RUBRICA AGGIORNAMENTO GIURISPRUDENZIALE n. 10/2024
RUBRICA AGGIORNAMENTO GIURISPRUDENZIALE n. 10/2024
Cons. Stato, sez. V, sent. n. 8352/2024: il termine per impugnare gli atti di gara decorre dalla loro effettiva conoscenza.
Uno dei temi in concreto più rilevanti del contenzioso appalti è, probabilmente, quello del termine per l’impugnazione. In particolare, ci si chiede da che giorno inizino a decorrere i 30 per proporre ricorso (negli appalti il termine classico di 60 giorni è infatti abbreviato a 30 giorni per rispondere alle esigenze del settore).
Ebbene, il Codice del 2023 ha complicato le cose. Infatti, almeno a partire dalla pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 12/2020, si era consolidata nella prassi la tesi della c.d. “dilazione temporale”: in sostanza, salvo che per i vizi desumibili da documenti già pubblici, il termine per impugnare non poteva iniziare a decorrere finché la stazione appaltante non avesse messo a disposizione, a chi li chiedeva in tempi ragionevolmente brevi, i documenti necessari per comprendere l’esistenza di una illegittimità. Così, per es., le amministrazioni dovevano mettere a disposizione le offerte avversarie, i verbali di gara, ecc., e, solo da quel momento, decorreva il termine per proporre ricorso.
Oggi, invece, l’art. 36, co. 9, del Codice del 2023 prevede una regola apparentemente diversa, statuendo che il termine per impugnare “decorre comunque dalla comunicazione di cui all’articolo 90”, ossia, dalla comunicazione di esclusione o da quella di aggiudicazione. L’uso dell’avverbio “comunque” sembrerebbe suggerire un termine perentorio, che decorre sempre dalla comunicazione di (esclusione o di) aggiudicazione, senza che rilevi l’effettiva messa a disposizione dei documenti necessari per individuare le censure proponibili contro l’esito di una gara. Se fosse così, però, le imprese sarebbero chiamate a proporre dei c.d. “ricorsi al buio” e, poi, eventualmente, a proporre dei motivi aggiunti di ricorso a seguito della messa a disposizione dei documenti di gara (entro 30 giorni da tale messa a disposizione). Un assetto, questo, capace di scoraggiare i ricorsi (dato anche l’elevato costo del contributo unificato) e che, non a caso, è stato di recente censurato dalla Corte di giustizia. Secondo i giudici dell’Unione europea, difatti, il termine per proporre ricorso “deve decorrere solo dal momento in cui il ricorrente ha accesso a tutte le informazioni qualificate a torto come riservate” (così, da ultimo, Grande Sezione, 17 novembre 2022, in causa C 54/21).
Come era facile prevedere, l’ambiguità normativa si è già tradotta in incertezze giurisprudenziali: ed infatti, ad es., secondo il Tar Lazio (sentenza n. 13225/2024) il termine perentorio di 30 giorni per la notificazione del ricorso principale decorre anche senza messa a disposizione dei documenti di gara.
Un simile approccio, però, rischia di incentivare pratiche dilatorie da parte delle stazioni appaltanti, che rallentino (o omettano) la pubblicazione dei documenti di gara, proprio al fine di ostacolare la tutela giurisdizionale.
Ben più condivisibile la opposta, recentissima, lettura della V Sezione del Consiglio di Stato (sentenze nn. 8352 e 8257 del 2024), secondo cui il termine per impugnare decorre solo dal giorno “in cui l’interessato acquisisce, o è messo in grado di acquisire, piena conoscenza degli atti che lo ledono”, anche perché, altrimenti, verrebbe frustrata “L’esigenza di evitare la proposizione di ricorsi al buio, nell’interesse del privato all’esercizio consapevole del diritto di azione ma anche di quello oggettivo dell’ordinamento a non gravare la struttura giudiziaria di iniziative processuali non supportate dalle informazioni necessarie”.
