RUBRICA AGGIORNAMENTO GIURISPRUDENZIALE n. 1/2025
TAR Puglia, sez. II, sent. n. 1324/2024: esclusione per illeciti professionali anche nei casi non elencati dal Codice.
Può considerarsi grave illecito professionale il comportamento dell’operatore economico che abbia tentato di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante attraverso condotte, anche non predeterminabili ex ante, ma comunque incidenti in modo negativo sulla sua integrità e affidabilità. La stazione appaltante dovrà, quindi, valutare l’esistenza del grave illecito professionale sulla base del proprio potere discrezionale guidato, in particolar modo, dal principio di fiducia.
Questo è quanto disposto dal TAR Puglia con la sentenza in commento.
Nel caso di specie, all’esito della procedura per l’affidamento di un servizio la stazione appaltante provvede all’esclusione dell’operatore economico che non ha comunicato alcune pendenze giudiziarie, impedendo così una piena valutazione delle circostanze legittimanti l’esclusione. I reati contestati incidono sulla moralità e sulla professionalità della ditta, mettendone in dubbio l’integrità e l’affidabilità e se l’amministrazione avesse avuto la possibilità di valutare l’offensività del reato, avrebbe senz’altro risolto il contratto.
L’operatore economico escluso decide di presentare ricorso al TAR competente: l’esclusione dalla gara è stata pronunciata al di fuori delle ipotesi previste dagli artt. 94, 95 e 98 del d.lgs. n. 36/2023, in quanto i reati contestati non rientrano tra quelli che comportano una esclusione automatica e non automatica come pure tra i “gravi illeciti professionali”. Inoltre, per tali reati vi è stato un decreto penale di condanna e si sono estinti per il decorso del termine biennale ex art. 460, co. 5, c.p.p. e, pertanto, non dovevano essere menzionati nell’autodichiarazione prodotta in gara.
Il Giudice investito della causa, richiamando gli artt. 95, co. 1, e 98, co. 3, del Codice osserva che si desume “un grave illecito professionale dalla condotta dell’operatore economico che abbia - alternativamente - (i) tentato di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante; (ii) tentato di ottenere informazioni riservate a proprio vantaggio; o (iii) fornito, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti, suscettibili di influenzare le decisioni della aggiudicazione”.
Il tentare di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante costituisce una norma aperta, generale, idonea a ricomprendere tutte le condotte poste in essere dal ricorrente, non predeterminabili ex ante, ma comunque incidenti in modo negativo sull’integrità e sull’affidabilità dell’operatore economico. Il Collegio, aderendo a quanto affermato dalla sent. dell’Ad. Plen. n. 16/2020, afferma che la condotta dell’operatore economico “possa concretarsi anche in omissioni dichiarative attinenti a peculiari vicende imprenditoriali, connotate da specifica e concreta rilevanza, integrando, dunque, l’autonoma ipotesi di grave illecito professionale” e la rilevanza in termini di illecito professionale (anche) dell’omissione dichiarativa è invero desumibile a contrario dal dato testuale dell’art. 98, co. 5, del dl.gs. n. 36 del 2023. In tal modo, quindi, si è riconosciuta una propria rilevanza anche alla condotta omissiva, tesa a nascondere informazioni non conosciute alla PA e perciò idonea a influenzarne il processo decisionale.
Nel in parola, l’omissione dichiarativa riguarda dei reati che non rientrano nelle ipotesi di esclusione automatica ma la cui conoscenza si “appalesa determinante ai fini della formazione di un” corretto processo decisionale ai fini dell’apprezzamento della sua affidabilità, in rapporto allo specifico oggetto della procedura concorsuale. Le stazioni appaltanti prima di procedere all’esclusione devono, quindi, verificare la pertinenza tra l’illecito professionale e l’oggetto del contratto di gara: in particolare, non devono limitarsi alla verifica dell’esistenza di una delle ipotesi rilevanti e a valutarne la gravità in senso assoluto, ma anche valutare una connessione specifica tra quella gravità e i propri interessi e lo stesso comma 3, lett. b), dell’art. 98, sebbene tipizza le fattispecie e i mezzi di prova, allo stesso tempo non elide la natura e il portato discrezionale dell’amministrazione in ordine all’integrazione dell’illecito professionale (Cons. Stato, V, n. 9854/2023; n. 7452/2023; n. 7492/2023; n. 9877/2022; n. 2154/2022; n. 8360/2021; Cga, n. 842/2021; Cons. Stato, III, n. 7730/2020; Id., V, n. 2407/2019; n. 2260/2020; n. 1762/2020) il quale deve essere esercitato rispettando tutti i principi generali del Codice dei Contratti, primo fra tutti il principio della fiducia. Nel caso di specie il principio della fiducia è “minato” dall’esistenza di ipotesi gravi vicende delittuose emerse in occasione dell’esecuzione di precedenti similari servizi resi in favore della stessa PA. La stazione appaltante ha adottato il provvedimento espulsivo del concorrente non per la potenziale rilevanza dell’omessa dichiarazione in sé “bensì delle notizie omesse e della loro idoneità ad incidere sul giudizio di integrità ed affidabilità del concorrente rispetto allo specifico oggetto del servizio da aggiudicare (cfr. Cons. Stato, Sez. V, , n. 5990/2022, richiamato da Tar Lazio - Latina, Sez. I, n. 134/2023)”. Nella stessa linea si pongono le direttive 2014/23/Ue e 2014/24/Ue.
