Rubrica di aggiornamento legislativo e giurisprudenziale del 9 febbraio 2016
Certificato di agibilità e conformità urbanistica dell’immobile
Secondo quanto previsto dall’art. 24 del Testo Unico dell’Edilizia “il certificato di agibilità attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente”. Al fine dell’ottenimento del suddetto certificato, il successivo art. 25 dispone che l’interessato deve presentare una “dichiarazione sottoscritta dallo stesso richiedente il certificato di agibilità di conformità dell’opera rispetto al progetto approvato, nonché in ordine alla avvenuta prosciugatura dei muri e della salubrità degli ambienti”.
Dall’esame delle due norme citate, emerge un nesso fra l’agibilità e la conformità edilizia-urbanistica dell’opera realizzata, tale per cui la mancata conformità di quanto edificato al relativo progetto (e, quindi, anche alle norme che disciplinano l’edificabilità nella zona) rappresenta un ostacolo al rilascio dell’abitabilità.
In questi termini la prevalente giurisprudenza, a tenore della quale è legittimo il diniego motivato (prevalentemente o esclusivamente) con riferimento a violazioni urbanistiche affermando, con esplicito riferimento all’art. 25 del Testo Unico dell’Edilizia, che “l’agibilità possa essere negata non solo in caso di mancanza di condizioni igieniche ma anche in caso di contrasto con gli strumenti urbanistici o con il titolo edilizio (DIA o permesso di costruire)” (TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. n. 332 del 10 febbraio 2010).
Recentemente, in aderenza a tale orientamento che ritiene necessario il binomio salubrità dei locali - conformità edilizio-urbanistica dell’opera, con la sentenza n. 591 del 29 gennaio 2016 il Tar Campania è tornato sull’argomento rilevando che “La conformità dei manufatti alle norme urbanistico-edilizie costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità, come si evince dagli artt. 24, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001 e 35, comma 20, L. n. 47 del 1985; del resto, risponde ad un evidente principio di ragionevolezza escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un fabbricato in potenziale contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui protezione è preordinata la disciplina urbanistico-edilizia. La conformità urbanistico-edilizia dell’immobile è quindi una condizione necessaria per richiedere e ottenere il certificato di agibilità o di abitabilità”.
avv. Riccardo Rotigliano
rrotigliano@scozzarirotigliano.com
L’asservimento di aree edificabili a fini edilizi.
L’istituto dell’asservimento, anche in ragione dell’evoluzione giurisprudenziale in materia de qua, può essere definito in termini di volontaria rinuncia alle possibilità edificatorie di un lotto in favore del loro sfruttamento in un'altra particella, funzionale ad accrescere la potenzialità edilizia di un'area per mezzo dell'utilizzo della cubatura realizzabile in una particella contigua (non necessariamente adiacente) e del conseguente computo anche della superficie di quest'ultima, ai fini della verifica del rispetto dell'indice di fabbricabilità fondiaria. Il presupposto logico dell'istituto in esame è costituito dalla indifferenza, per il Comune, ai fini del corretto sviluppo della densità edilizia per come configurato negli atti pianificatori, della materiale collocazione dei fabbricati, atteso, infatti, che, per il rispetto dell'indice di fabbricabilità fondiaria, assume esclusiva rilevanza il fatto che il rapporto tra area edificabile e volumetria realizzabile nella zona di riferimento resti nei limiti fissati dal piano, risultando del tutto irrilevante l'ubicazione degli edifici all'interno del comparto, fatti salvi, ovviamente, il rispetto delle distanze e di eventuali prescrizioni sulla superficie minima dei lotti.
Il Tar Sicilia, Catania, con sentenza n. 328 del 1° febbraio u.s., si è recentissimamente espresso sulla questione in argomento, rilevando che «In sede di rilascio di un permesso di costruire, ai fini del rispetto dell’indice planivolumentrico, la volumetria massima edificabile fissata su ciascun lotto non precluda la realizzazione di una volumetria inferiore o di nessuna volumetria, con la conseguenza che è, perciò, ben possibile, non solo non edificare affatto su alcuni lotti, ma anche concentrare su un unico lotto la quantità di volumetria prevista su lotti contigui, pur sempre nel rispetto della volumetria complessivamente conseguita, delle distanze e della destinazione d’uso dei fabbricati».
avv. Riccardo Rotigliano
rrotigliano@scozzarirotigliano.com
Il momento di perfezionamento del permesso di costruire.
