Rubrica di aggiornamento legislativo e giurisprudenziale n. 1/settembre 2017
Il Ddl concorrenza ha introdotto il preventivo obbligatorio per i professionisti
La legge annuale per la concorrenza e l’apertura dei mercati, prevista dall’art. 47 della legge n. 99/2009, e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 14 agosto (l. n. 124/2017), ha introdotto l’obbligo, a carico dei professionisti, di indicazione di una serie di elementi che fino ad adesso potevano essere concordati informalmente con la controparte.
In particolare, è previsto che la comunicazione obbligatoria dei professionisti – resa per iscritto o in forma digitale - renda edotti i clienti circa il grado di complessità dell'incarico, gli oneri ipotizzabili dal conferimento dello stesso alla sua conclusione, gli estremi della polizza assicurativa per i danni provocati nell'esercizio dell'attività professionale.
La stessa forma scritta (o digitale) dovrà avere anche il preventivo di massima del compenso della prestazione professionale. Il compenso andrà pattuito al momento del conferimento dell’incarico professionale ed essere adeguato all'importanza dell'opera, nonché inclusivo di tutte le voci di costo, “comprensive di spese, oneri e contributi”, relative ad ogni singola prestazione.
Inoltre, l’irrigidimento degli oneri formali che il professionista dovrà assolvere in sede di assunzione dell’incarico inciderà anche sui titoli professionali vantati. Infatti, i professionisti iscritti a ordini e collegi dovranno indicare e comunicare i titoli posseduti e le eventuali specializzazioni, al fine di assicurare la trasparenza delle informazioni nei confronti dell'utenza.
Sul punto infatti, la relazione di accompagnamento al provvedimento afferma che “la previsione dell'obbligo di comunicare titoli e specializzazioni innova rispetto a quanto sinora previsto tanto nel regolamento di riforma degli ordinamenti professionali quanto nella disciplina di specifiche professioni. Ad oggi, infatti, la comunicazione di titoli e specializzazioni costituisce una facoltà per il professionista e non un obbligo”.
Avv. Davide Ferrara
Intervento legislativo sui cambi di destinazione d’uso nei lavori di restauro e risanamento conservativo
Con legge n. 96/2017, di conversione del decreto legge n. 50/2017, è stato modificato l’art. 3, co. 1, lett. c) del Testo unico dell’edilizia (d.P.R. n. 380/2001), chiarendo che le opere di restauro e risanamento conservativo consentono anche i cambi di destinazione d’uso a due condizioni: a) il rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo edilizio; b) la conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici.
Tale intervento legislativo è stato urgentemente necessitato a seguito della sentenza n. 6873/2017, emanata dalla terza sezione della Corte di Cassazione penale, che aveva affermato il principio secondo cui il mutamento di destinazione d’uso di un immobile attuato con opere edilizie, anche se di modesta entità, va sempre considerato come intervento “pesante”, sottolineando “la imprescindibile necessità” di mantenere l’originaria destinazione d’uso, sia nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria, sia in seno alle opere qualificabili come semplice restauro e risanamento conservativo. Tale opzione interpretativa ribaltava la consolidata prassi formatasi in relazione alle definizioni contenute nel Testo unico dell’edilizia, secondo la quale - anche sulla base del testo previgente - gli interventi di risanamento conservativo ben avrebbero potuto comportare cambi d’uso purché compatibili con gli elementi caratterizzanti l’edificio.
Ciò avrebbe avuto conseguenze pratiche di non poco conto, in quanto tutti gli interventi edilizi non più riconducibili alla nozione di risanamento conservativo, avrebbero dovuto essere assoggettati al pagamento del contributo di costruzione; avrebbero inoltre necessitato del permesso di costruire o altro titolo abilitativo (Scia); l’impossibilità di eseguire gli interventi medesimi in molti centri storici, laddove gli strumenti urbanistici vigenti vietano la ristrutturazione edilizia “pesante”.
Con il suddetto intervento legislativo, il Parlamento ha specificato che gli interventi di risanamento possono comportare anche «il mutamento delle destinazioni d’uso» compatibile con i richiamati elementi e con gli strumenti urbanistici.
