RUBRICA AGGIORNAMENTO GIURISPRUDENZIALE N. 2/2022
TAR Abruzzo, sez. I, sent. n. 23/2022: i tre step dell'aggiudicazione.
Nell'ambito delle fasi di cui si compone la procedura di affidamento dei contratti pubblici, disciplinata dall'art. 32 (e, in parte, dall’art. 33) del d.lgs. n. 50/2016, occorre tenere nettamente distinte la proposta di aggiudicazione, l'approvazione di tale proposta e l'aggiudicazione definitiva in senso proprio.
Ognuno di questi passaggi risponde a finalità e logiche diverse ed i relativi provvedimenti assumono una propria autonoma funzione. In particolare, i primi due atti hanno natura endoprocedimentale, esaurendo i loro effetti all'interno del processo complessivo di cui fanno parte, mentre solo il provvedimento di aggiudicazione definitiva è idoneo a incidere nella sfera giuridica dei destinatari potendo essere immediatamente lesivo della stessa. Solo quest'ultimo, quindi, risulta impugnabile davanti al giudice amministrativo.
Si è espresso in questi termini il TAR Abruzzo nella sentenza in commento, che offre un contributo di chiarezza al fine di mettere ordine nella complessa sequenza procedimentale che porta dalla conclusione della procedura di gara fino alla stipulazione del contratto, che continua a presentare alcune zone d'ombra, anche in conseguenza di una non eccessiva linearità.
Nel caso esaminato dal giudice amministrativo, un ente locale aveva indetto una procedura aperta per l'affidamento di un servizio. La commissione giudicatrice, all'esito della sua attività valutativa, aveva formulato la proposta di aggiudicazione. Successivamente, era intervenuta l'approvazione di tale proposta da parte dell'organo competente dell'ente committente in base al relativo ordinamento interno, che si identificava con il dirigente preposto al settore tecnico di competenza. Alla determina del dirigente non aveva però fatto seguito il formale provvedimento di aggiudicazione definitiva.
Nonostante tale carenza, il concorrente secondo classificato aveva contestato la legittimità dell'aggiudicazione e impugnato, quindi, la determina dirigenziale di approvazione della proposta di aggiudicazione.
Sia l'ente appaltante, che l'aggiudicatario, hanno sollevato l'eccezione di inammissibilità nei confronti del ricorso presentato dal secondo classificato. Ai fini di esprimersi su tale eccezione, il giudice amministrativo opera in primo luogo una ricostruzione dei principi generali che presiedono all'attivazione dell'azione di annullamento degli atti amministrativi. Tale azione è soggetta a due condizioni. La prima consiste nella sussistenza della legittimazione a ricorrere, secondo cui il ricorrente deve essere titolare di una posizione sostanziale differenziata e qualificata che lo distingue dalla massa indifferenziata in relazione all'esercizio dell'azione amministrativa. A questa condizione se ne aggiunge una seconda, consistente nella titolarità dell'interesse al ricorso, coincidente con la concreta possibilità di perseguire il bene della vita, da valutare in relazione a una lesione concreta e attuale dell'interesse che si intende tutelare, che deve avere i caratteri della personalità, attualità e concretezza.
Ciò significa, dal punto di vista pratico, che la mera titolarità di un interesse protetto non giustifica di per sé l'azione giudiziale, che per poter essere correttamente attivata necessita della lesione concreta e attuale di tale interesse ad opera dell'atto amministrativo che viene impugnato. In sostanza, chi ricorre al giudice amministrativo deve dimostrare che il provvedimento di cui chiede l'annullamento provoca una lesione personale, attuale e concreta nella sua sfera giuridica, non essendo sufficiente prospettare una lesione potenziale o meramente futura.
Riportando questi principi alla procedura delineata dall'art. 32 del d.lgs. n. 50/16, che disciplina le diverse fasi successive alla conclusione della procedura di gara e fino alla stipula del contratto, ne deriva che il concorrente che abbia preso parte a tale procedura, pur essendo titolare della legittimazione a ricorrere, non ha interesse a ricorrere né contro la proposta di aggiudicazione, né contro il provvedimento recante l'approvazione di tale proposta. Ciò in quanto, entrambi gli atti non sono immediatamente e concretamente lesivi della sua posizione giuridica.