Pertanto, il termine decadenziale di impugnazione decorre dal giorno in cui è avvenuta l’ostensione degli atti oggetto dell’istanza di accesso agli atti, momento in cui ha piena conoscenza degli atti lesivi dei propri diritti.
TAR Campania-Salerno, sez. II, sent. n. 2033/2024: niente esclusione automatica per le violazioni non definitivamente accertate.
In sede di verifica del possesso dei requisiti, in presenza di violazioni non definitivamente accertate, la stazione appaltante deve determinare discrezionalmente l’ “incidenza sull’affidabilità dell’operatore economico” e valutare nel merito, con idonea motivazione, se l’operatore economico è in grado di far fronte agli oneri economici connessi all’esecuzione dell’appalto ed è propenso a non assolvere gli obblighi assunti. La pronuncia in commento si riferisce a una gara organizzata ai sensi del d.lgs. n. 50/2016, ma le norme di riferimento sono state confermate con il nuovo Codice e gli esiti, sottolineano gli stessi Giudici, non sarebbero mutati prendendo a riferimento il nuovo scenario normativo.
In particolare, una stazione appaltante aveva indetto una procedura ristretta per l’affidamento di un appalto integrato. Al termine della procedura di gara, la Commissione redigeva una graduatoria formata da quattro concorrenti e la stazione appaltante con determina approvava gli esiti di gara e disponeva l’aggiudicazione a favore della prima classificata. All’esito positivo della verifica dei requisiti, la stazione appaltante confermava l’efficacia dell’aggiudicazione nei confronti della prima classificata. La seconda in graduatoria presentava così un’istanza di accesso agli atti venendo a conoscenza che l’Agenzia delle Entrate aveva segnalato violazioni definitivamente non accertate, superiori al 10% dell’importo dell’appalto, ai sensi dell’art 80 del d.lgs. n. 50/2016 e del d.m. del 28.09.2022 in capo all’aggiudicataria. La stazione appaltante, inoltre – viene contestato - non ha valutato l’affidabilità professionale dell’aggiudicatario data la mancata dichiarazione delle pendenze tributarie da parte dello stesso.
Il Giudice ha ritenuto di accogliere nel merito il ricorso. In primis, richiamando l’art. 80 del d.lgs n. 50/2016 ed il d.m. del 28.9.2022, che disciplinano i limiti e le condizioni per l’operatività della causa di esclusione relativa a violazioni non definitivamente accertate, rilevando che devono essere correlate al valore dell’appalto - di importo non inferiore a 35.000 euro - nella misura del 10% del valore di appalto (in caso di Ati o Consorzio il valore è correlato alla quota di partecipazione).
Lo scenario normativo non è mutato con il nuovo Codice: il d.lgs. n. 36/2023, all’art. 95, co. 2, reca “un contenuto similare e declinano entrambi una linea di incontestabile continuità, anche in relazione ai due incisi normativi «sulla base di qualunque mezzo di prova adeguato» e «può adeguatamente dimostrare»”.
Ma in questo contesto quali sono i limiti del potere istruttorio della stazione appaltante? La stazione appaltante deve valutare discrezionalmente l’ “incidenza sull’affidabilità dell’operatore economico” (Tar Lazio - Roma, sez. II, sent. n. 13441/2023, Consiglio di Stato, sez. III, sent. n. 7219/2023) “in ordine ai requisiti di moralità ... ed alla sua idoneità finanziaria, valutazione che deve quindi basarsi anche sull’entità del debito tributario contestato al soggetto. E sul punto mette conto evidenziare che il legislatore, non certo a caso, ha prescritto ...che la gravità della violazione tributaria sia valutata in ogni caso con riferimento al valore dell’appalto (Tar Catanzaro, 20.06.2024, n. 984)”.
