Rubrica di aggiornamento legislativo e giurisprudenziale del 9 novembre 2015
Gratuità del permesso di costruire e del mutamento di destinazione d’uso: due ipotesi frequenti
È frequente che insorga contenzioso interno al pagamento degli oneri di urbanizzazione. Sia in relazione alle ipotesi in cui si ritenga che l’opera da realizzare sia esente dal pagamento, sia in relazione all’entità di tali oneri. Così, per esempio, l’art. 17 D.P.R. n. 380/01 (e già l’art. 9 l. n. 10/77) prevede la gratuità del permesso di costruire per le costruzioni in zona agricola (comma 3, lett. a). Sennonché, la norma trova applicazione entro i precisi limiti oggettivi e soggettivi dalla stessa individuati. La giurisprudenza, al riguardo, ha avuto modo di rilevare in numerose occasioni che occorre dimostrare “ai fini del rilascio della concessione gratuita il concomitante concorso di due requisiti: a) sul piano soggettivo, la "qualitas" di imprenditore agricolo a titolo principale secondo la definizione di cui all'art. 12 l. 9 maggio 1975, n. 153; b) sul piano oggettivo, il nesso di preordinazione funzionale delle opere alla conduzione del fondo, specificando letteralmente, per quanto d'interesse, che deve trattarsi di interventi da realizzarsi in zona di intervento che abbia nello strumento urbanistico destinazione agricola. Non basta, quindi, la sola destinazione della costruzione allo sfruttamento del fondo che presuppone, peraltro, la qualità soggettiva del richiedente di imprenditore agricolo a titolo principale, essendo, invece, necessaria anche la concorrente destinazione agricola dell'area interessata dalla costruzione: la sussistenza di una soltanto delle condizioni non può, quindi, ritenersi requisito sufficiente per la gratuità nell'intervento edilizio (Cons. di St., sez. V, 14 maggio 2013, n. 2609; T.A.R. Palermo, Sicilia, sez. II, 13 aprile, 2012, n. 770). Ne consegue, allora, che la gratuità degli interventi non può trovare applicazione né nei confronti di soggetti differenti dall'imprenditore agricolo a titolo principale né in caso di costruzioni da realizzarsi al di fuori di zone espressamente qualificate come agricole (T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I (Ord.), 3 ottobre 2005, n. 1533)” (Tar Puglia, Lecce, n. 1939/13). Peraltro, la qualità di I.A.P. (imprenditore agricolo a titolo principale o professionale) può essere radicata anche in capo ad una Società (cfr. l. n. 57/01 e art. 10 d. lgs.vo n. 228/01). Particolare attenzione va, altresì, riservata anche al requisito oggettivo, dal momento che non tutte le opere edilizie realizzate in zona agricola possono astrattamente considerarsi come “funzionali alla conduzione del fondo”. Tale è, ad esempio, la realizzazione di una cantina sociale per lo stoccaggio e la lavorazione delle uve, mentre tradizionalmente si nega tale qualità agli impianti funzionali non già alla trasformazione dei prodotti agricoli, ma di quelli ottenuti dall’allevamento animale (ad esempio, un impianto di allevamento suinicolo o di una cantina da adibire alla stagionatura del formaggio). Più controversa è la possibilità di esentare dal pagamento del contributo di costruzione i manufatti destinati ad attività agrituristica, e ciononostante una norma del 2001 (art. 3, d. lgs. n. 228/01) sembri deporre nel senso della gratuità in modo indiscriminato (quale che sia, cioè, il manufatto, e quindi anche per gli alloggi destinati ai clienti).
