RUBRICA AGGIORNAMENTO GIURISPRUDENZIALE n. 11/2023
Cons. Stato, sez. VII, sent. n. 9452/2023: affidamento diretto in-house solo se più conveniente economicamente e di migliore qualità.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza in commento, nel decidere una controversia relativa ad un affidamento diretto da parte di un ateneo ad un consorzio, ha stabilito il principio di diritto secondo il quale la valutazione della congruità economica deve essere effettuata attraverso un raffronto completo e attualizzato non solo dei servizi offerti dal consorzio e di quelli offerti dal competitor, ma anche dei relativi prezzi, in modo da spiegare in modo esauriente se nel rapporto qualità/prezzo lo strumento dell’internalizzazione sia realmente conveniente sul piano economico per l’università.
L’università, alla scadenza di un contratto di servizi affidato, all’esito di una procedura a evidenza pubblica, ad un operatore economico, dispone l’affidamento diretto degli stessi servizi ad un consorzio interuniversitario, il cui scopo statutario è la realizzazione di servizi innovativi per i consorziati.
Il Tar Calabria, su ricorso proposto dall’operatore economico uscente, annulla la delibera di affidamento diretto del servizio: l’annullamento viene confermato dal Consiglio di Stato.
La sentenza n. 9452/23, oltre a fare chiarezza definitiva circa la sussistenza del controllo analogo congiunto da parte dei consorziati nei confronti del consorzio, evidenzia che occorre essere particolarmente attenti, da un punto di vista giuridico amministrativo, ogni qualvolta si è chiamati ad effettuare un affidamento diretto a un organismo in-house providing.
L’attività istruttoria ha messo in evidenza come l’ateneo non abbia ravvisato la necessità di istituire un fondamentale confronto, anche economico, con analoghi servizi offerti da altri operatori di mercato prima di giungere, in modo aprioristico e apodittico, alla soluzione che l’in-house fosse l’unica e più conveniente (in tesi) strada percorribile.
In assenza del confronto, si finirebbe per legittimare l’affidamento in-house al consorzio interuniversitario anche a prezzi superiori a quelli di mercato, con possibili conseguenze in ambito eurounitario.
ANAC delibera n. 448/2023: la mancata pubblicità dei curricula dei commissari non incide sulla legittimità degli atti di gara.
La mancata pubblicità dei curricula dei commissari non incide sulla legittimità degli atti di gara e non può comportare l’annullamento dell’intera procedura. Inoltre, il RUP può ricoprire l’incarico di presidente della commissione, a meno che non venga dimostrata, in concreto, l’incompatibilità tra i due ruoli, attraverso comprovate ragioni di interferenza e di condizionamento.
La delibera dell’Autorità prende le mosse dall’istanza di parere presentata da un’impresa concorrente che ha contestato l’aggiudicazione di una gara a favore di altro operatore economico, sotto tre profili. Il primo aspetto che viene in rilievo riguarda la mancata pubblicazione dei nominativi e dei curricula dei commissari di gara nella sezione “Amministrazione trasparente”, omissione che per il concorrente è tale da far ritenere inficiata la procedura. Il secondo profilo sollevato dall’istante riguarda l’asserita incompatibilità tra il ruolo di RUP e quello di presidente della commissione di gara. Terzo ed ultimo rilievo, l’istante ritiene le competenze di uno dei componenti della commissione di gara inadeguate in relazione ai lavori oggetto dell’appalto.
Per quanto attiene al primo profilo, l’ANAC, richiamando la giurisprudenza amministrativa, rappresenta che la mancata pubblicazione dei curricula dei commissari non può comportare l’annullamento dell’intera procedura.
In ordine al secondo aspetto, oggetto di contestazione, l’Autorità richiama sia il quadro normativo, che per la gara in oggetto è rappresentato dal decreto 50/2016, in quanto indetta con bando del 20 giugno 2023, sia gli orientamenti giurisprudenziali prevalenti, secondo cui, nelle procedure di evidenza pubblica, il ruolo di RUP può coincidere con le funzioni di commissario di gara e di presidente della commissione giudicatrice, a meno che non sussista la concreta dimostrazione dell’incompatibilità tra i due ruoli, desumibile da una qualche comprovata ragione di interferenza e di condizionamento tra gli stessi. È quindi da escludere ogni effetto di automatica incompatibilità conseguente al cumulo delle funzioni, rimettendo all’amministrazione la valutazione della sussistenza o meno dei presupposti affinché il RUP possa legittimamente far parte della commissione gara. Nel caso di specie, chiarisce l’ANAC, non emerge tale incompatibilità, dal momento che l’istante non ha fornito prova di concreti condizionamenti in ordine alla conduzione e agli esiti della gara.
Infine, con riferimento all’inidoneità di un componente della commissione, l’ANAC ricorda che la competenza va riferita alla commissione nel suo complesso. Peraltro, nel caso di specie, dall’atto di nomina l’ingegnere risulta “responsabile di diversi procedimenti nell’Area tecnica del Comune”, dunque, oltre ad avere idoneo titolo di studio, presenta anche una specifica esperienza nel settore oggetto della gara.
