo il TAR l’ente appaltante ha esercitato la sua discrezionalità amministrativa nello specificare i requisiti che dovevano essere posseduti dai progettisti e, in particolare, le modalità con cui dimostrare il rapporto tra concorrente e progettista. Di conseguenza, ciò che può eventualmente venire in considerazione è un uso illegittimo di tale discrezionalità, ma in nessun modo si può porre un tema di nullità della clausola, non essendo configurabile alcuna violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione.
Consiglio di Stato, sez. VII, sent. n. 2101/2024: l’errore materiale è rettificabile fino al giorno di apertura delle offerte.
Nel caso in cui in una gara di appalto sia riscontrabile nell’offerta un mero errore materiale, facilmente individuabile senza necessità di alcuna attività interpretativa o valutativa, il concorrente ha la facoltà di richiedere la rettifica di tale errore fino al giorno fissato per l’apertura delle offerte. In ogni caso, a fronte di un errore di questo tipo, la stazione appaltante ha l’obbligo di attivare il soccorso istruttorio al fine di consentire al concorrente di fornire i necessari chiarimenti rispetto a un elemento dell’offerta che a prima vista appare appunto frutto di un mero errore materiale.
Nel caso esaminato dal C.d.S., un ente appaltante aveva indetto una procedura di gara da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. A seguito dell’intervenuta aggiudicazione, il concorrente secondo classificato proponeva ricorso davanti al Giudice amministrativo. Il ricorrente sosteneva l’illegittimità dell’operato della stazione appaltante per la mancata attribuzione all’offerta dalla stessa presentata del punteggio massimo previsto in relazione al criterio della “Riduzione tempi messa a disposizione del Programma operativo dei servizi”.
Infatti, il capitolato d’oneri prevedeva che costituisse elemento premiale dell’offerta la suddetta riduzione dei tempi, precisando i coefficienti sulla base dei quali andava valutata la riduzione – da un minimo di 3 a un massimo di 9 giorni - e stabilendo in particolare che al coefficiente C pari a 1 andasse attribuito il massimo di riduzione, pari a 9 giorni, con conseguente più alta attribuzione del punteggio all’offerta tecnica (3 punti).
A fronte di questa previsione il ricorrente esponeva nella propria offerta tecnica una riduzione pari a 1 giorno. Tuttavia, sempre secondo il ricorrente, si sarebbe trattato di un mero errore materiale, in quanto il riferimento al numero 1 andava correlato al coefficiente di riferimento. In sostanza, la volontà del ricorrente sarebbe stata quella di offrire una riduzione del tempo corrispondente al coefficiente C pari a 1 (cioè 9 giorni); di conseguenza, alla medesima offerta andava attribuito il punteggio massimo previsto per questo elemento (3 punti), e non zero punti come fatto dalla stazione appaltante.
Il TAR Puglia respingeva il ricorso, ritenendo che, nel caso di specie, non fosse ravvisabile alcun errore materiale, essendo inequivocabile la volontà del concorrente di voler ridurre i tempi di 1 solo giorno, non potendosi ricavare da alcun elemento che il numero 1 andasse riferito al criterio C (dando quindi luogo a una riduzione di 9 giorni). Né poteva assumere rilievo il fatto che la riduzione di 1 solo giorno in realtà sarebbe stata inutile in quanto non avrebbe attribuito alcun punteggio, dovendo comunque applicarsi il principio di autoresponsabilità dei concorrenti.
Il Giudice di appello ha, invece, accolto il ricorso, ricordando, in via preliminare, che, nei termini generali previsti dalla l. n. 241/90 sul procedimento amministrativo, è previsto che il responsabile del procedimento possa chiedere la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete. È, quindi, evidente che il potere di soccorso costituisce un istituto di carattere generale che intende soddisfare la più ampia partecipazione al procedimento, comprese le procedure selettive.
