RUBRICA AGGIORNAMENTO GIURISPRUDENZIALE n. 11/2024
TAR Basilicata, sez. I, sent. n. 562/2024: in caso di provvedimento di aggiudicazione illegittimo la PA è tenuta al pagamento del danno da perdita di chance.
In caso di provvedimento di aggiudicazione illegittimo si configura in capo alla stazione appaltante una responsabilità da “atto amministrativo illegittimo”, di natura aquiliana di cui all’art. 2043 c.c.. L’operatore economico avrà diritto a un risarcimento del danno da “perdita di chance” a causa di un comportamento illegittimo della stazione appaltante che esercita in modo scorretto la propria funzione: la partecipazione ad una gara consente al concorrente di acquisire una posizione di vantaggio, fondato sulla possibilità di ottenere l’aggiudicazione, la cui lesione “si atteggia ...quale autonomo danno potenzialmente risarcibile”.
La pronuncia si riferisce a una procedura di gara avviata sotto la vigenza del d.lgs. n. 50/2016 ma applicabile anche sotto il d.lgs. n. 36/2023, poiché argomenta la non mutata responsabilità derivante da “atto amministrativo illegittimo” e la conseguente ammissibilità risarcitoria.
In particolare, una stazione appaltante ha indetto una procedura aperta telematica per l’affidamento di servizi. Dopo l’aggiudicazione della gara, l’operatore economico non aggiudicatario è insorto avverso il provvedimento di aggiudicazione, il cui ricorso è stato rigettato in primo grado di giudizio mentre in sede di appello è stato accolto, annullando il provvedimento di aggiudicazione ma senza disporre il subentro dell’appellante e facendo salvo il risarcimento del danno per equivalente. Il ricorrente, quindi, ha presentato ricorso al TAR per vedersi riconoscere il risarcimento del danno subito dall’illegittima mancata esecuzione dell’appalto. Il Collegio ha accolto la richiesta, riconoscendo una responsabilità della pubblica amministrazione da “atto amministrativo illegittimo”, di natura aquiliana di cui all’art. 2043 c.c., i cui elementi distintivi sono l’elemento soggettivo del dolo o della colpa e, sotto il profilo oggettivo, il fatto illecito, il nesso di casualità materiale e il danno ingiusto.
Aderendo ad un orientamento giurisprudenziale prevalente, il TAR afferma che “la responsabilità per danni conseguenti all’illegittima aggiudicazione di appalti pubblici non richiede la prova della colpa, giacché essa è improntata - secondo le previsioni contenute nelle direttive europee - a un modello di tipo oggettivo... (T.A.R. Basilicata, 5 settembre 2022, n. 592; Cons. Stato, sez. V, 1 febbraio 2021, n. 912)”.
Il fatto illecito, invece, prosegue il Giudice, è costituito “dall’illegittima aggiudicazione a soggetto non avente titolo”. È presente l’“ingiustizia del danno”, come emerge dall’invocata decisione del Giudice di appello, e sussiste un nesso di causalità materiale tra l’illegittimo agere pubblicistico e il pregiudizio cagionato dalla illegittima privazione alla parte ricorrente di poter conseguire l’affidamento.
Il Collegio ha accolto, pertanto, la domanda risarcitoria per perdita di chance: la ricorrente ha perso la chance di poter conseguire l’aggiudicazione “a causa di un comportamento illegittimo della stazione appaltante” dovuto all’esercizio scorretto la propria funzione. La partecipazione ad una gara consente al concorrente di acquisire una posizione di vantaggio, fondato sulla possibilità di ottenere l’aggiudicazione, la cui lesione “si atteggia ...quale autonomo danno potenzialmente risarcibile”. Per la determinazione del quantum è necessaria “la prova, a carico dell’impresa, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, prova desumibile in primis dall’esibizione dell’offerta economica presentata” e tale principio trova, infatti, conferma nell’art. 124, co. 1, del d.lgs. n. 104/2010, ai sensi del quale “Se non dichiara l'inefficacia del contratto, il giudice dispone il risarcimento per equivalente del danno subìto e provato”.
Ma quali sono i criteri che l’Amministrazione dovrà seguire per la determinazione del quantum del risarcimento? Il Giudice, richiamando l’art. 34, co. 4, del c.p.a., dispone che la stazione appaltante dovrà attenersi all’offerta economica presentata in gara e individuare il relativo margine di utile che residui dall’applicazione del ribasso indicato in offerta “tenendo conto del corrispettivo che sarebbe stato pagato dalla stazione appaltante in ragione del ribasso offerto, con decurtazione di tutte le spese necessarie per l’esecuzione del servizio”.
Ma se l’ammontare delle spese non fosse ricavabile dall’offerta presentata in gara? L’Amministrazione “potrà valutare l’opportunità di acquisire da parte ricorrente i necessari dati, informazioni e chiarimenti, con conseguente sospensione del termine”.
