Rubrica di aggiornamento legislativo e giurisprudenziale n. 2 del 17 agosto 2015
Cassazione penale, 16 dicembre 2014, n. 3579: realizzazione di un piazzale mediante utilizzo di materiale proveniente dal fondale di un lago.
Con sentenza 16.12.2014 n. 3579 la Cassazione affronta una vicenda inerente la realizzazione di un piazzale mediante materiale proveniente dal fondale del lago d’Iseo e della foce del fiume Oglio (materiale qualificato dalla Corte territoriale quale rifiuto) senza le necessarie autorizzazioni edilizia, paesaggistica ed ambientale.
Secondo la tesi sostenuta dalla difesa nel ricorso proposto il materiale impiegato, proveniente dal lago d’Iseo, veniva adeguatamente vagliato e solo una piccola percentuale dei residui di materiali differenti da quello litoide era impiegato per la predisposizione del piazzale.
La Corte d’appello pur aderendo alla tesi dell’idoneità delle operazioni di separazione compiute evidenziava che la parte di scarti impiegati era risultata ben superiore rispetto a quella asserita dalla difesa.
La Suprema Corte giunge quindi in primo luogo a confermare la sussistenza della contravvenzione di cui all’art. 256 c. 1 lett. a) d.lgs. 152/2006 con riferimento allo stoccaggio, presso l’area aziendale, del materiale litoide per la realizzazione del piazzale.
Questa la motivazione:
- il materiale recuperato dal fondo del lago presentava anche elementi di natura differente da quello litoide;
- la natura di tali avanzi era differente (legno, lattine e bottiglie) da quella indicata nell’art. 1 ult. capoverso del d.m. 161/2012 in cui vengono elencati i materiali che possono essere presenti nelle terre da scavo (calcestruzzo, bentonite, pvc, vetroresina, miscele cementizie e additivi per scavo meccanizzato);
- il quantitativo del materiale residuo risultava superiore rispetto alla percentuale consentita dalla legge.
Afferma inoltre la Corte che, diversamente da quanto prospettato dalla difesa, i fatti oggetto di contestazione integrano il reato di cui all’art. 44 d.p.r. 380/2001 tenuto conto che, di fatto, era stata realizzata una nuova opera e non già, come ritenuto dalla difesa, una mera copertura di alcuni avvallamenti. Ribadisce quindi la Cassazione che anche opere di “scavo, di sbancamento e di livellamento del terreno” necessitano del titolo abilitativo se non finalizzate ad apportare migliore a terreni agricoli. Stante la finalità industriale della realizzazione del piazzale gli interventi eseguiti necessitavano quindi nel caso di specie dell’autorizzazione edilizia.
avv. Marina Zalin marina.zalin@buttiandpartners.com www.buttiandpartners.comCassazione penale, 19 marzo 2015, n. 657: realizzazione di un chiosco bar in assenza di autorizzazione paesaggistica
Con sentenza del 19.3.2015 n. 657 la Cassazione ha accolto il ricorso proposto dal Pubblico Ministero avverso l’ordinanza del tribunale del riesame con il quale era stata accolta l’istanza della difesa volta all’annullamento del sequestro preventivo di un chiosco bar per essere stato lo stesso realizzato in assenza dell’autorizzazione in materia paesaggistica.
Secondo il Tribunale della libertà la struttura non necessitava di autorizzazione paesaggistica in quanto manufatto agevolmente rimovibile e destinato ad essere impiegata per un tempo inferiore a 120 giorni. La pronuncia si basava su quanto previsto dall’art. 1 dpr 139/2010 e dall’all. 1 allo stesso decreto secondo cui, in relazione ad interventi lievi allorché si tratti di strutture mobili quali chioschi occupanti un’area per più di 120 giorni, sarebbe necessaria unicamente l’autorizzazione paesaggistica semplificata.
La Corte annulla l’ordinanza impugnata evidenziando come, nonostante il dato letterale della norma possa sembrare quello indicato dal tribunale del riesame, l’interpretazione della stessa non è corretta.