Tale mutamento legislativo è stato in qualche modo anticipato da una recente pronuncia del Tar Toscana (n. 1009/2017), secondo la quale “affinché un intervento edilizio possa essere qualificato come restauro e risanamento conservativo occorre che siano rispettati gli elementi tipologici, formali e strutturali dell'edificio senza modifiche all'identità, alla struttura e alla fisionomia dello stesso, essendo detto intervento diretto alla mera conservazione, mediante consolidamenti, ripristino o rinnovo degli elementi costitutivi, dell'organismo edilizio esistente, ed alla restituzione della sua funzionalità (Cons. Stato, IV, 30.09.2013, n. 4851; idem, V, 5.09.2014, n. 4523 e T.a.r. Lombardia - Brescia, 10 agosto 2002, n. 1145). A differenza, quindi, degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, che hanno finalità meramente conservative, e per i quali il mutamento di destinazione d’uso non è “compatibile”, le opere di restauro e risanamento sono preordinate alla realizzazione di un insieme sistematico di opere, qualificabili come necessarie in presenza di una pluralità di carenze strutturali e funzionali, che possono anche incidere anche sugli elementi costitutivi dell'edificio (Cons. Stato, IV, 31.07.2009, n. 4840). 3. Ciò premesso è evidente che seguire la tesi della Corte di Cassazione ha l’effetto di sottoporre ad una medesima disciplina fattispecie del tutto differenti, richiedendo il preventivo rilascio del permesso di costruire in assenza di un esame delle effettive caratteristiche dell’intervento. Ulteriore conseguenza sarebbe quella di precludere, a priori e sempre nella “zona A”, modifiche alla destinazione d’uso nell’eventualità (come nel caso di specie) in cui lo strumento urbanistico ritenga ammissibile solo interventi più circoscritti, diretti a conservare, senza modificare, le caratteristiche essenziali e volumetriche degli immobili esistenti”.
Dott. Giuseppe Acierno
Ddl concorrenza e società di ingegneria
La legge n. 124/2017 contiene una serie di importanti prescrizioni dettate in tema di società di ingegneria. Esse vengono innanzitutto equiparate a tutte le altre società fra professionisti, dovendo quindi stipulare una polizza di assicurazione per la copertura dei rischi derivanti dalla responsabilità civile conseguente allo svolgimento delle attività professionali verso la loro clientela, e dovendo inoltre offrire la garanzia che le attività professionali vengano effettivamente svolte da professionisti, nominativamente indicati, iscritti negli albi professionali.
Viene inoltre disposta una sanatoria per eventuali invalidità da cui siano affetti i contratti di incarico professionale in passato stipulati da queste società. Si tratta di una questione parecchio complicata, peraltro già trattata nei precedenti numeri di questa newsletter, a causa di una serie di leggi che si sono sovrapposte nel tempo in questa materia e sulla quale, tra l'altro, si è di recente pronunciata la Cassazione con la sentenza n. 7310 del 22 marzo 2017, nella quale è stato deciso che: solo a partire dal 2012, e cioè dall'entrata in vigore della legge 183/2011, è lecito che l'attività di progettazione di ingegneria civile, sia svolta, oltre che da ingegneri e architetti (individualmente o nella forma della studio associato), anche da una società tra professionisti (Stp) o da una “società di ingegneria”, anteriormente all'entrata in vigore della legge 183/2011, la società di ingegneria poteva sì effettuare attività di progettazione e direzione dei lavori, ma solo nell'ambito dei "lavori pubblici" e non in dipendenza di committenze private.
Per risolvere il problema, quindi, il comma 148 dell’art. 1 del ddl Concorrenza ha ricondotto all’entrata in vigore della legge n. 266 del 1997 la possibilità per gli ingegneri di svolgere la professione attraverso la costituzione di società di capitali (società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata) e società cooperative, facendo conseguentemente salvi, come una sorta di sanatoria, i rapporti contrattuali già intercorsi a partire da quella data.
Dott.ssa Cristina Gagliano