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Aggiornamento Giurisprudenziale
Data
Mer, 11/22/2023 - 12:00

RUBRICA AGGIORNAMENTO GIURISPRUDENZIALE n. 10/2023

Rotazione, il regolamento della PA non può prevedere il riaffido al precedente appaltatore

L’ufficio legale del MIT si è occupato di questioni relative alla corretta interpretazione del criterio di rotazione negli affidamenti e, in particolare, sulla nuova disposizione dettata dall’art. 49 del vigente Codice dei Contratti.

Interessanti riscontri vengono forniti, in particolare, con i pareri n. 2084 e n. 2145. Si tratta di indicazioni utili per l’attività istruttoria del RUP.

Con il primo dei citati parei, l’ufficio analizza il quesito sulla possibilità di derogare alla norma sull’alternanza (ora per il solo pregresso affidatario), con specifiche previsioni inserite nel regolamento interno. In particolare la stazione appaltante chiede se, stante l’oggettiva “difficoltà, (…), al dover motivare l’esistenza di una particolare struttura di mercato con dimostrazione dell’effettiva assenza di alternative”, sia possibile innestare nel regolamento una specifica disciplina. In particolare, se possa ritenersi corretta una disposizione interna diretta ad affermare l’assenza di alternative dimostrata “qualora, a seguito della pubblicazione di un avviso d’indagine di mercato sul profilo del committente, manifestino interesse un numero di operatori economici inferiore a 10 a prescindere dalla procedura”.

Nel caso - prosegue il quesito - di partecipazione di un numero di ditte inferiori a quello prefissato, il RUP potrebbe procedere, a causa “della dimostrata scarsa concorrenzialità del mercato”, con l’invito anche del pregresso affidatario. Quest’ultimo verrebbe estromesso “a prescindere che, lo stesso, abbia svolto o meno un’accurata esecuzione del precedente contratto”, solamente in caso di manifestazioni di interesse in numero superiore a quello prefissato nell’avviso pubblico.

Nel riscontro, l’ufficio legale esclude questa possibilità, ritenendo una eventuale disciplina della rotazione espressa in questo modo non condivisibile. Si rammenta, infatti, come emerge nella relazione tecnica che accompagna il Codice, che i motivi che legittimano la deroga, corretta esecuzione e assenza di alternative (art. 49, co. 4), sono “concorrenti e non alternativi tra loro”. Da ciò, deriva “che un Regolamento interno come quello proposto rischia di contrastare con quanto previsto dalla norma determinando condizioni generali e astratte ed omettendo verifiche specifiche e concrete, come ivi richiesto”.

Con il parere n. 2145, invece, l’ufficio legale ricorda che la possibilità di non applicare la rotazione – anche senza motivazione - è prevista solo per acquisizioni di importo inferiore ai 5.000 euro e che tale previsione si riferisce ad ogni specifico acquisto. Tuttavia, si rammenta che, anche per gli affidamenti di importi inferiori a 5.000 euro, “vale il rispetto dei principi di cui al Libro I, Parte I, Titolo I ed in particolare il principio di cui all’art. 2 (principio della fiducia) e di cui ai commi 4, 5, e 6 dell’art. 14”. Quest’ultimo comma (co. 6), in particolare, dispone che “un appalto non può essere frazionato per evitare l’applicazione delle norme del codice, tranne nel caso in cui ragioni oggettive lo giustifichino”. Il RUP, pertanto, deve istruire il procedimento amministrativo, relativo alla fase pubblicistica, evitando “possibili abusi per reiterazione senza limiti degli affidamenti ad un medesimo operatore economico”.

Lo stesso MIT, infine, suggerisce di dotarsi di specifica disciplina interna “che consenta l’affidamento diretto in deroga al principio della rotazione ma nel rispetto dei principi che regolano gli affidamenti pubblici”.

I ritardi sull’aggiudicazione espongono il RUP al rischio di responsabilità per colpa grave.