Questa conclusione viene giustificata dal TAR Abruzzo alla luce di un'attenta disamina dell'art. 32 citato. La relativa disciplina prevede, infatti, una netta distinzione tra tre atti:
- proposta di aggiudicazione;
- approvazione della proposta di aggiudicazione;
- provvedimento di aggiudicazione.
La proposta di aggiudicazione è l'atto finale della commissione giudicatrice, redatto all'esito della relativa attività di valutazione delle offerte.
L'atto di approvazione di tale proposta è, invece, emanato dall'organo dell'ente appaltante che, in base ai singoli ordinamenti interni, è competente in questo senso.
Infine, v’è il provvedimento di aggiudicazione che costituisce l'atto terminale del procedimento, con cui si manifesta all'esterno la decisione finale dell'ente appaltante.
Sia la proposta di aggiudicazione che l'approvazione della stessa sono atti endoprocedimentali che, cioè, non hanno rilevanza esterna. L'approvazione, in particolare, coincide con l'attività di verifica della proposta di aggiudicazione, richiamata dall'art. 32, co. 5, rientrante nella più generale attività di controllo sugli atti della procedura, di competenza dell'ente appaltante. L'approvazione può essere anche tacita qualora l'ente appaltante non si pronunci sulla proposta di aggiudicazione entro il termine stabilito dal proprio ordinamento interno o in mancanza entro il termine di trenta giorni indicato dalla norma (art. 33, co. 1). In ogni caso, solo a valle di tale attività di verifica – che si conclude con l'approvazione espressa o tacita - interviene l'aggiudicazione, che deve essere comunicata ai concorrenti attraverso un provvedimento formale.
È, quindi, evidente che solo il provvedimento di aggiudicazione è idoneo a produrre la lesione concreta e attuale della sfera giuridica del concorrente non aggiudicatario, e, dunque, solo tale provvedimento è suscettibile di essere impugnato davanti al giudice amministrativo.
Nel caso di specie, il ricorrente secondo classificato ha impugnato la determinazione dell'organo tecnico dell'ente appaltante che ha approvato la proposta di aggiudicazione. Ne consegue l'inammissibilità del ricorso, proprio perché rivolto contro un atto endoprocedimentale, di per sé inidoneo a essere concretamente e immediatamente lesivo.
La pronuncia del TAR Abruzzo ricostruisce, in termini fedeli, il complesso iter procedurale che gli articoli 32 e 33 del d.lgs. n. 50/16 delineano al fine di arrivare dalla conclusione delle operazioni di gara alla stipula del contratto.
Ogni fase di questo iter si conclude con un atto formale. La proposta di aggiudicazione è l'atto formale conclusivo dell'attività della commissione giudicatrice, ovvero del seggio di gara, nei casi in cui si proceda con il criterio del prezzo più basso e, quindi, non vi sia una commissione giudicatrice in senso proprio. Più articolata è la successiva attività di approvazione della proposta di aggiudicazione. Il co. 5 dell'art. 32 parla, in realtà, di verifica della proposta di aggiudicazione, che tuttavia, in virtù del rinvio operato al successivo art. 33, co. 1, si identifica con l'approvazione, nel senso che la verifica porta all'approvazione della proposta di aggiudicazione (o alla mancata approvazione qualora la verifica abbia esito negativo).
La verifica e, quindi, la decisione sull'approvazione è di spettanza dell'organo competente, diversamente individuato in base ai singoli ordinamenti degli enti appaltanti. Al riguardo, si pone il tema dei margini di scelta di cui gode tale ente nell'operare la suddetta verifica. Si deve ritenere che tale verifica si estenda sicuramente al controllo della legittimità degli atti della procedura di gara. Più dubbio è se l'organo competente possa andare oltre, cioè non procedere all'approvazione della proposta di aggiudicazione per ragioni non di legittimità bensì di merito. Al riguardo, sembra potersi ritenere che la mancata approvazione della proposta può considerarsi legittima nei limiti in cui è consentito all'ente appaltante di esercitare il potere di revoca degli atti di gara, e cioè – in estrema sintesi – per la considerazione di fatti sopravvenuti o per una diversa e rinnovata valutazione dell'interesse pubblico, pur in presenza della medesima situazione di fatto.
Intervenuta l'approvazione, l'ente appaltante procede all'aggiudicazione che, in realtà, si sostanzia nella comunicazione formale dell'intervenuta aggiudicazione, normalmente di competenza del RUP.