L’art. 15, D.P.R. n. 380 del 2001 prevede che nel permesso di costruire debbano essere indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori, e che comunque il termine per l’inizio dei lavori non possa essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo. Per quanto riguarda il momento del rilascio del permesso di costruire, sussistono contrasti interpretativi. In sostanza, si discute se il permesso sia un atto recettizio, che inizia a volgere i suoi effetti al momento in cui viene ricevuto dal destinatario o non recettizio, che inizia a produrre i suoi effetti dal momento della sua sottoscrizione.
Il termine utilizzato dal legislatore (“rilascio”), dal significato prima facie non univoco, deve comunque indurre ad interpretare in ogni caso il senso della disposizione dinnanzi citata in conformità con i principi generali dell’ordinamento, con particolare riferimento a quelli di efficacia, pubblicità, trasparenza sanciti dalla L. n. 241 del 1990.
In forza di tali principi, non pare discutibile che il termine per l’inizio dei lavori debba farsi decorrere non già dalla semplice emanazione del permesso di costruire, bensì dalla materiale consegna dell’atto al destinatario o comunque da un momento non anteriore a quello in cui l’interessato stesso sia stato posto in condizione di conoscere l’avvenuta emanazione del permesso.
Così anche la recentissima sentenza Tar Campania: «Posto che la concessione edilizia – oggi permesso di costruire – è un provvedimento amministrativo “recettizio” (che viene, quindi, ad esistenza con la comunicazione agli interessati), il termine “rilascio”, riferito al titolo concessorio, che si rinviene nel corpo dell’art. 15, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001 (secondo cui “il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo”), ancorché in prima lettura non appaia univoco, potendo sostanzialmente significare sia “emanazione” che “consegna” dell’atto, è in realtà ricollegabile alla materiale consegna di questo, essendo tale significato preferibile poiché più rispondente al lessico del legislatore, se si considera che, laddove quest’ultimo avesse voluto fare riferimento alla data della “emanazione” dell’atto, avrebbe usato sinonimi dal più corretto significato tecnico, coma “data dell’atto” oppure, “data di adozione”, o, più semplicemente “adozione”» (Tar Campania, Napoli, sentenza 4 febbraio 2016 n. 666).
avv. Riccardo Rotigliano
rrotigliano@scozzarirotigliano.com
Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 35 dell’8 gennaio 2016: sul mutamento di destinazione giuridicamente rilevante.
La realizzazione di opere tali da determinare il passaggio da una categoria (residenziale-ricettivo) ad un'altra (commerciale- produttivo) ex art. 23 ter del Testo Unico dell'edilizia (DPR n. 320/2001), tra l’altro non consentita dal regime urbanistico disciplinante l'area di riferimento, incide sulla struttura edilizia, alterandone la destinazione originaria e determinando un mutamento della struttura stessa. In questi termini la sentenza in rassegna, a tenore della quale «In materia di edilizia, il mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante è solo quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, atteso che nel loro ambito possono aversi mutamenti di fatto ma non diversi regimi urbanistico costruttivi, stanti le sostanziali equivalenze dei carichi urbanistici nell’ambito della medesima categoria; pertanto, un cambio di destinazione d’uso strutturale non consentito dalla disciplina urbanistica comporta una variazione in aumento dei carichi urbanistici che impone una adeguata dotazione di standard urbanistici».
avv. Riccardo Rotigliano
rrotigliano@scozzarirotigliano.com
Sulla spettanza degli onorari relativi a prestazioni compiute prima del conferimento dell’incarico.
Con una pronuncia invero sintetica, il Tribunale di Pisa, in un giudizio instauratosi a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo con il quale un architetto richiedeva il pagamento delle proprie spettanze professionali, ha affermato che, in tema di compensi professionali, nessuna rilevanza ha il fatto che parte delle prestazioni possano essere state compiute prima del formale conferimento dell’incarico, potendo questo valere anche quale ratifica dell’operato del professionista (Tribunale di Pisa, sentenza n. 371 del 25 giugno 2015).
avv. Riccardo Rotigliano