Un dato è certo, la presenza di violazioni non definitivamente accertate “non genera un effetto espulsivo automatico, ma subordinato ad una espressa e motivata valutazione espressa dalla stazione appaltante in ordine alla sua incidenza negativa sulla affidabilità del concorrente (Consiglio di Stato, sez. III, sentenza del 24 luglio 2023, n. 7219)”. La stazione appaltante, quindi, dopo aver preso atto delle violazioni definitivamente non accertate deve fare due valutazioni nel merito: l’operatore economico è in grado di far fronte agli oneri economici connessi all’esecuzione dell’appalto? L’operatore economico è propenso a non assolvere gli obblighi assunti?
Nel caso in esame, la stazione appaltante ha omesso qualsiasi verifica istruttoria nei termini giurisprudenziali sopra descritti. Nello specifico, anche la relazione del RUP, che costituisce motivazione ob relationem dell’esito positivo della verifica del possesso in capo all’operatore economico, appare spoglia delle motivazioni che hanno indotto alla sua non esclusione limitandosi a dire che le stesse sono “ritenute non rilevanti”.
TAR Sicilia-Catania, sez. I, sent. n. 3571/2024: nel project financing niente risarcimento del danno in caso di revoca della procedura di gara.
In caso di revoca della finanza di progetto l’amministrazione non può essere condannata a risarcire il danno, nemmeno per responsabilità precontrattuale, atteso che nessuna violazione del dovere di correttezza negoziale è dato ravvisare nel suo comportamento nel caso in cui non abbia mai dato luogo al minimo affidamento.
La fase precontrattuale inizia, invero, solo dopo l’espletamento della gara, quando si apre la fase negoziale. L’indennizzo, di cui all’art. 21-quienques della l. n. 241/1990, pertanto, è riconosciuto ai soggetti cui l’opzione revocatoria finisce per sottrarre un’utilità già acquisita al patrimonio e non ai partecipanti a una procedura d’evidenza pubblica anteriormente all’aggiudicazione.
In particolare, nel caso di specie, un’amministrazione si era determinata ad avviare una procedura aperta, sotto la vigenza del d.lgs. n. 50/2016, art. 183, pubblicando un “avviso esplorativo del mercato propedeutico alla gara per acquisire manifestazioni di interesse a presentare istanza/proposta tecnico amministrativa documentata finalizzata all’affidamento della concessione dei lavori e della gestione dei servizi di interesse generale...anche con la formula della finanza di progetto”. A ridosso della scadenza del termine di presentazione delle domande di partecipazione, veniva concessa una proroga e pubblicato un avviso nel quale, oltre a chiarire che l’avviso costituisce un “mero avviso esplorativo” e la riserva di ricorrere a un dialogo competitivo o anche finanza di progetto, si ribadiva che la manifestazione di interesse non impegnava né vincolava l’operatore economico in alcun modo.
Il giorno della scadenza del termine prorogato, la stazione appaltante ha provveduto alla revoca, in autotutela, integrale della procedura e di tutti gli atti di gara. Un raggruppamento di imprese ha così deciso di presentare ricorso, ritenendo che il comportamento della stazione appaltante fosse fonte di responsabilità precontrattuale in violazione dei principi di correttezza e buona fede.
Le ricorrenti avevano allegato alla domanda di partecipazione, il progetto tecnico, il PEF: per questo chiedevano che fosse riconosciuto il danno emergente rappresentato dalle spese documentate nonché l’indennizzo di cui all’art. 21-quinquies l. n. 241/1990, che prescinde dall’accertamento dell’illegittimità dei provvedimenti adottati.
Il Giudice non ha accolto il ricorso. In primis l’avviso, già dal momento della sua prima pubblicazione, disponeva che l’amministrazione non era vincolata a dare conclusione alla procedura attivata.