La somma così definita dovrà essere decurtata dall’eventuale aliunde perceptum conseguito per lo svolgimento di altri servizi durante il tempo di durata del contratto di cui è causa e sarà soggetta a rivalutazione monetaria secondo l’indice medio dei prezzi al consumo elaborato dall’ISTAT. Non potrà, invece, essere risarcito il danno emergente: le spese sostenute per la partecipazione ad una gara d’appalto, non sono risarcibili, in favore dell’impresa che lamenti la mancata aggiudicazione dell’appalto, salvo che l’impresa illegittimamente esclusa lamenti questi profili dell’illegittimità procedimentale, perché in tal caso viene in considerazione soltanto la pretesa risarcitoria del contraente che è stato coinvolto in trattative inutili. Il danno curriculare, infine, potrà essere risarcito solo se venga dimostrato - nel caso concreto non provato - che la mancata aggiudicazione ed esecuzione del servizio oggetto del giudizio ha “precluso di acquisire ulteriori commesse pubbliche o quali sarebbero le negative ricadute, in termini di minore redditività, sulla propria immagine commerciale (Cons. Stato, sez. V, n. 7951/2021, cit.; id. 26 luglio 2019, n. 5283, id.2 gennaio 2019, n. 14)”.
TAR Sicilia-Catania, sez. II, sent. n. 3300/2024: niente esclusione automatica per il grave illecito professionale.
La sentenza in commento – annullando un provvedimento di esclusione, fondato sulla presenza di indagini penali e rinvio a giudizio, non debitamente istruito e motivato –, fornisce l’esatta interpretazione delle nuove disposizioni codicistiche in tema di esclusione.
Nel caso esaminato dal TAR, il RUP, durante la verifica dei requisiti dell’aggiudicatario, evinceva – dal certificato dei carichi pendenti – che nei confronti del legale rappresentante “era stato chiesto il rinvio a giudizio per il reato di cui all’art. 353 c.p (turbata libertà degli incanti)”. Da qui il RUP si determinava per l’esclusione del ricorrente dalla procedura.
Nel provvedimento veniva espresso un riferimento alla particolare gravità del reato e alla “sua negativa incidenza negativa sul requisito dell’integrità e dell’affidabilità professionale del concorrente”, veniva menzionata, altresì, una misura cautelare disposta nei confronti di funzionari pubblici sottoposti alla medesima indagine penale.
Il ricorrente contesta la mancata attivazione di apposita istruttoria quale presupposto essenziale del provvedimento di esclusione, come previsto nell’art. 95, co. 1, lett. e), del Codice, che – nel far chiarezza rispetto al pregresso Codice – puntualizza che la stazione appaltante esclude nel caso in cui “l’offerente abbia commesso un illecito professionale grave, tale da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”, esigendo, però, una dimostrazione con mezzi adeguati (indicati nell’art. 98). In particolare, segnala il ricorrente, la valutazione avrebbe dovuto essere “effettuata in contraddittorio (sul punto, cfr. il parere Anac n. 45 in data 20 settembre 2022 e Consiglio di Stato, V, 5 dicembre 2022, n. 10622)” con conseguente motivazione.
In sentenza si chiarisce la nuova impostazione delle disposizioni del Codice che tendono, evidentemente, a tutelare le posizioni dei concorrenti e, d’altra, parte a spiegare la misura del compito istruttorio del RUP.
Il micro sistema normativo in materia chiarisce, con l’art. 95, co. 1, lett. e), che la stazione appaltante (ed in specie la competenza è del RUP) esclude in presenza di un illecito professionale grave (che renda dubbia l’integrità/affidabilità) ma oggettivamente accertato/dimostrato con mezzi adeguati.
In uno specifico articolo (98) vengono indicati, quindi, “i gravi illeciti professionali, nonché i mezzi adeguati a dimostrare i medesimi”.
Questa disposizione – secondo comma – chiarisce che l’esclusione di un operatore economico ai sensi dell’art. 95, primo comma, lettera e), viene disposta solo al ricorrere di determinate condizioni. In particolare, si richiede:
a) la presenza di elementi sufficienti ad integrare il grave illecito professionale;
b) l’idoneità del grave illecito professionale ad incidere sull’affidabilità e integrità dell’operatore;
c) l’esistenza di adeguati mezzi di prova.
Sempre con l’art. 98, al co. 6, gli estensori hanno fornito gli ulteriori elementi istruttori al RUP, puntualizzando che costituiscono mezzi di prova adeguati al caso di specie “gli atti di cui all’art. 407-bis, primo comma, c.p.p., il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 429 c.p.p. o eventuali provvedimenti cautelari reali o personali emessi dal giudice penale, la sentenza di condanna non definitiva, il decreto penale di condanna non irrevocabile, la sentenza non irrevocabile di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 c.p.p.”.