Il quadro si completa, poi, con altre due previsioni. La prima è quella contenuta nel co. 6 dell'art. 32, a mente del quale l'aggiudicazione non equivale ad accettazione dell'offerta. La norma vuole evitare che l'aggiudicazione crei un vincolo in capo all'ente appaltante, fermo restando che anche in questo caso si deve ritenere che lo stesso non goda di una discrezionalità assoluta, potendo decidere di non dar seguito all'aggiudicazione e non stipulare il contratto nei limiti in cui gli è consentito esercitare il potere di revoca degli atti amministrativi. La seconda previsione è quella del successivo co. 7, in base alla quale l'aggiudicazione diviene efficace solo dopo la verifica del possesso dei requisiti in capo all'aggiudicatario.
Cons. Stato, sez. V, sent. n. 1314/2022: nel soccorso istruttorio il ritardo lieve non determina l’esclusione.
La giurisprudenza amministrativa è sempre attenta a valorizzare opportunamente la normativa concernente l'istituto del soccorso istruttorio nell'ambito dei contratti pubblici. Concepito come strumento giuridico a duplice valenza, esso risulta idoneo, da una parte, ad assecondare le prerogative degli operatori economici più meritevoli, impedendo che irregolarità e inadempimenti meramente formali ne compromettano le ragioni, e, dall'altra parte, a tutelare gli interessi della PA, impedendole di perdere l'occasione di selezionare il concorrente migliore a causa di vizi procedimentali facilmente emendabili. Si muove in questa scia sostanzialistica la sentenza in commento, la quale interviene segnatamente affermando un principio di diritto in tema di ambito temporale di applicazione della procedura di soccorso.
Il giudizio introduttivo è stato instaurato con ricorso avverso il provvedimento con il quale un Comune disponeva l'esclusione dalla procedura negoziata del concorrente, poi risultato primo classificato, il quale aveva riscontato la richiesta di soccorso istruttorio con 52 minuti di ritardo rispetto al termine fissato.
La norma che assume rilievo in materia è contenuta nell'art. 83 del Codice, il cui co. 9 è espressamente dedicato alla regolamentazione del soccorso istruttorio, che consente agli operatori economici di sanare le carenze di qualsiasi elemento formale della domanda di partecipazione. In sintesi, nell'ipotesi di mancanza, incompletezza e di ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e del documento di gara unico europeo (con esclusione di quelle afferenti all'offerta economica e all'offerta tecnica), la stazione appaltante assegna al concorrente un termine per rendere, integrare o regolarizzare le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti tenuti a rilasciarle.
Detto termine è stabilito in non più di dieci giorni, decorsi inutilmente i quali si produce l'effetto di esclusione dalla gara.
In via preliminare, i giudici di Palazzo Spada riconoscono la natura perentoria del termine di regolarizzazione in esame, da attribuire alla necessità di bilanciare i principi di matrice eurounitaria della concorrenza e del favor partecipationis con l'esigenza di garantire celerità e certezza nella fase di conclusione del procedimento di selezione del contraente.
Nello scrutinare il merito dell'impugnazione, tuttavia, i magistrati del Collegio superiore, ispirandosi anche al canone della leale collaborazione tra stazione appaltante e concorrenti, reputano legittimo il lieve ritardo nella presentazione della documentazione integrativa, giacché irrilevante e inidoneo a pregiudicare la perentorietà del termine di regolarizzazione e laddove esso risulti improduttivo di effetti pratici negativi sulle operazioni di gara nonché scusabile da causa non imputabile al soggetto interessato (quale – in specie – il malfunzionamento della rete di trasmissione ascrivibile all'esecuzione di lavori per l'installazione della fibra ottica nel territorio comunale).
La pronuncia si inscrive nel solco di quell'orientamento giurisprudenziale chiamato più volte a perimetrare l'applicazione del soccorso istruttorio in fase di offerta, con il meritorio intento di scongiurare che la disciplina della procedura di gara si trasformi in una sorta di “corsa a ostacoli” fra adempimenti formali imposti agli operatori economici e alla PA aggiudicatrice, capace di sviare dal fine ultimo costituito dalla scelta dell'offerta migliore nel rispetto delle contemplate regole selettive.
Cons. Stato, sez. V, sent. n. 1234/2022: niente clausola sociale per i servizi di natura intellettuale.
