Sintesi di monitoraggio legislativo 8 - 19 gennaio 2018
NOTA POLITICA
Il 2018 si è aperto con un’Italia tornata ufficialmente in clima di campagna elettorale e i partiti a competere per accaparrarsi quanti più consensi in vista del prossimo 4 marzo.
Il tutto mentre l’ultimo rapporto Istat sul lavoro ha dipinto un quadro per nulla rassicurante circa lo stato di salute del mercato del lavoro italiano, colpito da una trasformazione radicale che getta più di un’ombra sul futuro della nostra società. L’incremento degli occupati e la flessione della disoccupazione, difatti, non bastano più a nascondere un sistema segnato dall’arretramento senza fine dell’impiego a tempo indeterminato, che a sua volta alimenta una realtà già zavorrata da bassi salari, lavoro stagionale, scarsa specializzazione e reddito in calo.
LAVORI PUBBLICI
Decreto Bim in vigore dal 29 gennaio
In attuazione dell’articolo 23, comma 13, del Codice dei contratti pubblici, il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti ha adottato il decreto n. 560 del 1 dicembre 2017 che definisce le modalità e i tempi di progressiva introduzione, da parte delle stazioni appaltanti, delle amministrazioni concedenti e degli operatori economici, dell’obbligatorietà dei metodi e degli strumenti elettronici specifici, quali quelli di modellazione per l’edilizia e le infrastrutture, nelle fasi di progettazione, costruzione e gestione delle opere e relative verifiche.
Il decreto entra in vigore decorsi quindici giorni dalla data di pubblicazione sul sito istituzionale del Ministero delle Infrastrutture, avvenuto lunedì 15 gennaio; tuttavia, l’utilizzo del BIM sarà obbligatorio dal 2019, fino ad allora - a partire dall’entrata in vigore del decreto che scatterà il 29 luglio, l’utilizzo dei metodi e degli strumenti elettronici specifici sarà facoltativo per le nuove opere e per interventi di recupero, riqualificazione o varianti.
I contenuti del decreto BIM
Scatterà tra poco più di un anno l'obbligo di progettare le grandi opere pubbliche con le procedure digitali del Building information modeling (Bim). Dal 2019 le stazioni appaltanti dovranno prevedere l'utilizzo del Bim per tutti i «lavori complessi» di importo superiore a cento milioni. Mentre negli anni successivi, fino al 2025, l'obbligo verrà via via esteso alle costruzioni di importo minore. Dice questo la versione finale del decreto sulla digitalizzazione negli appalti pubblici che il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, ha appena firmato e che è stato pubblicato con decreto n. 560 del 12 gennaio 2017. Il testo sarà così in vigore dal prossimo 29 gennaio.
Il Bim è la nuova tecnologia che consente di progettare le opere in maniera tridimensionale, aumentando di molto rispetto al tradizionale progetto le informazioni disponibili, ad esempio sulle quantità di materiali e i relativi costi. Anticipando, così, già in sede di progetto gli effetti del cantiere.
Il provvedimento, nella sua versione finale, ricalca per molte parti quello messo in consultazione l'estate scorsa dal Mit e redatto dalla commissione guidata dal provveditore alle opere pubbliche di Lombardia ed Emilia Romagna, Pietro Baratono. Quindi gli obblighi partiranno dai «lavori complessi». Tra questi, il decreto individua quelli «caratterizzati da elevato contenuto tecnologico o da una significativa interconnessione degli aspetti architettonici, strutturali e tecnologici». Per questo tipo di opere, quando sarà sfondata la soglia dei 100 milioni di euro, il Bim diventerà obbligatorio già a partire dal primo gennaio 2019. Si passerà poi, dal primo gennaio 2020, alle opere di importo superiore ai 50 milioni. Dal 2021 l'obbligo riguarderà le opere oltre i 15 milioni. E così via, fino al 2025, quando saranno coinvolte dall'obbligo anche le opere sotto il milione. Scompare, invece, ogni riferimento alle norme Uni, oggetto di molte polemiche in fase di redazione del testo. Una parte importante del decreto riguarderà la formazione delle stazioni appaltanti: queste dovranno varare un piano di aggiornamento del personale e mettere a punto un programma di acquisto e manutenzione di strumenti hardware e software. Questo provvedimento rappresenta uno dei tasselli chiave dell'attuazione del Codice che, per il resto – va ricordato – è ancora a metà del guado.