Infine, il Giudice evidenzia che affinché opera l’estinzione del reato è necessaria una pronuncia giurisdizionale di accertamento costitutivo: quindi, senza un provvedimento formale dell’autorità giudiziaria non può considerarsi estinto un reato (Cons. di Stato, Sez. V, n. 1800/2011; Sez. VI, n. 9324/2010 e n. 4243/2010). Alla luce di queste considerazioni il ricorso è stato respinto.
Cons. Stato, sez. V, sent. n. 9596/2024: va escluso il consorzio stabile in caso di irregolarità fiscale di una delle imprese consorziate.
È legittima l’esclusione dalla gara del consorzio stabile nell’ipotesi in cui un’impresa consorziata designata come esecutrice sia gravata da irregolarità fiscali, senza che possa essere invocato, in termini assoluti, il rimedio previsto dalla stessa disciplina sulle cause di esclusione che consente ai raggruppamenti temporanei e ai consorzi la sostituzione, a determinate condizioni, dell’impresa in questione. Il rimedio costituito dalla facoltà di sostituzione - che evita l’esclusione del raggruppamento o del consorzio – è, infatti, subordinato alla comunicazione in sede di offerta da parte del concorrente dell’esistenza della causa escludente e della successiva adozione delle misure necessarie per rimediare al problema (consistenti nell’individuazione di altra impresa in possesso dei necessari requisiti di qualificazione). Se l’indicata comunicazione non vi è stata, la sostituzione non è possibile e il consorzio (o il raggruppamento) va escluso, senza che la mancata comunicazione possa essere giustificata in ragione della non conoscenza della causa di esclusione in capo all’impesa consorziata (o raggruppata).
Sono queste le principali affermazioni operate dal Consiglio di Stato con una pronuncia che presenta un significativo interesse sotto due profili: da un lato, nella definizione dei rapporti tra consorzio e impresa consorziata in sede di partecipazione alla gara, dall’altro, in merito all’individuazione delle corrette modalità operative del rimedio consentito ai consorzi e ai raggruppamenti temporanei per evitare l’esclusione a fronte di una situazione potenzialmente escludente che interessa un’impresa consorziata o raggruppata.
Nel caso di specie, un ente locale aveva svolto una procedura negoziata telematica per l’affidamento di un appalto integrato. L’aggiudicazione veniva operata a favore di un consorzio stabile. Tuttavia, in sede di verifica dei requisiti, l’ente appaltante adottava un provvedimento di esclusione del consorzio, avendo riscontrato che in capo a un’impresa consorziata designata come esecutrice risultava una situazione di irregolarità fiscale.
Il provvedimento di esclusione veniva impugnato dal consorzio davanti al TAR Calabria che, tuttavia, respingeva il ricorso. La decisione del Giudice di primo grado è stata oggetto di appello davanti al Consiglio di Stato.
Il motivo centrale, sostenuto dal ricorrente in sede di appello, è che erroneamente il Giudice di primo grado avrebbe imputato al consorzio di non avere attivato in sede di gara il rimedio che gli consentiva di sostituire l’impresa consorziata gravata da irregolarità fiscale, evitando in questo modo l’esclusione dello stesso consorzio dalla gara. Secondo l’appellante questa mancata attivazione non poteva essere imputata al consorzio, posto che lo stesso non era a conoscenza della situazione di irregolarità fiscale gravante sull’impresa consorziata.