I servizi di natura intellettuale si caratterizzano per lo svolgimento di prestazioni professionali in via prevalentemente personale, finalizzate all'ideazione di soluzioni o elaborazioni di pareri, preponderanti rispetto alle attività materiali e all'organizzazione di mezzi e risorse. In questa logica, va esclusa la natura intellettuale di servizi che comportano lo svolgimento di attività ripetitive che non richiedono l'elaborazione di soluzioni personalizzate, essendo sufficiente l'esecuzione di prestazioni standardizzate.
Ai fini dell'affidamento dei servizi di natura intellettuale la documentazione di gara non deve contenere la c.d. clausola sociale, in virtù dell'esplicita esclusione contenuta nell'art. 50 del d.lgs. n. 50/2016.
Peraltro, non è ammissibile l'impugnativa volta a contestare il mancato inserimento di tale clausola, in quanto la stessa non può considerarsi concretamente e immediatamente lesiva di alcuna posizione giuridica dei concorrenti, tutelabile in via giudiziaria. Sono queste le più rilevanti affermazioni operate dal Consiglio di Stato nella sentenza in commento, che offre interessanti spunti interpretativi sui caratteri dei servizi di natura intellettuale e sull'ambito di efficacia della clausola sociale.
Una società in house della Regione Lombardia aveva indetto una procedura aperta per l'affidamento dei servizi di supporto alle attività informatiche. La procedura era suddivisa in cinque lotti; in relazione a uno di tali lotti un concorrente impugnava l'aggiudicazione disposta dalla stazione appaltante a favore di un raggruppamento temporaneo di imprese.
Il TAR Lombardia accoglieva il ricorso sulla base di due concorrenti motivazioni. In primo luogo, veniva dichiarata l'illegittimità del bando di gara per il mancato inserimento nello stesso della clausola sociale, sul presupposto che i servizi oggetto della procedura non potevano essere considerati di natura intellettuale e, quindi, non potevano godere dell'esenzione prevista dalla norma. In secondo luogo, l'aggiudicatario avrebbe operato un'illegittima modifica dell'offerta in sede di giustificazioni rese nel giudizio di anomalia, avendo ridotto la quantità di lavoro rispetto a quanto originariamente indicato.
La sentenza del TAR è stata oggetto di appello davanti al Consiglio di Stato da parte dell'ente appaltante, sulla base di una serie articolata di motivi. Con il primo motivo l'appellante ha censurato la sentenza di primo grado per non aver rilevato l'irricevibilità del ricorso del concorrente per tardività dell'impugnazione del bando. Secondo l'appellante la ritenuta illegittimità del bando per mancato inserimento della clausola sociale avrebbe dovuto essere oggetto di impugnazione immediata, cioè subito dopo la pubblicazione del bando e non dopo l'intervenuta aggiudicazione.
Con il secondo motivo è stata sollevata l'eccezione di inammissibilità del ricorso, per difetto dell'interesse a ricorrere. L'appellante ha, infatti, evidenziato che il mancato inserimento nel bando della clausola sociale non rappresenterebbe una lesione della posizione giuridica del concorrente, considerato che tale omissione comporta una più ambia libertà dello stesso nell'organizzazione dei fattori produttivi e, in ultima analisi, nell'espletamento del servizio. Infine, la sentenza del giudice di primo grado sarebbe errata anche per aver censurato il mancato inserimento della clausola sociale sul presupposto che i servizi oggetto di affidamento non potessero essere considerati servizi intellettuali. Ciò in quanto, l'attività di realizzazione, gestione e manutenzione del software e dei servizi a supporto rientra a pieno titolo nei servizi di natura intellettuale.
Il Consiglio di Stato ha, in primo luogo, accolto il motivo di appello volto a far valere l'eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di effettiva lesione della posizione giuridica del concorrente, conseguente al mancato inserimento nel bando della clausola sociale. Al riguardo, il giudice amministrativo ricorda che la clausola sociale comporta l'obbligo tendenziale per l'offerente di mantenere gli stessi livelli occupazionali del precedente gestore dell'appalto. Tale obbligo – sia pure temperato dall'esigenza di assicurare la libertà organizzativa di impresa – incide sulla formulazione dell'offerta e sulla fase esecutiva dell'appalto. In questo senso la clausola sociale, se formulata in termini talmente stringenti da pregiudicare la possibilità di formulare un'offerta economicamente sostenibile, può essere oggetto di impugnazione immediata in quanto direttamente lesiva dell'interesse legittimo del concorrente alla partecipazione alla gara.
