Rubrica di aggiornamento legislativo e giurisprudenziale maggio 2016
I rischi giuridici dell’ingegnere o architetto che si occupa in azienda di sicurezza e ambiente
L’ingegnere o architetto esperto ambientale o di sicurezza può trovarsi – come dipendente o come consulente – a gestire situazioni e processi aziendali caratterizzati da un elevato rischio giuridico. Può trattarsi del rischio di coinvolgimento dell’ingegnere o architetto in un procedimento penale e/o di una sua possibile responsabilità civile di natura risarcitoria.
Al fine di semplificare l’esposizione, distinguiamo tre possibili scenari nei quali questo tipo di rischi più frequentemente può venire in considerazione.
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Il primo scenario è forse il più conosciuto e il più temuto dai professionisti del settore. Si tratta del caso in cui il rischio derivi dalla formale assunzione – da parte dell’ingegnere o architetto - di una delega di funzioni per le materie dell’ambiente e/o della sicurezza. Sappiamo infatti che, nel caso (il più frequente) di imprese gestite da società di capitali, gli obblighi concernenti la salute e la sicurezza del lavoro, così come quelli riguardanti la tutela ambientale, gravano in via di principio su tutti i componenti del Consiglio di Amministrazione, i quali assumono pertanto tutti la qualifica di datore di lavoro (Cass. Pen., sez. IV, 10/06/2010 n. 38991, Cass. pen., sez. IV, 07/04/2010 n. 20052, Cass. pen., 11/12/2007 n. 6280, Cass. Pen., Sez. IV, 14/01/2003, n. 988; conforme Cass. Pen., sez. III, 01/04/2005, n. 12370). La situazione però è diversa quando viene conferita ad uno o più amministratori o a soggetti terzi al CdA (es: dirigenti o quadri aziendali) una delega di gestione per le materie della sicurezza e/o dell’ambiente. Questa delega, se specifica e comprensiva dei poteri decisionali e di spesa, trasferisce sul delegato gran parte dei rischi penali per eventuali reati ambientali e/o di sicurezza commessi nell’esercizio dell’impresa.
La delega di funzioni in materia di sicurezza sul lavoro e/o di ambiente deve essere conferita dal datore di lavoro ad un soggetto idoneo a svolgere tali funzioni ed al quale siano attribuiti congrui poteri decisionali e di spesa. La delega trasferisce dal delegante al delegato, insieme con determinate funzioni, anche le relative responsabilità. Dalla delega di funzioni va pertanto tenuto concettualmente distinto il cd. “incarico di mera esecuzione”, nel quale il soggetto obbligato rimane comunque quello originario.
Il principale obiettivo della delega è pertanto quello di liberare da responsabilità penale il delegante, nei limiti consentiti dall'ordinamento. A tal proposito è essenziale ricordare che:
- solo in presenza di delega idonea il delegante (nei limiti consentiti dall'ordinamento e dalla delega stessa) è esentato da responsabilità penale;
- in presenza di una delega non idonea, oltre al delegante, anche il delegato può comunque risultare penalmente responsabile, in applicazione dei principi sul concorso di persone nel reato.
Il d.lgs. 81/08 ha, per la prima volta, codificato nell’art. 16 i limiti e le condizioni di ammissibilità della delega di funzioni da parte del datore di lavoro. In particolare, essa, ove non espressamente esclusa dall’ordinamento (materie non delegabili di cui all’art. 17: valutazione dei rischi, documento sulla valutazione di rischi, nomina del RSPP), è ammessa con i seguenti limiti e condizioni:
a) che essa risulti da atto scritto recante data certa;
b) che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
c) che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
d) che essa attribuisca al delegato l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate (questo è il requisito più importante; l’autonomia decisionale e di spesa deve essere effettiva;
e) che la delega sia accettata per iscritto dal delegato;
f) che alla delega venga data adeguata e tempestiva pubblicità.
Requisiti analoghi vengono richiesti dalla giurisprudenza per la validità della delega di funzioni in materia ambientale.
