Rubrica di aggiornamento legislativo e giurisprudenziale n. 1 del 22 luglio 2015
Per consentire agli iscritti di essere sempre aggiornati sulle novità legislative e giurisprudenziali d’interesse, la Fondazione invia ai propri associati una nuova rubrica, curata dall’Avv. Riccardo Rotigliano e dall’associazione professionale Butti & Partners Avvocati e relativa alle principali novità di carattere giuridico-legale e normativo del settore. Gli ambiti oggetto di approfondimento saranno: edilizia, ingegneria e architettura, appalti e lavori pubblici, libera professione, fiscalità e mercato del lavoro.
I NUOVI REATI AMBIENTALI: Legge n. 68/2015
Il 29 maggio è entrata in vigore la legge n. 68/2015 che ha introdotto nel codice penale i cd. eco-reati, ovvero inquinamento ambientale, disastro ambientale, impedimento del controllo, omessa bonifica, traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività. Abbiamo, dunque, cinque nuovi delitti, con pene particolarmente severe. Abbiamo anche, però, criticità interpretative, giuridiche e tecniche, di non immediata soluzione. Prendiamo il delitto di inquinamento ambientale che punisce «chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili: 1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; 2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna». Già durante i lavori preparatori l’avverbio “abusivamente” aveva suscitato un forte dibattito; c’è chi sostiene che basterà avere un’autorizzazione per non commettere il reato e chi invece ritiene si debba andare oltre la mera esistenza di un titolo abilitativo (la Corte di Cassazione, intervenuta in passato sul reato di discarica abusiva, sembra confermare questa seconda interpretazione). Insidiosi sono anche gli aggettivi “esteso” e “significativo” riferiti alle porzioni del suolo o del sottosuolo. Se è corretto ritenere che l’estensione dovrà essere rapportata alla superficie o al volume (pur mancando un parametro di riferimento), è sicuramente più difficile definire il concetto di significatività. Per cogliere la volontà del legislatore dobbiamo, infatti, provare a immaginare in quali casi una piccola porzione di suolo possa dirsi significativa (il che non è semplice posto che tale caratteristica non va messa in relazione a vincoli o altri strumenti di tutela che sono espressamente presi in considerazione al comma 2 quali circostanze che aggravano la pena). Perplessità ulteriori sorgono in merito al disastro ambientale, intendendosi per tale alternativamente: «1) l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema; 2) l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali; 3) l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo». Il dato tecnico che ruota attorno alle locuzioni, che dovranno poggiare su solide basi scientifiche, assume rilevanza decisiva. Quando un’alterazione potrà dirsi irreversibile? L’onerosità andrà valutata rispetto alle disponibilità economiche del responsabile o di chi altro? In quali casi il provvedimento che consente di eliminare l’alterazione potrà dirsi eccezionale? Quando offrirà una soluzione innovativa mai applicata prima in Italia? Nel mondo? Fermo restando che per rendere più efficace l’effetto dissuasivo tipico della norma penale non bastano pene severe, ma servono norme chiare, va infine ricordato che la nuova legge ha introdotto (mutuandolo dalla sicurezza sul lavoro) un interessante meccanismo di estinzione agevolata delle contravvenzioni ambientali che «non hanno cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette». In questo caso il responsabile dovrà instaurare con ARPA un efficace ed immediato confronto sul piano strettamente tecnico avendo, infatti, l’Agenzia il compito di dettare le prescrizioni che, ove correttamente eseguite, porteranno all’estinzione del reato, ma soprattutto ad un miglioramento delle tecniche o delle tecnologie con le quali l’impresa interessata normalmente opera.
avv. Federico Peres
federico.peres@buttiandpartners.com
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Consiglio di Stato, Sez. III, 26/06/15, n. 3218: illegittimità di incarichi di progettazione e direzione lavori affidati a dipendenti della stessa amministrazione fuori dall’orario di servizio
Secondo il Consiglio di Stato, è legittima la delibera di una ASL, con la quale è stata annullata in autotutela una precedente delibera che aveva concesso ai propri dipendenti la possibilità di svolgere fuori dall’orario di servizio (sic) incarichi di progettazione e direzione lavori, remunerati in misura pari al 50% della tariffa professionale degli architetti e degli ingegneri. Infatti, la possibilità di affidare in house i servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria è disciplinata dalla Legge (art. 90 D. Lgs. n. 163/06 e, in relazione ai fatti di causa, art. 18 l. n. 109/94), che al riguardo prevede un diverso criterio di determinazione del corrispettivo, oggi pari al 2% degli importi posti a base di gara (v. art. 93, co. 7 bis, D. Lgs. n. 163/06, come introdotto dall’art. 13 bis D.L. n. 90/14). Inoltre, “la Sezione condivide appieno la ricostruzione che ha operato il T.A.R. circa la normativa che disciplina gli incarichi di cui trattasi, sottoposti a vincoli e limiti che si riferiscono allo svolgimento dell’attività di istituto nell’orario di lavoro e nella prestazione di lavoro extraordinario purché compatibile, autorizzato e remunerato nel rispetto della onnicomprensività per attività comunque riconducibili a compiti propri dell’ufficio”. Sul punto, va rammentato che ai sensi dell’art. 13 bis D.L. n. 90/14, l’incentivo non viene più riconosciuto al dirigente, stante il carattere di omnicomprensività del trattamento retributivo, e non può complessivamente superare il 50% del trattamento economico complessivo annuo goduto dal dipendente. Nemmeno il lungo lasso di tempo trascorso tra la prima delibera (quella che consentiva gli incarichi remunerati al 50% della tariffa professionale) e la seconda (quella che annullava in autotutela la prima), cioè oltre 6 anni, costituisce valida ragione per impedire la restituzione coattiva delle somme indebitamente percepite dai dipendenti, a nulla valendo la loro eventuale buona fede.