Il parere sui testi definitivi (che recepiscono le modifiche chieste da comuni e regioni) dovrà arrivare entro il 29 gennaio
Si avvicinano all’approvazione definitiva due provvedimenti del ministero delle Infrastrutture di attuazione del codice appalti: il decreto riguardante le attività di direzione lavori e quello sulla regolamentazione del debat public su (alcune) opere pubbliche. Sui testi le Camere dovranno esprimere il parere entro il prossimo 29 gennaio.
Qui e qui sono disponibili i testi e le relazioni illustrative dei provvedimenti trasmessi per il parere alla Commissione Ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera.
Di seguito una breve sintesi dei contenuti.
Débat public
Il dibattito pubblico sarà obbligatorio prima di decidere la realizzazione di infrastrutture a rete da 500 milioni di euro in su e sulle infrastrutture puntuali da 300 milioni di euro in su. È però prevista anche la possibilità di svolgere il dibattito su opere per una soglia di importo ridotto di un terzo rispetto ai valori prima indicati. In questo caso la richiesta può arrivare dai seguenti soggetti: Presidenza del consiglio dei ministri o dai ministeri direttamente interessati alla realizzazione dell'opera; un consiglio regionale o una provincia o una città metropolitana o un comune capoluogo di provincia territorialmente interessati dall'intervento; uno o più consigli comunali o di unioni di comuni territorialmente interessati dall'intervento (se complessivamente rappresentativi di almeno 100mila abitanti); almeno 50mila cittadini elettori nei territori in cui è previsto l'intervento; almeno un terzo dei cittadini elettori per gli interventi che interessano le isole con non più di 100mila abitanti e per il territorio di comuni di montagna.
Come anticipato sono state escluse dal perimetro del regolamento le «infrastrutture energetiche, qualificabili come opere private di interesse pubblico» che non richiedono il parere del Mise e anche acciaierie e impianti chimici con capacità produttiva superiore a 500 Gg/uomo.
Direzione lavori
Il decreto sulla direzione lavori - o per meglio dire sulle «linee guida concernenti le modalità di svolgimento delle funzioni del direttore dei lavori e del direttore dell'esecuzione dei contratti relativi a servizi o forniture» - approda in parlamento con diverse modifiche e aggiustamenti rispetto alla versione che è uscita dalla conferenza unificata del 6 dicembre scorso, dopo un mese abbondante di intenso confronto tecnico. Il testo recepisce, con l'ok dell'Anac, alcune delle numerose richieste di modifica presentate da regioni e comuni.
Uno degli aspetti sui quali si è più lavorato e discusso è quello delle varianti in corso d'opera.
La novità da segnalare - intervenuta proprio in sede di conferenza unificata - è lo stralcio di uno dei casi di variante. Il testo eliminato prevedeva che la perizia di variante fosse accompagnata da un atto aggiuntivo al contratto principale; che il Rup comunicasse all'impresa di dichiarare l’intenzione o meno di accettare la prosecuzione dei lavori e a quali condizioni; la tacita accettazione dell'impresa a proseguire i lavori a condizioni economiche invariate in caso di assenza di risposta; la tacita accettazione della Pa alle condizioni dell'impresa in caso di assenza di risposta.
«In accoglimento di una proposta emendativa formulata come raccomandazione dalle Regioni - si legge nella relazione di accompagnamento al decreto - tale disposizione è stata stralciata, in quanto, come ragionevolmente sostenuto dalle Regioni stesse, non essendo possibile un aumento della prestazione oltre il "quinto d'obbligo", potrebbe ingenerarsi il rischio di confusione con il caso della variante, per il quale si applica l'articolo 106 del codice e i commi l e 2 del presente articolo che richiamano puntualmente tale disposizione».
Da parte sua, il Dag di Palazzo Chigi ha rilevato «che sarebbe opportuno un approfondimento ulteriore sulla disciplina vigente in materia di varianti al di sopra del "quinto d'obbligo" e sulle eventuali conseguenze derivanti dalla mancanza di specifiche previsioni normative».
Il parere dell’antitrust sul rilascio delle garanzie fideiussorie
Con un parere pubblicato sul Bollettino n. 1 del 15 gennaio 2018, l'Antitrust risponde alla richiesta formulata dalla Provincia di Parma in merito all’applicazione della disciplina dettata dal d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50 – nuovo Codice dei contratti - in ordine al rilascio di garanzie fideiussorie nelle procedure di gara per l’affidamento di contratti pubblici.