Con il parere n. 2090/2023, l’ufficio legale del MIT affronta alcuni aspetti, innovativi, del Codice degli Appalti. In particolare, l’ufficio affronta le tematiche poste dall’allegato I.3 (“termini delle procedure di gara”) che, in relazione ad ogni procedura di aggiudicazione, stabilisce dei termini di conclusione, con l’aggiudicazione, con ipotesi di deroghe rimesse alla valutazione del RUP.

La prima domanda che viene posta è se nella procedura negoziata i termini debbano essere conteggiati fin dalla data della decisione a contrarre “oppure in un momento successivo, ossia dall’invio della richiesta d’offerta” ovvero “dall’eventuale pubblicazione dell’avviso d’indagine di mercato sul profilo del committente”. In questo caso, il riscontro fornito si adegua alla chiara indicazione dell’allegato poc’anzi citato, a lume del quale, nelle procedure negoziate, il termine decorre dall’invio della lettera di invito.

È stata risolta, in altri termini, la querelle sulla disposizione contenuta nell’art. 1 del d.l. n. 76/2020 (e nell’art. 2 per le procedure classiche ad evidenza pubblica) visto che, nella norma citata, il riferimento è all’atto che avvia il procedimento amministrativo. Correttamente, l’allegato I.3, invece, fin dalla rubrica, si esprime con riferimento ai termini della “procedura” che, evidentemente, viene avviata con l’atto tecnico. Diversamente, la decisione a contrarre è l’atto che avvia il procedimento amministrativo, palesando la decisione su come il RUP intenda strutturare la procedura di assegnazione.

Altra questione, sempre posta nel quesito, è quella relativa al momento in cui la procedura si intende conclusa.

Anche su questo, è bene evidenziarlo, il nuovo Codice, effettivamente, semplifica, visto che l’art. 17 prevede un’unica aggiudicazione (l’aggiudicazione efficace successiva al regolare riscontro dei requisiti). Non v’è dubbio, quindi, che la procedura di aggiudicazione si conclude con l’aggiudicazione efficace.

L’aspetto, forse, più interessante, viene innescato dalla domanda diretta a comprendere in cosa si concretizzerebbero il “silenzio inadempimento” e la “verifica del rispetto del dovere di buona fede”; soprattutto, in relazione alla responsabilità del RUP e del responsabile del servizio.

Tra le ipotesi formulate, ci si chiede se la procedura d’appalto, per mancato rispetto dei termini, potrebbe essere annullata, con conseguente ipotesi del danno erariale.

Secondo l’istante, “il danno erariale potrebbe ancora configurarsi, in aggiunta alle altre due infrazioni, qualora il responsabile per la fase di affidamento oppure il RUP, decidano deliberatamente di utilizzare una procedura di livello superiore rispetto all’importo da dover gestire”; ad esempio, una procedura aperta in luogo di una negoziata.

Per quanto concerne gli aspetti della responsabilità, escludendo l’ipotesi dell’annullamento della gara che non venisse portata a conclusione nei termini, il MIT precisa il significato da attribuire al “silenzio inadempimento”.

Il silenzio in parola determinerebbe “la possibilità per il privato di promuovere un’azione ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a. chiedendo al giudice l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere”. Il mancato rispetto dei termini implica, inoltre, il mancato rispetto del dovere di buona fede quale regola “di esercizio del potere pubblicistico ai sensi degli artt. 2, 5 e 209 del nuovo Codice stante la sussistenza, nell’ambito del procedimento di gara, anche prima dell’aggiudicazione, di un affidamento dell’operatore economico”.

Pertanto, la violazione/inosservanza dei termini, che, dunque, devono essere preventivamente indicati dal RUP fin dalla decisione a contrarre, può “dar luogo alla responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione”, esponendo il funzionario a colpa grave per “la grave violazione di norme di diritto”.

Si tratta di aspetti, in ogni caso, su cui occorrerà attendere anche le determinazioni giurisprudenziali.

Parere precontenzioso ANAC del 13/10/2023: il servizio di coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione non ha carattere standardizzato.