Sotto il profilo della responsabilità viene, poi, precisato che, per costante giurisprudenza, “(neppure) dopo la dichiarazione di pubblico interesse dell’opera non si costituisce “un distinto, speciale ed autonomo rapporto precontrattuale, interessato dalla responsabilità precontrattuale, a che l’Amministrazione dia poi comunque corso alla procedura di finanza di progetto” (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 847/2024)”. La citata sentenza riconosce, infatti, alla dichiarazione di pubblico interesse della proposta di finanza progetto “...solo una ‘mera aspettativa di fatto’... nel caso di abbandono del progetto da parte dell’Amministrazione, il proponente non può vantare alcuna pretesa risarcitoria e nemmeno indennitaria”. In presenza di una revoca della procedura di finanza di progetto l’amministrazione “non può essere condannata a risarcire il danno nemmeno per responsabilità precontrattuale, atteso che nessuna violazione del dovere di correttezza negoziale è dato ravvisare nel comportamento dell’Amministrazione nel caso in cui non abbia mai dato luogo al minimo affidamento, in quanto la fase precontrattuale... inizia solo dopo l’espletamento della gara, quando si apre la fase negoziale coinvolgente il promotore finanziario e le imprese prime classificate nella procedura di selezione” (Cons. Stato, sez. V, n. 847/2024)”. Neppure la domanda di pagamento dell’indennizzo, ex art. 21-quinquies della l. n. 241/1990, può essere accolta: “è dovuto esclusivamente...ai soggetti ai quali l’opzione revocatoria finisce per sottrarre un’utilità già acquisita al patrimonio, e tali non possono considerarsi i partecipanti a una procedura d’evidenza pubblica anteriormente all’aggiudicazione (cfr. T.A.R. Valle d’Aosta, sez. I, 12 di 14 29/10/2024, n. 45/2022)” e non spetta in caso di revoca di atti ad effetti instabili ed interinali, ma solo di atti durevoli, stabilmente attributivi di vantaggi (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 7244/2021). Nel caso in esame, si tratterebbero di atti meramente ed eventualmente prodromici alla successiva indizione della gara.
La prospettiva non cambia con il d.lgs. n. 36/2023. Sebbene nell’art. 193 si è avuta una semplificazione rispetto a quanto previsto dall’art. 183 del vecchio Codice, pur sempre nel suo co. 7 descrive, in modo simile a quanto già previsto nell’art. 183, co. 10, del d.lgs. n. 50/2016, l’attività che deve porre in essere l’ente concedente una volta ricevute le offerte: prendere in esame le offerte che sono pervenute nei termini indicati nel bando, redigere una graduatoria e nominare l’aggiudicatario.
Parere MIT n. 2951/2024: è illegittimo il riesame delle offerte tecniche dopo l’apertura delle buste economiche.
L’ufficio di supporto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, con il parere n. 2951/2024, affronta un tema di particolare rilevanza pratico/operativa relativo ai limiti dell’attività della commissione di gara una volta definita la graduatoria finale ed individuato il potenziale aggiudicatario.
Nel dettaglio, nel quesito si pone il problema se sia o meno possibile che il collegio di valutazione delle offerte – obbligatorio nell’assegnazione della commessa da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa – possa procedere con “una nuova valutazione delle offerte tecniche” quando sia già venuta a conoscenza delle offerte economiche anche quando “non siano manifesti e palesi irregolarità formali e/o di calcolo inerenti ai giudizi espressi dalla Commissione di gara in ordine alle offerte tecniche”.
Altra questione, collegata alla prima, è se, invece, la commissione di gara possa – purché prima dell’apertura delle offerte economiche – “autonomamente riesaminare e/o rivalutare i giudizi resi in ordine alle offerte tecniche”.
È bene premettere che, nel riscontro, il MIT non evidenzia le implicazioni ora previste dal fatto che le gare devono essere svolte con modalità telematiche, con i conseguenti congelamenti, ma si limita a ricordare i riferimenti normativi oggi vigenti che presidiano l’attività della commissione.