In via preliminare l'Autorità osserva di aver già avuto modo di precisare che “il bando di gara non può contenere disposizioni volte ad escludere le imprese bancarie, le imprese assicurative o gli intermediari finanziari iscritti nell’albo di cui all’art. 106 TUB (si tratta delle categorie di imprese che l’art. 93, comma 3, del Codice dei contratti pubblici annovera tra quelle che possono rilasciare garanzie fideiussorie ai partecipanti alle procedure di gara ad evidenza pubblica per l’affidamento di concessioni e contratti pubblici) dal novero dei soggetti ammessi a prestare le garanzie fideiussorie necessarie per la presentazione delle offerte. Una tale limitazione, infatti, comporterebbe una distorsione delle dinamiche concorrenziali nella fornitura delle garanzie fideiussorie e restringerebbe in maniera ingiustificata l’accesso a tale servizio finanziario da parte dei partecipanti alla gara”. L’Agcm precisa inoltre che “il bando di gara non può contenere disposizioni che impediscano alle imprese bancarie, assicurative e agli intermediari finanziari che operano in Italia in regime di libera prestazione di servizi di rilasciare garanzie fideiussorie. Infatti, l’esclusione di tali imprese comporterebbe un’ingiustificata restrizione della concorrenza e, per il suo carattere discriminatorio per ragioni di nazionalità, costituirebbe una violazione del diritto comunitario”.
Per quanto riguarda la posizione delle imprese extracomunitarie, l'Autorità osserva che “in assenza di una specifica normativa comunitaria (art. 56, comma 2, del TFUE), tali imprese non possono operare in regime di libera prestazione dei servizi. L’Autorità, tuttavia, osserva che gli enti aggiudicatori e le stazioni appaltanti non possono in via generale escludere che le offerte siano corredate da garanzie fideiussorie rilasciate da imprese extracomunitarie, in quanto tali imprese possono essere autorizzate ad operare nel mercato italiano nel rispetto di quanto previsto dalla legislazione settoriale e dalla regolazione di vigilanza in materia bancaria, assicurativa e di intermediazione finanziaria. Nel bando di gara, pertanto, non può prevedersi l’esclusione delle imprese extracomunitarie autorizzate, in quanto ciò risulterebbe restrittivo della concorrenza, nonché ingiustificatamente discriminatorio”.
L’Antitrust, infine, ritiene che “le stazioni appaltanti o gli enti aggiudicatori possono acquisire elementi utili a valutare la solvibilità e l’affidabilità delle imprese extracomunitarie, dalle disposizioni normative e regolatorie che fissano i requisiti per il rilascio delle autorizzazioni settoriali, nonché dal titolo autorizzatorio e dalle informazioni reperibili direttamente presso le competenti Autorità di vigilanza”. (casaeclima.com)
Qui il bollettino dell'Antitrust.
I chiarimenti del Ministero dell’Ambiente sui CAM
Il 7 novembre 2017 è entrato in vigore il decreto 11 ottobre 2017 del Ministero dell'ambiente recante “ Criteri ambientali minimi per l'affidamento di servizi di progettazione e lavori per la nuova costruzione, ristrutturazione e manutenzione di edifici pubblici”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.259 del 6 novembre 2017. In proposito il Ministero dell'ambiente ha pubblicato sul suo sito i chiarimenti - versione del 15 dicembre 2017 - sui Criteri ambientali minimi per l’edilizia adottati con DM 11 ottobre 2017.
PROFESSIONISTI
L’attuazione dell’equo compenso
Il Ministro della giustizia ha trasmesso alla Camera dei deputati il provvedimento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense ai fini del parere della Commissione Giustizia, che dovrà esprimersi entro il 16 marzo 2018.
Il decreto rappresenta la prima attuazione del principio dell’equo compenso, introdotto con il dl 148/2017 e modificato dalla legge di bilancio 2018 e riguarda unicamente le prestazione rese nell’esercizio della professione forense. Per quanto riguarda le altre professioni, occorrerà, dunque, attendere l’emanazione degli ulteriori decreti del Ministero della Giustizia di concerto con i ministri competenti.