Rubrica di aggiornamento legislativo e giurisprudenziale, n. 2 maggio 2017
Cons. Stato, Sez. VI, 8/5/17, n. 2098: i servizi attinenti l’architettura e l’ingegneria e l’omessa indicazione dei costi per la sicurezza.
Con la segnalata sentenza, il Consiglio di Stato ha affermato che “l'indicazione di oneri interni per la sicurezza pari a zero in un caso di appalto di servizio di ordine intellettuale analogo al presente non comporta di per sé l'esclusione della concorrente per motivi di ordine formale, ed in particolare per violazione dell’art. 87, comma 4 del d.lgs. n. 163/2006 e del bando di gara conforme alla norma, dovendosi piuttosto valutare in concreto se tale dichiarazione sia congrua”.
Secondo il principio espresso dai Giudici di Palazzo Spada, negli appalti di servizi aventi ad oggetto prestazioni di natura intellettuale, la mancata indicazione dei costi per la sicurezza non può rappresentare motivo di esclusione, dovendo l’amministrazione aggiudicatrice previamente valutare la congruità dell’offerta economica presentata dall’operatore economico.
Negli ultimi tempi, la giurisprudenza si è occupata della questione relativa all’indicazione degli oneri di sicurezza, da parte dei concorrenti ad una procedura ad evidenza pubblica. A questo riguardo, sono note le pronunce dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nn. 3 e 9 del 2015 e quella della Corte di Giustizia Europea, del 27 giugno 2016, in C-27/15, chiamata ad esprimersi sul tema. La Corte di Giustizia, in particolare, ha precisato che “E’ illegittima l’esclusione dell’impresa che non abbia indicato nella propria offerta economica gli oneri della sicurezza aziendale, ove la stessa non sia stata invitata dalla stazione appaltante a regolarizzare l’offerta, nel doveroso esercizio dei poteri del soccorso istruttorio al cospetto dalla loro mancata predeterminazione negli atti di gara”.
Nonostante le superiori affermazioni di principio, il dibattito risulta ancora aperto. Invero, nello scenario appena descritto, i servizi di natura intellettuale, soprattutto a seguito delle modifiche introdotte dal d. lgs.vo n. 50/16, si vanno sempre più differenziando dagli altri servizi disciplinati dal Codice.
Considerando il dato giurisprudenziale, sono ancora in via di definizione le fattispecie in cui l’indicazione dei costi di sicurezza non troverebbe attuazione. Con specifico riferimento ai servizi di architettura e ingegneria, certamente rientranti fra quelli di ordine intellettuale, possono scorgersi due diverse posizioni.
Per una parte della giurisprudenza, la natura intellettuale dei riferiti servizi non assumerebbe rilievo autonomo e, dunque, non sarebbe, da sola, sufficiente ai fini della non applicazione dell’obbligo di indicazione degli oneri per la sicurezza ex art. 95, co. 10, d. lgs.vo n. 50/16. In svariati casi, infatti, la legge di gara richiede ai medesimi professionisti l’espletamento di accertamenti tecnici, come sopralluoghi e rilievi sul campo, i quali, come si è osservato, implicherebbero “l’esposizione del personale incaricato a rischi specifici connessi a tale attività” (Tar Veneto, Sez. I, 21/2/17, n. 182; e multis: Cons. Stato, Sez. VI, 13/7/16, n. 3139).
Per tale ragione, nonché alla luce della norma appena richiamata, lo stesso indirizzo giurisprudenziale ha evidenziato che “è del tutto irrilevante che né la lex specialis di gara (bando e disciplinare), né il modello di offerta economica predisposto dalla stazione appaltante avessero previsto la dichiarazione separata di tali oneri, discendendo direttamente ed inequivocabilmente dalla legge l’obbligo (rectius, l’onere) di effettuare la dichiarazione stessa: il ché – occorre aggiungere – è proprio il quid novi contenuto nella disciplina dettata sul punto dall’art. 95, comma 10 cit., che ha inteso porre fine, una volta e per tutte, ai ben noti contrasti insorti nel preesistente assetto normativo”. Su tali considerazioni, la giurisprudenza ha inteso l’indicazione degli oneri di sicurezza un elemento essenziale dell’offerta economica, escludendo che “detta omissione fosse sanabile tramite il cd. soccorso istruttorio ex art. 83, comma 9, del d.lgs. n. 50/2016”.
Di diverso avviso è, invece, quell’altro orientamento che considera decisiva la natura intellettuale dei servizi di architettura e ingegneria: “il Collegio intende, altresì, dare continuità all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale – ciò è dirimente – negli appalti di natura intellettuale, quale è pacificamente quello che forma oggetto della presente contestazione (T.A.R. Liguria, 1 novembre 2014, n. 1690), non occorra indicare i predetti oneri, poiché le attività da svolgersi non sono caratterizzati da profili di interesse in tema di sicurezza” (Tar Valle d’Aosta, 9/9/16, n. 40; e multis: Tar Campania, Sez. V, 2/9/16, n. 4150). La disciplina di riferimento, invero, dovrebbe interpretarsi in chiave costituzionale, con ciò prendendo a riferimento unicamente l’oggetto delle prestazioni richieste dalla legge di gara.