L’attività di coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione non ha la natura di servizio standardizzato e, dunque, non può essere affidata con una gara al massimo ribasso. Con questa motivazione l’ANAC ha dato ragione all’associazione delle società di ingegneria e architettura (OICE), rispondendo all’istanza di parere precontenzioso promossa contro la scelta dell’ANAS di affidare un servizio di coordinamento della sicurezza, del valore di 174.115 euro (dunque, superiore alla soglia di 140mila euro che impone la gara), puntando solo sul prezzo, senza alcuna richiesta legata alla qualità della prestazione.

Anzitutto, l’Autorità ricorda come il nuovo Codice regola l’assegnazione di questo tipo di servizi (art. 108, co. 2 e 3). In particolare, il d.lgs. n. 36/2023 stabilisce che “Sono aggiudicati esclusivamente sulla base del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo: b) i contratti relativi all'affidamento dei servizi di ingegneria e architettura e degli altri servizi di natura tecnica e intellettuale di importo pari o superiore a 140.000 euro”; “È stato quindi previsto da parte del legislatore un vincolo di aggiudicazione per gli affidamenti di servizi di ingegneria e architettura superiori a certe soglie” – dice l’ANAC, che continua rilevando come - “L’articolo 108, comma 3 riconosce, invece, alle Stazioni appaltanti la facoltà di utilizzare il criterio del minor prezzo per i servizi e le forniture con caratteristiche standardizzate o le cui condizioni sono definite dal mercato, fatta eccezione per gli appalti ad alta intensità di manodopera”.

L’Autorità non condivide la ricostruzione dell’ANAS secondo cui l’attività di coordinamento della sicurezza sarebbe un servizio standardizzato. Ciò, prima di tutto perché “ripetitività e standardizzazione costituiscono attributi che mal si conciliano con le prestazioni di servizi di ingegneria e architettura atteso che, come rilevato dalla giurisprudenza, la loro ingegnerizzazione comprende attività che richiedono un patrimonio di cognizioni specialistiche per la risoluzione di problematiche non standardizzate, o la ideazione di soluzioni progettuali personalizzate”, inoltre, perché “contrariamente a quanto affermato dalla Stazione appaltante, anche in relazione all’affidamento del servizio di coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione appaiono certamente individuabili criteri di valutazione (ad es. le caratteristiche e modalità di espletamento del servizio, i tempi e la frequenza di presenza del coordinatore sul cantiere, i rapporti con la Stazione appaltante e la Direzione Lavori ecc. ) idonei a rendere un’offerta preferibile ad un’altra”.

Cons. Stato, sez. III, sent. n. 8706/2023: ampia discrezionalità della PA nella scelta dei criteri di aggiudicazione, ma con precisi limiti.

Nella scelta del criterio di aggiudicazione da utilizzare ai fini dell’affidamento di contratti pubblici gli enti appaltanti godono di un ampio margine di discrezionalità, che attiene al merito dell’azione amministrativa. Nell’ambito di questa discrezionalità, la scelta del criterio di aggiudicazione va operata individuando quello più idoneo in relazione alle specifiche tecniche dell’appalto, tenendo conto della tipologia di prestazione oggetto del contratto e delle sue peculiari caratteristiche.

Con l’affermazione di questi principi il Consiglio di Stato, con la sentenza in commento, è intervenuto su una questione più volte affrontata e che, tuttavia, continua a creare incertezza, anche alla luce dell’introduzione del d.lgs. n. 36/2023.

Nel caso esaminato dal Giudice amministrativo, una stazione appaltante aveva indetto una procedura di gara affidata ad un operatore economico diverso dal precedente esecutore. A seguito dell’aggiudicazione, il gestore uscente del servizio impugnava il provvedimento. A fondamento del ricorso era posta la censura relativa alla scelta del criterio di aggiudicazione da parte dell’ente appaltante.

Secondo il ricorrente, l’ente appaltante avrebbe optato per il criterio del prezzo più basso in mancanza dei presupposti indicati dalle norme che ne avrebbero consentito l’utilizzo. Nel caso di specie, infatti, l’appalto non sarebbe caratterizzato dalla sussistenza dei due requisiti che legittimano il ricorso al prezzo più basso: la standardizzazione delle prestazioni da rendere e la bassa incidenza della manodopera.