Corte Costituzionale, 15 luglio 2015, n. 154: è costituzionalmente illegittima l’attribuzione agli agrotecnici della competenza a redigere e sottoscrivere gli atti in materia catastale, ivi incluse le denunce di variazione catastale
Con norma di interpretazione autentica inserita in sede di conversione del d.l. n. 248/07 (art. 26, co. 7 ter), il legislatore ordinario aveva chiarito che l’art. 145, co. 96, l. n. 388/00, “si interpreta nel senso che gli atti ivi indicati possono essere redatti e sottoscritti anche dai soggetti in possesso del titolo di cui alla legge 6 giugno 1986, n. 251, e successive modificazioni”, ovvero dagli agrotecnici. Veniva così composto un contrasto giurisprudenziale insorto nel periodo 2003 – 2007 tra il Tar Lazio e il Consiglio di Stato. Mentre il Giudice di primo grado aveva aderito all’interpretazione poi fornita dal Legislatore, il Consiglio di Stato era fermo nell’escludere la competenza in materia catastale degli agrotecnici, limitandola agli ingegneri, architetti e geometri. Secondo il Giudice di appello, infatti, la redazione degli atti catastali presuppone una competenza professionale specifica non posseduta dalla categoria degli agrotecnici.
La Consulta ha ritenuto la norma di interpretazione autentica in contrasto con i limiti che incontra il Parlamento in sede di conversione di un decreto legge. In particolare, ha rilevato che l’attribuzione agli agrotecnici di una nuova competenza non ha nulla a che vedere con l’oggetto del decreto (“proroga di termini previsti da disposizioni legislative”).
A seguito della pronuncia del Giudice delle Leggi si pone una delicata questione, che attiene alla validità ed efficacia degli atti catastali nelle more compiuti dagli agrotecnici.
Tar Lombardia, Brescia, 14 maggio 2015, n. 724: il giovane professionista può partecipare al r.t.p. con una quota pari a zero
La Sezione staccate del Tar Lombardia interviene sull’onda di una recente sentenza del Consiglio di Stato (IV, 23 aprile 2015, n. 2048) per precisare la natura del ruolo assolto dal progettista junior nell’ambito del R.T.P. Come è noto, ai sensi dell’art. 253, co. 5, D.P.R. n. 207/10, i R.T.P. “devono prevedere quale progettista la presenza di almeno un professionista laureato abilitato da meno di cinque anni all’esercizio della professione secondo le norme dello Stato membro dell’Unione Europea di residenza”. Secondo le più recenti pronunce sopra citate, la ratio della norma (v. anche art. 90, co. 7, D. Lgs. n. 163/06) è quella di promuovere la crescita del giovane professionista, attraverso la partecipazione ed esecuzione anche a sua cura di incarichi ai quali, altrimenti, non potrebbe ambire, proprio a motivo della sua ancora scarsa esperienza (tanto scarsa da impedirgli persino di dimostrare, sia pure in quota parte, i requisiti di partecipazione di cui all’art. 263 del Regolamento).
Stando così le cose, si ritiene contraria a tale ratio un’interpretazione delle norme del Codice e del Regolamento di esecuzione tali da trattare il giovane professionista alla stessa stregua di qualsiasi altro componente del raggruppamento. In particolare, secondo il Consiglio di Stato egli non deve rendere nemmeno le dichiarazioni circa il possesso dei requisiti di ordine generale di cui all’art. 38 del Codice (specie le lett. b), c) ed m-ter), nonostante sia ormai (art. 253, co. 5) espressamente qualificato come “progettista”. Il Tar lombardo, ora, ritiene che non debba nemmeno possedere una percentuale minima dei requisiti di qualificazione richiesti dal bando e che, quindi, ben possa partecipare all’R.T.P. con una percentuale di partecipazione pari a… zero.
Pur potendo lasciare per certi versi perplessi, quanto meno sul piano della razionalità dell’interpretazione fornita (riesce difficile immaginare la partecipazione “senza quota” ad un raggruppamento), le due sentenze sono indice di un radicato favor del Giudice amministrativo per la massima partecipazione del giova professionista all’R.T.P., senza che il relativo obbligo imposto agli altri professionisti dall’art. 253, co. 7, cit. possa limitare la possibilità, anche per questi ultimi, di partecipare. Limitazione che si determinerebbe accedendo alla diversa tesi, per la quali il giovane professionista deve comunque potere dimostrare il possesso di una quota, anche minima, di requisiti di qualificazione.
avv. Riccardo Rotigliano
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