La questione sollevata dall’appellante si incentra sulla corretta interpretazione e applicazione del rimedio riconosciuto ai consorzi ed ai raggruppamenti dall’art. 97 del d.lgs. n. 36/2023, finalizzato a evitare l’esclusione del consorzio o del raggruppamento concorrente qualora vi sia una causa di esclusione che colpisca la singola impresa consorziata o raggruppata. Tale articolo ammette, a determinate condizioni, che il consorzio o il raggruppamento, a fronte della sussistenza di una causa di esclusione in capo a un’impresa consorziata o raggruppata, possa, comunque, evitare l’esclusione dalla gara procedendo alla sostituzione della stessa, purché la nuova impresa sia in possesso dei necessari requisiti di qualificazione e sia preservata l’immodificabilità sostanziale dell’offerta presentata (comma 2).
Il precedente comma 1 indica le condizioni procedurali che devono ricorrere affinché questa sostituzione possa essere attuata. In particolare, tale disposizione prevede che il consorzio o il raggruppamento deve comunicare in sede di presentazione dell’offerta che si è verificata a carico dell’impresa consorziata/raggruppata una causa di esclusione e che lo stesso intende procedere alla sostituzione con altra impresa in possesso della necessaria qualificazione. A fronte di questa comunicazione la stazione appaltante valuta la situazione e verifica che la sostituzione proposta sia in linea con quanto richiesto dalla norma di riferimento (qualificazione invariata e immodificabilità dell’offerta).
Nel caso di specie, è incontestato che il consorzio non ha provveduto alla comunicazione in sede di presentazione dell’offerta. Di conseguenza, secondo il Consiglio di Stato, la mancata possibilità di attivare il meccanismo di sostituzione dell’impresa consorziata che, in funzione di rimedio, consente di evitare l’esclusione del consorzio stesso dalla gara è integralmente addebitabile a quest’ultimo e non certo alla stazione appaltante.
In sostanza, manca il presupposto che la stessa disciplina indica ai fini di consentire l’attivazione del rimedio previsto.
Non è accoglibile, al contrario, la prospettazione del consorzio appellante secondo cui doveva essere la stazione appaltante a comunicare al concorrente la sussistenza della causa escludente in capo all’impresa consorziata al fine di consentire al consorzio di attivare i rimedi previsti dalla norma.
Questa prospettazione conduce a un’inversione dell’onere procedurale che non trova riscontro nella formulazione testuale della disposizione legislativa e non risponde neanche al principio di autoresponsabilità cui i concorrenti sono tenuti nella partecipazione alle procedure di gara.
Né assume rilievo, come pure dedotto dal consorzio appellante, che lo stesso non aveva conoscenza della sussistenza della causa di esclusione in capo all’impresa consorziata. Si tratta infatti di un elemento di giustificazione che non può essere preso in considerazione, tenuto conto della natura giuridica del consorzio e dei rapporti che legano quest’ultimo alle imprese consorziate.
Sotto quest’ultimo profilo, il Consiglio di Stato ricostruisce la natura giuridica e i caratteri del consorzio stabile e gli effetti che ne conseguono nei rapporti tra lo stresso e le imprese consorziate.
Il consorzio stabile è dotato di una stabile struttura di impresa che ne configura un’autonoma soggettività giuridica e patrimoniale. Il consorzio resta quindi formalmente distinto dalle singole imprese consorziate, agendo in totale autonomia anche ai fini della partecipazione alle gare. Ne consegue che il consorzio presenta un’offerta imputabile esclusivamente allo stesso, assumendone la piena responsabilità e senza che siano coinvolte, sotto alcun profilo, le singole imprese consorziate. Specularmente la stazione appaltante ha quale unico interfaccia il consorzio stabile.
Sotto il profilo dei rapporti con le imprese consorziate, il giudice amministrativo evidenzia come la decisione di costituire il consorzio e di farne parte rientra nella sfera decisionale delle singole imprese consorziate, che si assumono la responsabilità della reciproca fiducia. In questo contesto, le questioni relative ai rapporti interni non si riflettono nei confronti della stazione appaltante, la cui posizione trova tutela nell’unicità dell’offerta formulata dal consorzio e dalla responsabilità solidale dei singoli consorziati. Ne consegue che si deve presumere – e comunque questo è l’assunto da cui partire – che il consorzio stabile conosca la situazione dei propri consorziati anche in merito a possibili cause di esclusione, e sia quindi in condizione di attivare il rimedio previsto dall’articolo 97 del Codice.