In termini specularmente opposti, il mancato inserimento nel bando della clausola sociale non solo non comporta un onere di immediata impugnazione, ma non incide neanche in termini negativi sulla posizione giuridica dei concorrenti, che non sono tenuti all'osservanza degli obblighi che sarebbero derivati dalla clausola sociale. In sintesi, il mancato inserimento di detta clausola non lede in alcun modo la posizione giuridica dei concorrenti. Sotto questo profilo il Consiglio di Stato respinge la prospettazione che era stata operata dal giudice di primo grado.
Quest'ultimo aveva, infatti, sostenuto che la mancata previsione della clausola sociale da parte dell'ente appaltante costituirebbe una violazione di legge e, come tale, idonea a rendere illegittima l'intera procedura di gara. Tale vizio di legittimità lederebbe la posizione di tutti i concorrenti, che avrebbero, quindi, interesse a ricorrere davanti al giudice amministrativo.
A questa ricostruzione il Consiglio di Stato replica che, per le ragioni sopra richiamate, non è dato rinvenire una effettiva lesione dell'interesse dei concorrenti a partecipare alla gara, non potendo l'impugnazione di un atto amministrativo essere utilizzata per un asserito interesse al ripristino della legalità violata.
Ancorché l'accoglimento del motivo di censura, relativo all'inammissibilità del ricorso, abbia valore dirimente, il Consiglio di Stato ha ritenuto di affrontare anche il tema della definizione dei servizi di natura intellettuale, la cui ricorrenza nel caso di specie aveva indotto l'ente appaltante a escludere l'inserimento nel bando della clausola sociale, sulla base dell'esenzione prevista dallo stesso art. 50 del Codice. Al riguardo, il giudice amministrativo ricorda che la natura intellettuale dei servizi si qualifica, in termini negativi, per l'impossibilità di una loro standardizzazione e per la non prevalenza di attività di tipo manuale. In questo senso, va esclusa la natura intellettuale del servizio che abbia ad oggetto lo svolgimento di attività ripetitive che non richiedono l'elaborazione di soluzioni personalizzate, bensì l'esecuzione di attività standardizzate.
Al contrario, i servizi intellettuali si caratterizzano in positivo per lo svolgimento di prestazioni professionali di tipo prevalentemente personali, che si sostanziano nella ideazione di soluzioni o elaborazioni di pareri tarati sullo specifico caso. Ed è proprio in relazione alle caratteristiche proprie dei servizi di natura intellettuale che si spiega la ragione dell'esclusione della clausola sociale dalle relative procedure di affidamento.
Tale esclusione nasce dalla considerazione che il carattere professionale e personale delle relative prestazioni rappresenta un oggettivo ostacolo a una clausola che impone l'assorbimento del personale dell'appaltatore uscente. Ciò in quanto, proprio i suddetti caratteri esigono che il nuovo appaltatore goda della più ampia libertà nel reclutamento del personale che mai come in questo caso si deve basare sull'intuitus personae.
In sintesi, poiché le prestazioni da rendere non sono di tipo manuale e standardizzato ma rappresentano essenzialmente il frutto di opere dell'ingegno, non si può costringere l'appaltatore a utilizzare personale che non ha autonomamente selezionato e che potrebbe ritenere non idoneo allo scopo.
L'intero impianto della pronuncia del Consiglio di Stato si fonda sull'espressa esenzione, contenuta nell'art. 50 del Codice. La norma, nel prevedere l'obbligo di inserire nella documentazione di gara la clausola sociale, esplicitamente prevede che tale obbligo non trovi applicazione per i servizi di natura intellettuale. Le ragioni alla base di tale esenzione sono correttamente indicate nella pronuncia. Tuttavia, queste stesse ragioni non sembrano limitate esclusivamente ai servizi di natura intellettuale, riguardando piuttosto tutti quegli appalti caratterizzati dall'impiego di personale qualificato e altamente specializzato. Non è casuale che la stessa giurisprudenza amministrativa sia ripetutamente intervenuta per delimitare in senso restrittivo l'ambito applicativo della clausola sociale, evidenziando che la stessa non può comprimere oltre un certo limite la libertà imprenditoriale e l'autonomia organizzativa dell'appaltatore. Sembra, quindi, evidente che le pur legittime istanze di tutela sociale che la clausola in questione vuole soddisfare rischiano di contrapporsi al principio della libera iniziativa economica privata, anch'esso costituzionalmente garantito. Il che impone una lettura e un'applicazione di tale clausola scevra da particolari rigidità e vincoli operativi.