I principali reati che potrebbero coinvolgere l’ingegnere o architetto destinatario di delega di funzioni nei settori della sicurezza e/o dell’ambiente sono:
- Per la sicurezza, i reati di omicidio colposo o lesioni colpose commessi con violazione delle norme antinfortunstiche;
- Per l’ambiente, le contravvenzioni in materia di autorizzazioni ambientali e di gestione dei rifiuti previste dal Testo Unico Ambientale (D. Lgs. n. 152/2006) e i nuovi delitti ambientali di Inquinamento ambientale e di Disastro ambientale introdotti dalla legge n. 68/2015.
Pertanto il professionista ingegnere o architetto che si veda prospettare il conferimento di una delega di funzioni in materia di sicurezza o ambiente deve essere consapevole che, particolarmente ove la delega gli conferisca una effettiva autonomia decisionale e di spesa, egli può diventare – in caso di incidente o inquinamento - l’unico ‘parafulmine’ contro il quale si concentrerà l’indagine dell’Autorità giudiziaria. Si tratta dunque di responsabilità da accettare solo dopo adeguata ponderazione, quando si ritiene di disporre di adeguata esperienza specifica e si viene investiti dall’azienda di effettivi poteri decisionali e di spesa nelle materie delegate.
Va comunque ricordato che la responsabilità penale del datore di lavoro delegante non può comunque escludersi quando:
a) per l’ambiente, il fatto sia riconducibile a cause strutturali dovute a scelte di direzione e/o di politica aziendale, poiché esse sono, in quanto tali, di competenza esclusiva o concorrente della direzione delegante;
b) per la sicurezza, si tratti di obblighi che (come già anticipato) non sono ex lege delegabili ad un soggetto diverso dal “datore di lavoro” come definito all’art. 2, comma 1, lettera b) D.lgs. 81/08 e segnatamente (art. 17 d.lgs. 81/08): valutazione dei rischi; designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
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In secondo luogo, sono in crescita i casi nei quali la giurisprudenza procede penalmente per reati connessi a ruoli professionali concernenti la sicurezza normalmente coperti da ingegneri o architetti.
Caso tipico è quello dell’ingegnere o architetto il quale – dopo aver conseguito la formazione specifica a tal fine necessaria – assuma uno dei seguenti ruoli previsti dal d. lgs. 81/2008:
- Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP);
- Coordinatore della Sicurezza per la Progettazione e/o per l’Esecuzione, nel caso di presenza di cantieri temporanei e mobili.
I menzionati ruoli professionali non comportano normalmente, di per sé, poteri decisionali e di spesa idonei ad impegnare l’azienda. Questi poteri, infatti, sono in capo al Consiglio di Amministrazione, al datore di lavoro o al soggetto investito di una valida delega di funzioni. Diversamente, ad esempio, il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione svolge in ambito aziendale un ruolo sostanziale di ‘staff’, avendo fra l’altro il compito di tenere aggiornato il datore di lavoro sugli adempimenti da adottare per garantire il rispetto delle norme di sicurezza in ambito aziendale. Considerazioni analoghe valgono per il ruolo dei Coordinatori per la Sicurezza.
Proprio per questa ragione, si era inizialmente ritenuto, da parte di alcuni, che RSPP e Coordinatori per la Sicurezza non potessero incorrere in rischi penali connessi allo svolgimento di questi ruoli.
La giurisprudenza penale non è tuttavia stata di questo avviso, ed ha al contrario affermato – quanto alla figura del RSPP – che “Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) non è titolare di alcuna posizione di garanzia rispetto all’osservanza della normativa antinfortunistica, lo stesso opera, piuttosto, quale “consulente” in tale materia del datore di lavoro. Quanto detto però non esclude che, indiscussa la responsabilità del datore di lavoro, che rimane persistentemente responsabile della posizione di garanzia, possa profilarsi lo spazio per una (concorrente) responsabilità del RSPP. Anche il RSPP, che pure è privo di poteri decisionali e di spesa e quindi non può direttamente intervenire per rimuovere le situazioni di rischio, può essere ritenuto (cor)responsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qualvolta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione” (Cass. pen. sez. IV, sentenza 24.01.2013 n. 11492). Principi analoghi sono stati ribaditi, anche molto recentemente, dalla Cassazione per i Coordinatori per la sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione (v. da ultima Cass. 9 maggio 2016 n.19208).