L’art. 1 dpr 139/2010 così prevede “Sono assoggettati a procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 146, comma 9, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, recante il Codice dei beni culturali e del paesaggio, di seguito denominato «Codice», gli interventi di lieve entità, da realizzarsi su aree o immobili sottoposti alle norme di tutela della parte III del Codice, sempre che comportino un'alterazione dei luoghi o dell'aspetto esteriore degli edifici, indicati nell'elenco di cui all'allegato I che forma parte integrante del presente regolamento.” Il punto 38 dell’all. 1 al decreto a sua volta così prevede “occupazione temporanea di suolo privato, pubblico, o di uso pubblico, con strutture mobili, chioschi e simili, per un periodo superiore a 120 giorni”.
L’interpretazione letterale della norma potrebbe così sintetizzarsi: strutture amovibili da utilizzarsi per più di 120 giorni necessitano di autorizzazione in forma semplificata, se invece l’impiego non supera tale durata non risulta necessaria alcuna autorizzazione paesaggistica.
La Corte invece chiarisce:
- che solo l’art. 149 d.lgs. 42/2004 elenca le ipotesi in cui non è necessaria l’autorizzazione paesaggistica, ipotesi tra cui non rientra la realizzazione di strutture amovibili e temporanee.
- il d.p.r. 139/2010, quale fonte di rango secondario rispetto al d.lgs. 42/2004, non può estendere i casi in cui eventuali opere realizzate in aree tutelate paesaggisticamente possono essere realizzate senza un assenso dell’ente preposto al vincolo; a tale decretoil d.lgs. 42/2004 rinviava solo per l’individuazione delle ipotesi sottoposte a mera autorizzazione semplificata.
Ne consegue secondo la Corte:
- che le ipotesi non previste dall’art. 149 o dal dpr 139/10, che prevede i casi in cui sarebbe richiesta l’autorizzazione semplificata, sono soggette ad autorizzazione ordinaria;
- la lettura della norma indurrebbe a giungere a conclusione irragionevole ossia che le strutture amovibili destinate ad essere impiegate per più di 120 giorni sarebbero sottoposte a autorizzazione semplificata (così come previsto dal punto 38 all. 1 dpr 139/2010) mentre quelle con termine inferiore di impiego necessiterebbero di autorizzazione ordinaria;
- si è quindi ipotizzato che la norma sia stata formulata in modo errato e che ciò che il legislatore intendeva era che necessitavano unicamente di autorizzazione semplificata e non ordinaria le occupazioni temporanee con chioschi della durata “non” superiore a 120 giorni e non quindi con durata superiore a 120 giorni. Gli altri punti dell’allegato infatti pongono tutti un limite massimo non superato il quale si può ricorrere alla procedura semplificata;
- d’altronde la parte precettiva del punto 38 all. 1 dpr 139/2010 prevede che si possa ricorrere ad autorizzazione paesaggistica semplificata in caso di “occupazione temporanea”; è evidente quindi che il legislatore intendeva fissare il limite superato il quale di occupazione temporanea non si potesse più parlare tornando quindi al regime autorizzativo ordinario.
Nell’annullare l’ordinanza impugnata la Cassazione fa comunque una importante puntualizzazione: dal privato cittadino non può pretendersi un’interpretazione corretta della norma laddove la stessa risulta oggettivamente equivoca. Ribadisce quindi il compito del tribunale del riesame di verificare la sussistenza o meno dell’elemento soggettivo del reato da escludersi qualora l’indagato abbia agito in buona fede da imputarsi alla formulazione della legge.
avv. Marina Zalin marina.zalin@buttiandpartners.com www.buttiandpartners.comLEGGE 7 agosto 2015, n. 124: Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche
È stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 13 agosto scorso la c.d. legge o riforma Madia (l. n. 124/15), contenente numerose deleghe al Governo in materia di funzionamento ed organizzazione della pubblica amministrazione.
Delle deleghe ci si occuperà a suo tempo, per commentare il modo con il quale saranno state esercitate dal Governo. Per il momento, esse non modificano l’ordinamento giuridico, proprio perché tale effetto sarà proprio solo dei decreti delegati (o del regolamento di delegificazione, come per la semplificazione e l’accelerazione dei procedimenti amministrativi, art. 4).