In tal modo operando, per i servizi intellettuali, nel cui ambito il rischio cd. specifico o aziendale ha minore possibilità di incidenza, risulterebbe non applicabile ai partecipanti l’obbligo, a pena di esclusione, di indicare già in sede di offerta gli oneri per la sicurezza, trattandosi di elementi che andrebbero specificati e verificati ai soli fini del giudizio di anomalia dell’offerta economica.
In altri termini, rispetto a tali servizi, l’indicazione degli oneri di sicurezza non costituirebbe un elemento essenziale dell’offerta, ma rileverebbe soltanto in una fase successiva, concernente la valutazione di congruità della medesima offerta. Tale interpretazione sarebbe confermata proprio da quanto espresso dalla Corte di Giustizia Europea (27 giugno 2016, in C-27/15): “il principio di parità e di trattamento e l’obbligo di trasparenza devono essere interpretati nel senso che ostano all’esclusione di un operatore economico da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico in seguito al mancato rispetto, da parte di tale operatore, di un obbligo che non risulta espressamente dai documenti relativi a tale procedura o dal diritto vigente, bensì da un’interpretazione di tale diritto e di tali documenti nonché dal meccanismo diretto a colmare, con un intervento delle autorità o dei giudici amministrativi nazionali, le lacune presenti in tali documenti. In tali circostanze, i principi di parità di trattamento e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che on ostano al fatto di consentire all’operatore economico di regolarizzare la propria posizione e dei adempiere tale obbligo entro un termine fissato dall’amministrazione aggiudicatrice”.
Avv. Riccardo Rotigliano
Cass. civ., Sez. Lav., 8/5/17, n. 11161: sussiste l’obbligo di iscrizione a Inarcassa anche in relazione alle prestazioni che presentano un “nesso” con l’attività professionale strettamente intesa.
Sussiste l’obbligo contributivo, in favore di Inarcassa, in capo all’ingegnere che, pur non svolgendo, in tutto o in parte, le attività tipiche della professione, espleti comunque incarichi che richiedono la competenza proprie dell’ingegnere. Ciò è quanto recentemente affermato dalla Suprema Corte, con particolare riferimento alle attività peritali svolte da un ingegnere, in materia di infortunistica stradale.
Secondo un risalente orientamento giurisprudenziale, l’obbligo di iscrizione alla Cassa e il conseguente versamento dei contributi ex art. 2, L. n. 6/81 richiedono l’effettivo svolgimento della pratica professionale e delle attività tipiche della professione, non potendosi ritenere sufficiente l’espletamento di incarichi solo potenzialmente ed intellettualmente collegati alle conoscenze e alle competenze dell’ingegnere. L’onere di provare l’effettiva riconducibilità delle attività svolte all’esercizio della professione, infatti, rimarrebbe posto totalmente a carico della Cassa (cfr. Cass. civ. n. 7389/91; Cass. civ. n. 3064/01; Cass. civ. n. 11154/04; Cass. civ. n. 3468/05).
“In particolare si riteneva che la L. 3 gennaio 1981, n. 6, art. 21, ponesse l’obbligo di iscrizione solo per quegli ingegneri ed architetti che esercitassero la libera professione con carattere di continuità e, quindi di effettività, in relazione ai contenuti tipici della stessa, fissati dalla L. 24 giugno 1923, n. 1395, art. 7 e del R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537, artt. 51 e 52, restando irrilevante il fatto che la competenza professionale e culturale acquisita come ingegnere potesse influire sull’attività in concreto svolta (cfr. Cass. ord. 26/01/2012 n. 1139 cfr. in tal senso anche Cass. 12/05/2010 n. 11472)”.
Richiamando un diverso e più recente indirizzo, la Suprema Corte ha invece evidenziato “proprio con riguardo alla Cassa ingegneri ed architetti, che "l'imponibile contributivo va determinato alla stregua dell'oggettiva riconducibilità alla professione dell'attività concreta, ancorché questa non sia riservata per legge alla professione medesima, rilevando che le cognizioni tecniche di cui dispone il professionista influiscono sull'esercizio dell'attività" sottolineando che "la limitazione dell'imponibile contributivo ai soli redditi da attività professionali tipiche non trova fondamento nella L. n. 1395 del 1923, art. 7 e nel R.D. n. 2537 del 1925, artt. 51, 52 e 53, che riguardano soltanto la ripartizione di competenze tra ingegneri e architetti, mentre della L. n. 6 del 1981, art. 21, stabilisce unicamente che l'iscrizione alla Cassa è obbligatoria per tutti gli ingegneri e gli architetti che esercitano la libera professione con carattere di continuità" (cfr. Cass. 29/08/2012 n. 14684 e 15/04/2013 n. 9076)”.
In breve, secondo l’affermazione della Corte, nel concetto di imponibile retributivo devono ricomprendersi oltre alle prestazioni tipicamente professionali (ossia delle attività riservate agli iscritti negli appositi albi), anche quelle attigue, per ragioni di affinità, a quelle libero -professionali strettamente intese, rimanendone escluse solamente quelle che con queste non hanno nulla in comune.
Dott.ssa Cristina A. Gagliano