TAR Campania, sez. I, sent. n. 5748/2023: le norme del nuovo Codice non possono essere usate per interpretare le vecchie regole sulla suddivisione in lotti.
Nel caso della suddivisione in lotti di un appalto, il così detto vincolo di aggiudicazione – che pone un limite numerico all’aggiudicazione di più lotti a favore di un unico soggetto – vale anche qualora l’aggiudicazione dei singoli lotti debba essere operata a favore di una pluralità di concorrenti appartenenti al medesimo gruppo imprenditoriale. Il vincolo di aggiudicazione risponde, infatti, a una finalità proconcorrenziale, volta ad evitare la concentrazione delle commesse – con il conseguente restringimento del mercato – in capo a un unico soggetto. Tale finalità verrebbe ad essere elusa qualora si consentisse che tale vincolo non operi nei confronti di concorrenti che, pur essendo aziende formalmente autonome, sono riconducibili a un unico gruppo imprenditoriale.
Sotto altro profilo, ai fini della corretta applicazione della disciplina sulla suddivisione in lotti, contenuta nel d.lgs. n. 50/2016, non possono venire in considerazione le disposizioni introdotte dal d.lgs. n. 36/2023, in quanto alle stesse non può essere attribuito valore interpretativo della disciplina previgente, contenendo elementi chiaramente innovativi che, come tali, possono valere solo pro futuro.
Nel caso di specie, una centrale di committenza aveva indetto una procedura di gara suddivisa in sedici distinti lotti e la relativa disciplina prevedeva, contestualmente, il vincolo di partecipazione ed il vincolo di aggiudicazione.
Quanto al primo era stabilito che ciascun concorrente potesse presentare offerta per un numero massimo di otto lotti. Quanto al secondo, era previsto che ogni concorrente potesse aggiudicarsi fino a quattro lotti, con la specifica che in caso di aggiudicazione del lotto 1 (quello economicamente più rilevante) nessun altro lotto poteva essere aggiudicato al medesimo soggetto.
Alla procedura di gara partecipavano una pluralità di imprese facenti parte del medesimo gruppo imprenditoriale, ognuna delle quali presentava offerte per singoli lotti. Più d’una di queste imprese risultava aggiudicataria dei distinti lotti.
L’ente appaltante riteneva che tali imprese dovessero essere considerate come un’unica entità economica, in quanto sottoposte al medesimo centro di controllo. Di conseguenza, il vincolo di aggiudicazione veniva applicato al gruppo imprenditoriale unitariamente considerato, con l’ulteriore effetto che, essendo una delle imprese del gruppo risultata aggiudicataria del lotto 1, gli altri lotti non potevano essere aggiudicati ad altre imprese del medesimo gruppo nonostante le stesse avessero presentato la migliore offerta.
A fronte dell’intervenuto diniego di aggiudicazione, una delle imprese destinatarie dello stesso presentava ricorso davanti al giudice amministrativo. Secondo la ricorrente il vincolo di aggiudicazione avrebbe la finalità di non “sovraccaricare” una stessa organizzazione aziendale dello svolgimento di una pluralità di appalti da eseguire contestualmente, a decremento della qualità della prestazione. Sarebbe, di conseguenza, errato interpretare tale vincolo come una limitazione del libero svolgimento dell’attività imprenditoriale, secondo le modalità ritenute più opportune che, peraltro, finirebbe per pregiudicare anche l’interesse pubblico alla selezione della migliore offerta.
Sulla base di questo presupposto, il ricorrente ricorda come si sia sviluppato un orientamento giurisprudenziale secondo cui nel caso di suddivisione in lotti di un appalto i vincoli di partecipazione ed aggiudicazione debbano essere interpretati nel senso che gli stessi operano nei confronti del concorrente singolarmente considerato, mentre la loro eventuale estensione al gruppo imprenditoriale implica, quanto meno, un’esplicita previsione in questo senso contenuta nel disciplinare di gara.
Inoltre, la normativa comunitaria rimette alla discrezionalità del singolo ente appaltante la conformazione in concreto del vincolo di aggiudicazione, collegandone la ratio allo scopo di garantire l’affidabilità della prestazione.
Sulla base del contenuto delle censure mosse dal ricorrente, l’oggetto del contenzioso si incentra sulla legittimità del provvedimento con cui l’ente appaltante ha deciso di non aggiudicare un singolo lotto al ricorrente stesso, in applicazione del vincolo di aggiudicazione che viene ritenuto estensibile al gruppo di imprenditoriale in quanto tale.
È, infatti, pacifico che il ricorrente era riconducibile, insieme ad altre imprese che avevano partecipato alla gara, ad un unico centro decisionale, identificabile nel gruppo imprenditoriale.
L’ente appaltane ha, quindi, considerato le diverse imprese del gruppo che hanno partecipato alla gara come un’unica entità economica e, come tali, sottoposte al medesimo centro di controllo. Di conseguenza, una volta accertato che una di tali imprese era risultata aggiudicataria del lotto 1, aveva negato l’aggiudicazione di ulteriori lotti alle altre imprese che pure avevano presentato la migliore offerta.