Sono di immediata efficacia (dal 28 agosto p.v.), invece, le norme dell’art. 3, che ha introdotto un nuovo (ennesimo) articolo alla legge sul procedimento amministrativo (l. n. 241/90). Questo il testo: «Art. 17-bis (Silenzio assenso tra amministrazioni pubbliche e tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici). – 1. Nei casi in cui è prevista l’acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni pubbliche e di gestori di beni o servizi pubblici, per l’adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di altre amministrazioni pubbliche, le amministrazioni o i gestori competenti comunicano il proprio assenso, concerto o nulla osta entro trenta giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento, corredato della relativa documentazione, da parte dell’amministrazione procedente. Il termine è interrotto qualora l’amministrazione o il gestore che deve rendere il proprio assenso, concerto o nulla osta rappresenti esigenze istruttorie o richieste di modifica, motivate e formulate in modo puntuale nel termine stesso. In tal caso, l’assenso, il concerto o il nulla osta è reso nei successivi trenta giorni dalla ricezione degli elementi istruttori o dello schema di provvedimento; non sono ammesse ulteriori interruzioni di termini. 2. Decorsi i termini di cui al comma 1 senza che sia stato comunicato l’assenso, il concerto o il nulla osta, lo stesso si intende acquisito. In caso di mancato accordo tra le amministrazioni statali coinvolte nei procedimenti di cui al comma 1, il Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, decide sulle modifiche da apportare allo schema di provvedimento. 3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano anche ai casi in cui è prevista l’acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini, per l’adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di amministrazioni pubbliche. In tali casi, ove disposizioni di legge o i provvedimenti di cui all’articolo 2 non prevedano un termine diverso, il termine entro il quale le amministrazioni competenti comunicano il proprio assenso, concerto o nulla osta è di novanta giorni dal ricevimento della richiesta da parte dell’amministrazione procedente. Decorsi i suddetti termini senza che sia stato comunicato l’assenso, il concerto o il nulla osta, lo stesso si intende acquisito. 4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano nei casi in cui disposizioni del diritto dell’Unione europea richiedano l’adozione di provvedimenti espressi”.
La novella completa, rafforzandolo, il complesso sistema normativo volto a “sterilizzare” i potenziali effetti pregiudizievoli sul cittadino dell’inerzia dell’amministrazione.
Ed infatti:
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nei procedimenti ad istanza di parte il silenzio dell’amministrazione procedente protratto oltre il termine per la conclusione del procedimento equivale ad assenso (art. 20 l. n. 241 cit.), salvo che nell’ambito dei c.d. interessi sensibili (patrimonio culturale e paesaggistico, salute, sicurezza pubblica, etc.);
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l’amministrazione invitata ad una conferenza di servizi decisori ha l’onere di esprimere con un rappresentante qualificato la propria volontà. Se, ritualmente invitata, non si presenta, la sua assenza equivale ad assenso, ancorché preposta alla tutela di un interesse sensibile (art. 14 ter, co. 7, l. cit.).
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se il parere (obbligatorio o facoltativo) non è reso entro il termine di 20 giorni o quello stabilito dalla stessa amministrazione procedente, quest’ultima può procedere anche in sua assenza (art. 16 l. cit.). Anche in questo caso, sono esclusi dall’ambito di applicazione della norma le amministrazioni preposte alla tutela dei c.d. interessi sensibili.
L’art. 17 bis disciplina una fattispecie intermedia a quelle appena descritte. Esso, infatti, si fa carico dell’ipotesi in cui il silenzio non riguardi un atto consultivo (parere), e tuttavia non sia nemmeno riferibile all’amministrazione procedente. Si tratta di quelle ipotesi che vanno sotto il nome di atto complesso (si pensi, ad esempio, ad un decreto interministeriale), nel quale, cioè, confluiscono le volontà di due o più amministrazioni. In caso di dissenso, è previsto un meccanismo devolutivo (sul modello di quanto previsto nell’ambito della conferenza di servizi per il caso che il motivato dissenso vanga espresso da un’amministrazione preposta alla tutela di uno dei c.d. interessi sensibili), in forza del quale la decisione finale è assunta dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
Per questa parte, la legge n. 124/15 è da salutare con favore, perché contribuisce ulteriormente a depotenziare il potere di veto che, sol proprio puro e semplice silenzio, ha spesso, anche involontariamente frapposto l’amministrazione, persino nell’ambito di procedimenti volti all’adozione di atti normativi (regolamento).
avv. Riccardo Rotigliano rrotigliano@scozzarirotigliano.com www.scozzarirotigliano.com