Nell’ambito dei contratti pubblici il potere di soccorso si caratterizza per una disciplina specifica che lo connota in termini peculiari. La prima differenza fondamentale è che il soccorso istruttorio non si configura come mera facoltà, ma come un obbligo dell’ente appaltante, sia pure nei limiti e alle condizioni fissati dal legislatore. Sotto quest’ultimo profilo, mentre nei procedimenti amministrativi diversi da quelli comparativi il potere di soccorso ha la massima forza espansiva, in quelli di natura comparativa incontra i limiti derivanti dalla necessità di rispettare il principio della par condicio.
In sostanza, nel settore dei contratti pubblici il soccorso istruttorio ha una portata generale al fine di consentire al concorrente di regolarizzare o integrare la documentazione di gara, ma nei limiti del rispetto della par condicio, nel senso che non può produrre una situazione di ingiustificato vantaggio a favore del concorrente nei cui confronti sia attivato.
In sostanza, il principio è che il soccorso istruttorio può (ed anzi deve) essere attivato in tutti i casi in cui dalla documentazione presentata dal concorrente emergano elementi di incertezza facilmente superabili con integrazioni o chiarimenti, poiché ciò risponde al corretto esercizio dell’azione amministrativa, ispirata ai principi di buona fede e correttezza.
In questo contesto si inserisce anche la possibilità della correzione di errori materiali contenuti nell’offerta. Questa correzione può essere operata direttamente dalla commissione di gara in tutti i casi in cui gli errori siano facilmente ed immediatamente rilevabili. In ogni caso, la possibilità di correzione deve essere riconosciuta in capo ai concorrenti, a condizione che si tratti di un errore evidente, di modo che la correzione sia funzionale a esprimere l’effettiva volontà del concorrente, inespressa ma agevolmente desumibile dall’offerta. In caso contrario si avrebbe, infatti, un’inammissibile manipolazione o variazione postuma dei contenuti dell’offerta, con conseguente violazione della par condicio.
Ne deriva che la correzione dell’errore materiale non deve richiedere alcuna attività integrativa né alcuno sforzo di ricostruzione interpretativa da parte della stazione appaltante.
L’insieme di questi principi trovano, oggi, consacrazione legislativa nella disciplina del soccorso istruttorio contenuta all’art. 101 del d.lgs. n. 36/2023. Nello specifico, il co. 3 di tale articolo consente alla stazione appaltante di richiedere chiarimenti anche sui contenuti dell’offerta tecnica e economica, che il concorrete è tenuto a fornire entro il temine indicato, non inferiore a 5 e superiore a 10 giorni. Fermo restando che tali chiarimenti non possono modificare il contenuto dell’offerta.
Il successivo co. 4 disciplina, invece, la correzione dell’errore materiale su richiesta del concorrente. Tale richiesta può intervenire fino al giorno fissato per l’apertura delle offerte e la correzione è ammessa a condizione che la stessa non comporti la presentazione di una nuova offerta o una modifica sostanziale di quella già presentata.
L’applicazione dell’insieme di queste considerazioni al caso di specie porta il Consiglio di Stato a concludere che la stazione appaltante avrebbe dovuto attivare il soccorso istruttorio al fine di chiarire se, in relazione alla riduzione dei tempi per la messa a disposizione del sistema, il numero 1 andasse inteso come 1 giorno (come indicato nell’offerta) ovvero andasse correlato al criterio indicato per la valutazione di tale elemento, secondo cui il numero 1 corrispondeva a 9 giorni.
Secondo il Giudice amministrativo è del tutto evidente che la reale volontà del concorrente andava nel secondo senso, poiché la riduzione di 1 solo giorno non avrebbe avuto alcun senso, posto che il numero minimo di giorni di riduzione stabilito nel capitolato e utile per ottenere un punteggio incrementale era di 3 giorni
È, quindi, evidente l’errore materiale in cui è incorso il concorrente, come tale emendabile in sede di soccorso istruttorio o su richiesta del concorrente o anche, al limite, con un’operazione di mera constatazione operata in buona fede dalla stessa stazione appaltante in via autonoma.