Conseguentemente, anche gli incarichi professionali dei quali si è appena discusso vanno assunti con piena consapevolezza delle responsabilità e dei rischi che essi possono comportare.
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Infine, responsabilità penali possono sorgere in occasione della presentazione alla Pubblica Amministrazione di progetti o autocertificazioni o certificati non veritieri. In questo caso, ovviamente, i reati che possono venire in considerazione sono quelli di falso e/o tentata truffa ai danni di Ente pubblico.
Caso tipico è quello della presentazione ad un Ente pubblico di un progetto corredato da una planimetria dello stato di fatto che intenzionalmente non corrisponda alla situazione reale. Analogo, per certi aspetti, è quello della consapevole trasmissione alla Pubblica Amministrazione di un certificato di analisi falso.
Va osservato che, in casi di questo genere, la (cor)responsabilità può estendersi anche al consulente esterno che abbia consapevolmente predisposto una planimetria non corrispondente alla situazione reale dei luoghi o che abbia, sempre consapevolmente, trasmesso agli Enti una analisi falsa.
Pertanto, deve essere ben presente all’ingegnere o architetto che determinati rischi penali possono sussistere anche qualora si operi come mero consulente esterno.
Luciano Butti
Avvocato (www.buttiandpartners.com)
Professore a contratto di ‘Diritto Internazionale dell’Ambiente’ – Università di Padova – Scuola di Ingegneria
Progettazione di edifici civili da parte dei geometri – Incompatibilità con la professione riservata agli architetti ed ingegneri
La sentenza n. 883/2015, emanata dalla V sezione del Consiglio di Stato, ha sancito l'esclusione della categoria professionale dei geometri dalla progettazione di edifici civili “anche di modeste dimensioni”. La questione è dibattuta in giurisprudenza, tanto che la presente sentenza d'appello va a riformare la precedente decisione del T.A.R. Veneto (sez. I, n. 1312/2013) che accoglieva l'opposta tesi, richiamando il D. lgs. 212/2010 che, in tema di edifici in cemento armato, ha abrogato l'obbligatorietà della sottoscrizione del progetto esecutivo da parte di un ingegnere o architetto. Secondo il Consiglio, infatti, “Ai sensi dell'art. 16 lett. m), r.d. 11 febbraio 1929, n. 274, e come si desume anche dalle ll. 5 novembre 1971, n. 1086 e 2 febbraio 1974, n. 64, che hanno rispettivamente disciplinato le opere in conglomerato cementizio e le costruzioni in zone sismiche, nonché dalla l. 2 marzo 1949, n. 144 recante la tariffa professionale, esula dalla competenza dei geometri la progettazione di costruzioni civili con strutture in cemento armato, trattandosi di attività che, qualunque ne sia l'importanza, è riservata solo agli ingegneri ed agli architetti iscritti nei relativi albi professionali; solo le opere in cemento armato relative a piccole costruzioni accessorie rientrano nella competenza dei geometri, risultando ininfluente che il calcolo del cemento armato sia stato affidato ad un ingegnere o ad un architetto; in sostanza, la competenza dei geometri è limitata alla progettazione, direzione e vigilanza di modeste costruzioni civili, con esclusione di quelle che comportino l'adozione, anche parziale, di strutture in cemento armato; solo in via di eccezione, la competenza si estende anche a queste strutture, a norma della lett. l) del medesimo art. 16, r.d. n. 274 cit., purché si tratti di piccole costruzioni accessorie nell'ambito di edifici rurali o destinati alle industrie agricole, che non richiedano particolari operazioni di calcolo e che per la loro destinazione non comportino pericolo per le persone; per il resto la suddetta competenza è comunque esclusa nel campo delle costruzioni civili ove si adottino strutture in cemento armato, la cui progettazione e direzione, qualunque ne sia l'importanza, è riservata solo agli ingegneri ed architetti iscritti nei relativi albi professionali.”