Quanto al primo profilo, il capitolato speciale definiva le prestazioni nel senso di ricomprendervi non solo le attività di manutenzione, ma anche quelle di adeguamento degli impianti, che non potevano essere considerate prestazioni a carattere ripetitivo.

Relativamente alla manodopera, l’appalto in questione non poteva essere considerato a bassa intensità, tenuto conto che il contenuto specialistico e tecnologico delle prestazioni da svolgere incideva in misura significativa sul livello di qualificazione del personale da impiegare e, quindi, sul costo della manodopera. A riprova di ciò, la circostanza che nell’offerta dell’aggiudicataria il costo della manodopera incideva per una percentuale ben superiore al 50% dell’intero importo dell’appalto.

Il ricorso veniva respinto dal giudice di primo grado e la relativa sentenza veniva impugnata davanti al Consiglio di Stato.

In via preliminare il Consiglio di Stato affronta la questione della tempestività del ricorso, sollevata in via di eccezione dall’ente appaltante e dall’aggiudicataria. L’eccezione si fondava sul fatto che il ricorrente avrebbe dovuto impugnare immediatamente il bando che evidentemente già conteneva l’individuazione del criterio di aggiudicazione, senza attendere – come invece ha fatto – gli esiti della procedura e l’intervenuta aggiudicazione. Il Consiglio di Stato ha respinto l’eccezione, ritenendo, quindi, il ricorso tempestivo. Ha, infatti, ricordato l’orientamento consolidato secondo cui l’impugnazione immediata delle clausole del bando riguarda esclusivamente le ipotesi in cui le stesse sono immediatamente escludenti, impedendo la partecipazione alla gara, ovvero rendono impossibile la presentazione di un’offerta.

Diversamente, nel caso di specie non ricorre alcuna di tali ipotesi, come è evidente dal fatto che l’impresa ricorrente ha, comunque, partecipato alla gara, presentando una propria offerta. Appare, dunque, corretto il comportamento della stessa, che ha impugnato la clausola relativa al criterio di aggiudicazione unitamente all’aggiudicazione, poiché solo in tale momento si è palesato il carattere lesivo della clausola stessa.

Nel merito, il Consiglio di Stato prende le mosse dall’affermazione del principio a mente del quale la scelta del criterio di aggiudicazione rientra nella discrezionalità amministrativa e, riguardando il merito, è sottratta al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, se non nei limitati casi di palese irragionevolezza, illogicità o travisamento dei fatti. Sulla base di questo principio, l’ente appaltante è chiamato a scegliere il criterio di aggiudicazione più adeguato in relazione alle caratteristiche dell’oggetto dell’appalto, tenuto conto delle specificità delle prestazioni da svolgere.

Tenendo conto di tali presupposti, il criterio del prezzo più basso è destinato ad essere utilizzato nei casi in cui l’oggetto del contratto preveda lo svolgimento di prestazioni di carattere ordinario e di natura standardizzata, considerata anche della presenza sul mercato di una molteplicità di operatori idonei a svolgere le prestazioni stesse. Ne consegue che la scelta del criterio del prezzo più basso risulta idonea nei casi in cui le prestazioni non sono connotate da un particolare valore tecnologico. In siffatti casi, l’ente appaltante non ha alcun interesse a valorizzare gli elementi qualitativi dell’offerta, poiché l’esecuzione delle prestazioni avviene secondo modalità standardizzate già compiutamente definite dallo stesso nella documentazione di gara.

Il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa va, invece, utilizzato qualora le caratteristiche oggettive dell’appalto siano tali da far ritenere rilevanti gli elementi qualitativi dell’offerta. In questo caso, è ragionevole che l’ente appaltante valuti tali elementi qualitativi insieme al prezzo per individuare l’offerta che risulti maggiormente aderente alle sue esigenze.