L’ulteriore conseguenza è che, analogamente a quello che avviene per ogni concorrente alle gare, che è tenuto a conoscere la sussistenza a suo carico di potenziali cause di esclusione, nessuna scusante – e nessun diverso trattamento - è ammessa per il consorzio stabile che, quindi, non può assumere la non conoscenza della causa di esclusione in capo all’impresa consorziata quale condizione ostativa all’assolvimento degli oneri procedurali ai fini dell’attivazione del rimedio sanante.
Continuando nel ragionamento, il Consiglio di Stato sviluppa un ulteriore ragionamento: anche a voler ammettere che il consorzio stabile fosse effettivamente ignaro della causa di esclusione in capo all’impresa consorziata, affinché tale mancata conoscenza possa legittimare l’attivazione del rimedio dell’art. 97 – cioè la sostituzione dell’impresa consorziata –, pur in mancanza della comunicazione in sede di offerta, occorrerebbe che tale ignoranza non sia addebitabile a mancanza di diligenza e, quindi, non sia qualificabile come colposa.
In merito il Giudice amministrativo ricorda un precedente costituito da una pronuncia della Corte di Giustizia Ue riferito alla diversa ipotesi dell’avvalimento. In questo caso, il Giudice comunitario ha ritenuto che per consentire la sostituzione dell’impresa ausiliaria fosse necessario, in primo luogo, che il concorrente effettivamente ignorasse l’esistenza della causa di esclusione in capo alla stessa al momento in cui è stata presentata la domanda di partecipazione alla gara. Ma questo presupposto non è di per sé sufficiente. È, infatti, necessario che la stazione appaltante, per verificare la possibilità di sostituzione dell’impresa ausiliaria, effettui una valutazione concreta e specifica del comportamento del concorrente, al fine di stabilire se quest’ultimo disponeva dei mezzi per accertare preventivamente la sussistenza della causa di esclusione in capo all’impresa ausiliaria.
In questo senso, la Corte di Giustizia subordina l’attivazione del rimedio della sostituzione dell’impresa ausiliaria alla prova che la mancata conoscenza da parte del concorrente della sussistenza della causa di esclusione in capo alla prima non sia addebitabile a mancanza di diligenza del concorrente stesso. Nello specifico, la causa escludente consisteva in una condanna penale a carico di un rappresentante dell’impresa ausiliaria. Se tale condanna non fosse risultata dal casellario giudiziale liberamente acquisibile dai soggetti privati terzi, non sarebbe stato possibile imputare al concorrente un comportamento contrario a diligenza e buona fede. Di conseguenza, impedire l’attivazione del rimedio della sostituzione dell’impresa ausiliaria sarebbe contrario al principio di proporzionalità.
In sostanza, secondo il Giudice comunitario, per escludere il comportamento del concorrente in termini di mancata diligenza e quindi di colpa, è necessario non solo che lo stesso non si sia limitato a fare affidamento sulle dichiarazioni dell’impresa ausiliaria, ma è altresì essenziale che la causa escludente – nel caso di specie la condanna penale - in capo all’impresa ausiliaria non fosse desumibile da alcun altro documento ufficiale acquisibile secondo i canoni dell’ordinaria diligenza.
La sintesi è che la situazione del concorrente deve essere di “incolpevole ignoranza”. Secondo il Consiglio di Stato questa impostazione è anche quella maggiormente coerente con il principio di autoresponsabilità che deve governare il comportamento dei concorrenti in sede di gara, la cui corretta applicazione deve portare gli stessi ad approfondire con mezzi adeguati la situazione dei soggetti con cui a vario titolo partecipano alla gara stessa.
Questa conclusione vale anche nell’ipotesi del rimedio previsto dall’art. 97 del Codice con riferimento specifico ai raggruppamenti temporanei ed ai consorzi. Questi ultimi, per poter legittimamente procedere alla sostituzione dell’impresa su cui grava la causa escludente, devono quanto meno dimostrare che la loro ignoranza in merito alla sussistenza di tale causa al momento della presentazione dell’offerta non sia addebitabile a mancanza di diligenza e quindi a colpa, e ciò attraverso adeguati mezzi di prova che devono essere valutati dall’ente appaltante e, in ultima analisi, dal Giudice.