Nel parere si ricorda che sulla base della giurisprudenza formatasi sotto la vigenza del pregresso Codice, il collegio valutatore “è titolare di un potere di correzione di errori materiali o calcolo, da esercitarsi entro determinati limiti e fino a che non sia intervenuta l’approvazione dell’aggiudicazione definitiva da parte della stazione appaltante”.
In relazione a questo primo aspetto – adattando il riscontro all’attuale, nuova, impostazione del Codice dei Contratti in vigore -, occorre evidenziare che la situazione descritta rimane immutata nel senso che la commissione può ritenere concluso il proprio lavoro solamente quando questo è approvato dagli organi competenti. Ovvero, prima di questo momento, in generale può ben essere riconvocato (salvo illegittima composizione) e chiamato, pertanto, a (ri)occuparsi di atti/decisioni già adottate.
Secondo il MIT una nuova valutazione delle offerte tecniche “dopo che sia stata effettuata l’apertura delle buste contenenti l’offerta economica” non deve ritenersi consentita. Tale limite (ossia “il divieto di rivalutare le offerte tecniche dopo aver conosciuto l’offerta economica”) trova fondamento nel fatto che detto divieto costituisce “l’immediato corollario dei principi di legalità, buon andamento, imparzialità e par condicio”. L’unica eccezione – si legge nel riscontro dell’ufficio di supporto – deve rinvenirsi nel solo “caso della correzione di errore materiale o di calcolo…o di annullamento della prima aggiudicazione ex art 93, co. 6, d.lgs. 36/2023”.
Il comma su richiamato specifica – innovando rispetto pregresso Codice, che imponeva la riconvocazione della stessa commissione salvo illegittima composizione (comma 11 art. 77) - che “Salvo diversa motivata determinazione della stazione appaltante, in caso di rinnovo del procedimento di gara per effetto dell’annullamento dell’aggiudicazione o dell’esclusione di taluno dei concorrenti, è riconvocata la medesima commissione, tranne quando l’annullamento sia derivato da un vizio nella composizione della commissione”.
Il divieto di riesame del giudizio già espresso – dopo l’apertura delle offerte economiche – tende a tutelare effettivamente la par condicio e la necessità di trasparenza, già presidiata dai congelamenti telematici.
A tal riguardo, il co. 12 dell’art. 108 prevede che le stazioni appaltanti “possono decidere di non procedere all’aggiudicazione se nessuna offerta risulti conveniente o idonea in relazione all’oggetto del contratto”. Non è necessario (ma neanche possibile), pertanto, che la commissione di gara ritorni sulle pregresse valutazioni già espresse, visto che sulla decisione espressa si consente una ulteriore valutazione da parte del RUP chiamato a predisporre gli atti di aggiudicazione per il proprio dirigente/responsabile del servizio.
Il problema, semmai, è quello di chiarire una situazione di difficile gestione tra la prerogativa appena riportata ed il caso in cui il RUP faccia parte della commissione di gara (o addirittura nel sottosoglia la presieda). È chiaro che riflessioni sulla convenienza e/o inidoneità dovrebbero essere espresse contestualmente allo svolgimento dei lavori in commissione di gara. La previsione, su detta prerogativa, impone che la possibilità/facoltà di non aggiudicare risulti “indicata espressamente nel bando di gara o invito nelle procedure senza bando”, fermo restando che a tale decisione occorre addivenirvi entro “non oltre il termine di trenta giorni dalla conclusione delle valutazioni delle offerte”.
In relazione al secondo quesito, ovvero se la (ri)valutazione delle offerte tecniche possa, invece, avvenire purché ciò accada prima dell’apertura delle offerte economiche, evidentemente “la risposta è positiva, purché non si proceda alla apertura delle buste economiche fino a che non sia esaurita la fase di esame delle offerte tecniche, e purché la commissione fornisca adeguata motivazione circa le ragioni che l’abbiano indotta a tale riesame e/o rivalutazione, anche al fine di garantire la trasparenza”.