Effettivamente, spiega il Giudice, l’art. 407-bis, co. 1, c.p.p., menziona “l’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero”. Pertanto, la richiesta di rinvio a giudizio oggettivamente risulta “un mezzo di prova in linea di principio adeguato ai fini della dimostrazione della commissione del grave illecito professionale”. Prendendo a riferimento le indicazioni delle previsioni citate, in sentenza si rileva che, sotto il profilo formale, il provvedimento di esclusione risultava motivato ma, il problema giuridico è rappresentato dalla esigenza di chiarire l’aspetto sostanziale, ovvero se la motivazione “sia corretta e condivisibile nel merito (posto che la motivazione, nella specifica prospettiva qui in esame, costituisce un requisito di «forma» del provvedimento, mentre l’erroneità della motivazione - e la conseguente erroneità del provvedimento - costituisce un vizio di natura «sostanziale»)”.
Ogni decisione amministrativa, si segnala nella sentenza, e le correlate motivazioni a supporto, infatti, “presuppongono un ulteriore requisito procedimentale, cioè che esse siano l’esito di una compiuta ed esaustiva istruttoria”.
Considerato che il Codice non configura un’automatica esclusione per illecito professionale grave, la conseguenza è che l’amministrazione, nel disporre l’esclusione dalla procedura – e quindi il RUP –, deve “attivare il contraddittorio procedimentale” e solo all’esito di questo è possibile far “emergere circostanze tali da indurre l’Amministrazione medesima a non condividere la valutazione - preliminare, sotto un profilo processuale - del pubblico ministero”. Questo, importante momento istruttorio, nel caso di specie, è mancato, visto che il provvedimento di esclusione, in realtà, trova fondamento nell’esistenza di una indagine penale (il rinvio a giudizio è stato disposto solo successivamente al provvedimento di esclusione).
La pendenza di indagini preliminari, osserva il Collegio, “non costituisce un’ipotesi che rileva ai fini degli obblighi dichiarativi dell’operatore economico e che, comunque, in linea di principio l’indagato non è edotto dell’esistenza di indagini a suo carico, salvo che sia intervenuto un atto garantito, ovvero sia stato invitato a presentarsi per l’interrogatorio o abbia ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini preliminari”.
La carenza nell’istruttoria condotta sostanzia, quindi, una motivazione non corretta, nel merito, con conseguente annullamento del provvedimento di esclusione.
ANAC, parere n. 506/2024: illegittimo richiedere il progetto esecutivo in sede di offerta di un appalto integrato.
È illegittimo chiedere ai concorrenti di presentare il progetto esecutivo già con l’offerta in un appalto integrato. Lo ha precisato l’ANAC col parere in commento, con cui, rispondendo positivamente alle obiezioni sollevate dall’OICE, (l’associazione delle società di ingegneria e architettura), ha bocciato il comportamento del Comune di Lignano Sabbiadoro, invitandolo ad annullare in autotutela la gara da 1,6 milioni per la ristrutturazione di un impianto sportivo.
Il caso è nato quando il Comune, nell’ambito dell’appalto integrato, scelto per riqualificare e ampliare la palestra comunale, ha chiesto ai partecipanti di includere nell’offerta il progetto esecutivo. L’idea è stata contestata dall’OICE come un onere eccessivo, oltre che un rischio per la concorrenza, poiché disincentivava la partecipazione di molte imprese. Il caso è stato sottoposto all’ANAC, che ha confermato l’illegittimità della richiesta
Secondo l’Autorità una richiesta simile viola la normativa sugli appalti (art. 44 del d.lgs. n. 36/2023). Secondo il parere dell’ANAC, il progetto esecutivo è una fase progettuale dettagliata che deve essere elaborata solo dall’aggiudicatario. Altrimenti si potevano scegliere soluzioni diverse, come un concorso di progettazione. “Richiedere il progetto esecutivo in fase di gara - scrive l’Anac - non solo viola il principio di proporzionalità, ma altera il rapporto tra la stazione appaltante e l’aggiudicatario”. Tale richiesta impone un onere progettuale sproporzionato, poiché costringe le imprese a sostenere costi ingenti per redigere un progetto esecutivo che, qualora l’offerta non fosse vincente, non verrà mai utilizzato. In questo senso contrasta anche con il divieto di prestazioni professionali gratuite perché “per tutti gli operatori diversi dall’aggiudicatario” l’obbligo di produrre un progetto esecutivo in gara “si traduce nell’imposizione di un onere economico, la redazione del progetto esecutivo, non remunerato dalla stazione appaltante”. In aggiunta, l’obbligo di presentare il progetto esecutivo limita la partecipazione alla gara, in quanto scoraggia le imprese con minori risorse economiche, limitando così la concorrenza e il confronto tecnico.
Per questo l’Autorità ha intimato al Comune di annullare in autotutela la gara, ripubblicando il bando eliminando la richiesta del progetto esecutivo con l’offerta. In caso non intenda conformarsi al parere, il Comune ha 15 giorni per spiegare il perché esponendosi però al rischio di un ricorso al Tar della stessa Autorità.