Applicando tale criterio distintivo al caso de quo appare legittima la scelta di ricorrere al criterio del prezzo più basso. L’art. 95, co. ,4 del d.lgs. n. 50 consente agli enti appaltanti di utilizzare il criterio del prezzo più basso per l’affidamento di appalti di servizi e forniture con caratteristiche standardizzate, che è appunto l’ipotesi che ricorre nel caso in esame. Né è sostenibile che trattisi di un appalto ad alta intensità di manodopera – per il quale il precedente co. 3 dell’art. 95 prevede il ricorso obbligatorio al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa -, in quanto, in base alle stime elaborate dall’ente appaltante e contenute nella documentazione di gara, il costo della manodopera risulta inferiore al 50 % dell’importo totale del contratto.

Le affermazioni contenute nella pronuncia in commento vanno valutate alla luce della disciplina sui criteri di aggiudicazione, oggi contenuta all’art. 108 del d.lgs. n. 36/23, che riprende, con alcune modifiche, le previsioni del poc’anzi citato art. 95.

Il principio di fondo da cui prende le mosse la pronuncia - quello della piena libertà dell’ente appaltante nella scelta del criterio di aggiudicazione – riceve, in realtà, un significativo temperamento dalle norme attualmente vigenti.

Infatti, il co. 1 dell’art. 108 indica quale criterio da utilizzare in via ordinaria quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, declinato secondo una duplice modalità: miglior rapporto qualità/prezzo o elemento del prezzo o del costo che segue un criterio di comparazione costo/efficacia e che implica, comunque, la valutazione di elementi qualitativi dell’offerta.

Il comma 2 indica i casi in cui è comunque obbligatorio il ricorso al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa:

a) contratti relativi a servizi sociali, ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica e comunque i servizi ad alta intensità di manodopera;

b) affidamento dei servizi di ingegneria di importo pari o superiore a 140.000 euro;

c) affidamento di servizi e forniture di importo pari o superiore a 140.000 euro;

d) affidamenti a seguito di dialogo competitivo o di contratti di partenariato pubblico – privato;

e) affidamenti di appalto integrato; 

f) affidamenti di lavori ad alto contenuto tecnologico o con carattere innovativo.

Occorre, infine, considerare la previsione del co. 3, che sancisce la facoltà di ricorso al criterio del prezzo più basso per i servizi e le forniture con caratteristiche standardizzate o le cui condizioni sono definite dal mercato. Vengono, così, identificati gli unici casi in cui l’ente appaltante può – ma non deve – ricorrere al prezzo più basso, che si configura, quindi, come un criterio da utilizzare in via residuale.

In sintesi, è possibile affermare che la discrezionalità dell’ente appaltante nella scelta del criterio di aggiudicazione da utilizzare è relativa. Vi sono, infatti, una serie di prescrizioni, dettate direttamente dal legislatore, per cui il criterio da utilizzare in via prevalente è l’offerta economicamente più vantaggiosa, mentre il prezzo più basso è destinato ad ipotesi predefinite, che riguardano solo le forniture e i servizi (con caratteristiche standardizzate) e non anche i lavori.

Il quadro si completa, poi, con alcune previsioni specifiche relative a servizi e forniture il cui prezzo è determinato da puntuali disposizioni legislative, regolamentari o amministrative. Nei casi individuati al successivo co. 5, il prezzo è fisso e gli operatori concorrono solo in base ad elementi di natura qualitativa.

In sostanza, l’ente appaltante deve svolgere una gara in cui indica preventivamente quale è il corrispettivo (fisso) riconosciuto all’appaltatore, con la conseguenza che la scelta dell’offerta aggiudicataria avviene esclusivamente sulla base di elementi qualitativi.

Al riguardo, si può porre il tema se questa previsione possa venire in rilievo in relazione a una questione che, negli ultimi tempi, ha assunto grande importanza, e cioè l’applicabilità, o meno, della disciplina sull’equo compenso all’affidamento dei servizi di ingegneria.

Si potrebbe, infatti, sostenere che la predeterminazione per legge di un compenso equo minimo rientra proprio nell’ipotesi in cui il prezzo di determinati servizi è fissato da una disposizione legislativa, con l’effetto di rendere applicabile la previsione del co. 5.

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