Sotto altro profilo, anche sul mutamento di destinazione d’uso non è infrequente che sorga contenzioso, con particolare riguardo alle ipotesi in cui al mutamento non sia seguita alcuna opera di trasformazione edilizia. La giurisprudenza, in tale caso, ritiene che ciò che rileva ai fini è il “carico urbanistico”. Se esso rimane tale, perché la nuova destinazione d’uso è omogenea a quella precedente (ad esempio, da un suo residenziale ad un uso a studio professionale), allora gli oneri di urbanizzazione non sono dovuti. Altrimenti, va corrisposta la differenza tra quelli dovuti in relazione alla nuova destinazione e quelli già pagati in relazione a quella originaria. In altri termini, “il cambio di destinazione d’uso di un immobile, ancorché compatibile nella medesima zona omogenea, intervenuto tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee, integra una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico, soggetta al regime oneroso, indipendentemente dalla tipologia delle opere. Non si devono infatti sovrapporre due piani differenti, quello della ammissibilità dell’intervento edilizio, e quello del pagamento degli oneri che ad esso sono conseguenti. La circostanza che l’intervento sia effettivamente assentibile non significa che lo stesso debba essere necessariamente gratuito” (Tar Lombardia, sez. II Milano, 16/3/2011 n.740).
avv. Riccardo Rotigliano
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I dipendenti pubblici non possono farsi rimborsare la tassa di iscrizione all’albo professionale
Il Ragioniere generale dello Stato è, di recente (nota prot. n. 79309 del 19/10/15), intervenuto a chiarire gli esatti termini in cui l’ente pubblico presso cui presta servizio un professionista è tenuto a rimborsare la tassa annuale di iscrizione al relativo albo professionale. Infatti, una sentenza di quest’anno della Cassazione civile (n. 7776 del 16/04/15) sembrava segnare un punto a favore dei professionisti dipendenti pubblici. Sennonché, il Ragioniere Generale ne chiarisce in modo condivisibile i limiti applicativi. In particolare, “anche alla luce di quanto espresso nella citata sentenza della Corte di Cassazione, assumono rilievo decisivo, in merito al riconoscimento del rimborso della predetta tassa, la presenza delle seguenti condizioni: 1) il carattere obbligatorio dell’iscrizione nell’elenco speciale annesso all’albo ai fini dell’espletamento dell’attività del professionista; 2) il carattere esclusivo dell’esercizio dell’attività professionale in regime di subordinazione, in cui l’Ente pubblico è l’unico soggetto beneficiario dei risultati di detta attività”. Da ciò la conseguenza che gli architetti e ingegneri dipendenti pubblici non possono chiedere il rimborso della tassa di iscrizione, dal momento che, per svolgere l’attività di progettazione interna, non è indispensabile l’iscrizione all’albo. Infatti, “per i responsabili degli uffici tecnici non è richiesta l’iscrizione all’albo per la redazione di progetti a favore dell’amministrazione da cui dipendono; infatti, ai sensi dell’art. 90, comma 1, lett. a), del d.lgs. 163/2006, è sufficiente il rapporto di servizio esistente e la conseguente incardinazione nell’ufficio tecnico”.
avv. Riccardo Rotigliano
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Anche per il coordinatore della sicurezza in fase di progettazione sono richiesti i requisiti di partecipazione come per i progettisti
Con il parere precontenzioso n. 123 del 15/07/15 l’ANAC ha ribadito che, negli appalti integrati, anche per il coordinatore della sicurezza in fase di progettazione occorre la dimostrazione dei requisiti relativi all’esperienza pregressa stabiliti dall’art. 263 D.P.R. n. 207/10. Nel caso di specie, un’impresa era stata esclusa per non avere indicato, anche per il professionista designato quale c.s.f.p., il possesso del requisito dello svolgimento negli ultimi 10 anni di servizi di architettura e ingegneria (quali genericamente definiti dall’art. 252 del regolamento) in misura pari a quanto richiesto dal bando per i progettisti. Secondo l’impresa, solo per questi ultimi e non anche per il coordinatore potevano essere richiesti tali requisiti esperienziali. L’ANAC, invece, ha ritenuto, nel solco della chiara previsione della legge di gara, che il c.s.f.p. fosse tenuto a possedere gli stessi requisiti del progettista, dal momento che i requisiti professionali previsti dall’art. 98 d. lgs. n. 81/08 ai fini dell’abilitazione allo svolgimento delle funzioni di coordinatore della sicurezza sono da intendersi quali requisiti minimi, ovvero non esauriscono il novero dei requisiti (ulteriori) che la stazione appaltante può prevedere in armonia con le norme del regolamento n. 207/10.
avv. Riccardo Rotigliano
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