Il criterio per accertare se una costruzione sia da considerare modesta - e quindi se la sua progettazione rientri nella competenza professionale dei geometri - consiste nel valutare le difficoltà tecniche che la progettazione e l'esecuzione dell'opera comportano e le capacità occorrenti per superarle; a questo fine, “mentre non è decisivo il mancato uso del cemento armato (ben potendo anche una costruzione "non modesta" essere realizzata senza di esso), assume significativa rilevanza il fatto che la costruzione sorga in zona sismica, con conseguente assoggettamento di ogni intervento edilizio alla normativa di cui alla l. n. 64 cit., la quale impone calcoli complessi che esulano dalle competenze professionali dei geometri.”.
Ulteriore profilo motivazionale su cui poggia il presente provvedimento, è legato alle recenti innovazioni introdotte nei programmi scolastici degli istituti tecnici per geometri. Infatti, secondo i giudici “deve escludersi che le innovazioni introdotte nei programmi scolastici degli istituti tecnici possano ritenersi avere ampliato, mediante l'inclusione tra le materie di studio di alcuni argomenti attinenti alle strutture in cemento armato, le competenze professionali dei medesimi.”
avv. Riccardo Rotigliano
rrotigliano@scozzarirotigliano.com
Commissione Tributaria Regionale di Potenza, sentenza n. 229/2014: niente IRAP per l’ingegnere.
Preliminarmente, è necessario affermare che sono tenuti al pagamento dell’IRAP tutti coloro i quali si trovino in una situazione di autonoma organizzazione produttiva di ulteriore ricchezza. Infatti, secondo la Corte di Cassazione, l'assoggettabilità all'imposta deve essere esclusa in tutti quei casi in cui sia ravvisabile una struttura organizzativa elementare e un'attività professionale che abbia ragion d'essere solo per l'esclusivo apporto del titolare.
Nel caso in esame, il professionista ha chiesto ed ottenuto il rimborso del tributo pagato, avendo provato che, nell’anno d’imposta, egli si avvaleva dei soli beni strumentali indispensabili per espletamento della propria attività, senza ausilio di dipendenti e collaboratori non occasionali.
Stando all'insegnamento della Suprema Corte, “il giudice di merito deve verificare se il contribuente si sia avvalso, nell’esercizio dell'attività di lavoro autonomo, di una struttura organizzata in un complesso di fattori che per numero, importanza e valore economico siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al suo know-how” (Cass. n. 21116 del 2012). Se ne deduce che non sono assoggettabili all'imposta le attività professionali il cui risultato economico trovi ragione esclusivamente nell'autorganizzazione del professionista o, comunque, nel caso in cui l'organizzazione da lui predisposta abbia incidenza marginale e non richieda necessità di coordinamento (mobili d'ufficio, attrezzature tecniche e informatiche, computer, fax, notebook, fotocopiatore, telefoni anche cellulari, autovettura ecc.).
Di conseguenza, in un caso come quello in commento, in cui non è segnalata la presenza di dipendenti o l'impiego di beni strumentali oltre quelli indispensabili per l'esercizio della professione e di normale corredo alla stessa, è lecito ricavare un quadro che induca a ritenere l'assenza di autonoma organizzazione produttiva tassabile ai fini IRAP. Va, infine, ricordato quanto di recente statuito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ossia: “Con riguardo al presupposto dell'IRAP, il requisito dell'autonoma organizzazione - previsto dal D.Lgs. 15 settembre 1997, n. 496, art. 2, -, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell'organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l'id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in nudo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell'impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive” (sentenza 10 maggio 2016, n. 9451).
avv. Riccardo Rotigliano