La tesi prospettata dal ricorrente è stata respinta dal TAR Campania. Il giudice amministrativo ricorda di essersi già espresso su una fattispecie analoga, con una pronuncia che ha poi trovato conferma in sede di appello nella successiva sentenza del Consiglio di Stato.
Nello specifico, il Consiglio di Stato (sez. III, sent. n. 5900/2023) ha nettamente distinto la considerazione che il gruppo imprenditoriale deve ricevere ai fini della disciplina dell’esclusione dalla gara delle singole imprese, da quella relativa all’applicabilità del vincolo di aggiudicazione.
Sotto il primo profilo, ha evidenziato l’impossibilità di escludere dalla gara le offerte riferite a distinti lotti provenienti da imprese appartenenti al medesimo gruppo. Ciò sulla base del principio secondo cui una gara suddivisa in lotti deve essere considerata una procedura ad oggetto plurimo, in cui, quindi, non v’è l’indizione di un’unica gara bensì di più gare, ognuna delle quali è dotata di una propria autonomia e si conclude con un provvedimento di aggiudicazione altrettanto autonomo.
Le conclusioni sono invece diametralmente opposte con riferimento al vincolo di aggiudicazione. In questo caso, qualora la clausola del disciplinare di gara lo preveda, lo stesso va applicato a tutte le offerte riconducibili a un unico centro decisionale, in virtù della ratio proconcorrenziale che ne costituisce il fondamento.
Proprio partendo dalle affermazioni contenute nella pronuncia del Consiglio di Stato e, in particolare, dal richiamo all’esigenza proconcorrenziale cui risponde il vincolo di aggiudicazione, il TAR Campania sviluppa le sue argomentazioni per respingere il ricorso.
La ratio proconcorrenziale che ispira il vincolo di aggiudicazione non può che estendersi anche alla realtà del gruppo imprenditoriale. Infatti, come già evidenziato in passato dalla giurisprudenza, il vincolo di aggiudicazione vuole disincentivare l’accaparramento di una pluralità di commesse da parte di operatori economici forti, capaci di monopolizzare il mercato. Appare, quindi, logico che lo stesso sia applicato anche nei confronti di operatori economici riconducibili a un unico centro decisionale; cioè, a un’organizzazione imprenditoriale operante in forma di holding.
In caso contrario, il vincolo di aggiudicazione perderebbe molta della sua efficacia, in quanto verrebbe ad essere consentito che una pluralità di lotti sia acquisita da un unico gruppo imprenditoriale, facendo venir meno la finalità proconcorrenziale cui lo stesso è preordinato.
Inoltre, il TAR Campania sottolinea come non sia necessario che l’introduzione nella disciplina di gara del vincolo di aggiudicazione sia giustificata alla luce delle specifiche esigenze del singolo mercato cui la gara si riferisce. Occorre, infatti, considerare che la finalità proconcorrenziale rappresenta una esigenza generale del sistema e, di conseguenza, un elemento comune a qualunque mercato di riferimento, senza necessità di individuare esigenze specifiche relative al singolo mercato.
Un rilievo significativo nelle argomentazioni del ricorrente è costituito dal riferimento operato alla nuova disciplina contenuta nel d.lgs. n. 36/23. In particolare, l’articolo 58 – che disciplina la suddivisione in lotti – prevede al co. 4 che il vincolo di aggiudicazione possa essere previsto “per ragioni connesse alle caratteristiche della gara e all’efficienza della prestazione, oppure per ragioni inerenti il relativo mercato”.
Questa previsione non era contenuta nella precedente disciplina del d.lgs. n. 50/2016. Il ricorrente la richiama per sostenere la necessità di una specifica motivazione che deve sorreggere il vincolo di aggiudicazione anche in relazione alla disciplina previgente, ritenendo che la disposizione introdotta abbia natura interpretativa della stessa.
Il giudice amministrativo ha respinto questa prospettazione. Ricorda, infatti, che per poter attribuire natura interpretativa a una disposizione sopravvenuta è necessario che la stessa si limiti ad attribuire alla disposizione precedente un significato già in esso contenuto, rispetto alle altre possibili interpretazioni. Si tratta, cioè, di chiarire situazioni di oggettiva incertezza applicativa, prendendo a riferimento le elaborazioni giurisprudenziali intervenute e scegliendo l’interpretazione che appare più aderente alla ratio originaria della norma.
Nel caso di specie non ricorre questa condizione. La previsione del co. 4 dell’art. 58, che collega il vincolo di aggiudicazione alla specifica indicazione di ragioni connesse alle caratteristiche della gara e della prestazione o del relativo mercato di riferimento, introduce un elemento nuovo, che era del tutto assente nel precedente regime normativo.
Si tratta, quindi, di una disposizione che, avendo natura innovativa, disciplina esclusivamente le situazioni successive alla sua entrata in vigore, ma non può essere utilizzata per interpretare la disciplina previgente e applicata, quindi, a situazioni anteriori alla sua vigenza.