Rubrica di aggiornamento legislativo e giurisprudenziale del 4 gennaio 2017
Tar Calabria, Sez. I, 13 dicembre 2016, n. 2435: stop agli incarichi gratuiti.
Con una recentissima pronuncia, il Tar Calabria ha accolto il ricorso proposto dagli ordini professionali della provincia di Catanzaro con cui sono state impugnati la determina comunale che approvava una procedura aperta per l’affidamento dell’incarico di redazione del piano strutturale del Comune di Catanzaro, e del relativo regolamento edilizio urbanistico, e la delibera della Giunta comunale con cui si condivideva la possibilità di formulare un bando per incarichi professionali a titolo gratuito.
Le diverse censure articolate dai ricorrenti, fra cui figurava la violazione dei principi di trasparenza, economicità, imparzialità e buon andamento (artt. 35, 95, 83, 93, 97 del d. lgs.vo 50/2016), attenevano tutte alla medesima doglianza, ossia l’illegittimità del bando di gara nella parte in cui ha previsto la gratuità del contratto di appalti di servizi. Il bando, infatti, stimava il valore della prestazione a “1,00 euro” e definiva l’appalto “a titolo gratuito”.
Accogliendo le argomentazioni dei professionisti, il Tar ha evidenziato che la previsione di gratuità della prestazione di servizi è idonea a manifestare immediatamente la sua attitudine lesiva, incidendo sull’interesse attuale alla partecipazione. La natura essenzialmente onerosa degli appalti di servizi è prevista non solo dalla disciplina civilistica (art. 1655 c.c.), ma anche dalle norme e dai principi che regolano gli appalti pubblici, che sono articolati sul presupposto della causa onerosa del contratto. Tali sono, ad esempio, le norme che riguardano l’individuazione delle soglie di rilevanza europea e dei requisiti di partecipazione con riferimento al fatturato minimo (artt. 5, 35, 83 co. 4 e 95 co. 3, d. lgs.vo n. 50/2016); quelle che impongono l’obbligo di prestare la garanzia fideiussoria (art. 93, d. lgs.vo n. 50/2016) o che disciplinano il sub-procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta (artt. 95 e ss. d. lgs.vo n. 50/2016); ovvero, ancora, quelle che stabiliscono il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, il quale può – in determinati casi indicati dall’art. 95, co. 7, d. lgs.vo n. 50/2016 – articolarsi su un prezzo o costo fisso, che però deve comunque essere predeterminato.
“L’appalto pubblico di servizi rientra, come è noto, nella categoria dei “contratti speciali di diritto privato” connotata da una disciplina, di derivazione europea, derogatoria dei contratti di diritto comune, in ragione degli interessi pubblici sottesi e della natura soggettiva del contraente pubblico, e che trova la sua principale fonte nel cd. Codice di Contratti Pubblici (D. Lgs. 50/2016). Non vi è dubbio che, alla stregua di tale normativa speciale, il contratto di appalto sia contraddistinto dalla necessaria “onerosità” e sinallagmaticità delle prestazioni, essendo connotato sia dalla sussistenza di prestazioni a carico di entrambe le parti che dal rapporto di reciproco scambio tra le stesse. E’ sufficiente sul punto richiamare la definizione normativa di cui all’art. 3 co. 1 lett. ii di “appalti pubblici” di cui al D.Lgs. 50/2016 quali contratti a titolo oneroso e stipulati per iscritto; e, quanto alla tipologia dei “servizi di architettura ed ingegneria e altri servizi tecnici” alla definizione rinvenibile nell’art. 3 lett. vvvv come quelli “riservati ad operatori economici esercenti una professione regolamentata ai sensi dell’art. 3 della Direttiva 2005/36/CE”. A tale specifica tipologia di servizi fa inoltre riferimento anche la norma di cui all’art. 95 co. 3 lett. b del D. lgs. 50/2016 che stabilisce come obbligatorio il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo, nell’ipotesi di contratti relativi all’affidamento dei servizi di ingegneria e architettura, e degli altri servizi di natura tecnica ed intellettuale, di importo superiore a 40.000 euro, così confermando la necessità che sia specificato il valore della prestazione richiesta, ovvero che sia previsto come elemento essenziale del contratto il corrispettivo” (così la pronuncia in oggetto).
A questo riguardo, peraltro, assumono particolare rilievo le Linee guida nn. 1 e 2 adottate dall’Anac rispettivamente con delibere del 14 e del 21 settembre 2016. Con le prime, recanti “Indirizzi generali sull’affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria”, si evidenzia l’esigenza che il corrispettivo degli incarichi e servizi di progettazione ex art. 157, d. lgs.vo n. 50/2016 sia determinato secondo criteri fissati dal decreto del Ministero della Giustizia 17 giugno 2016, “nel rispetto di quanto previsto dall’art. 9 co. 2 del decreto 24 gennaio 2012 n.1, convertito con modificazioni dalla Legge 24 marzo 2012 n. 27, così come ulteriormente modificato dall’art. 5 della legge 134/2012”, al fine di garantire anche il controllo da parte dei potenziali concorrenti della congruità della remunerazione”. Con le seconde, riguardanti l’offerta economicamente più vantaggiosa, l’Anac ha specificato che la valutazione dell’offerta sulla base di un prezzo o costo fisso è ammessa solo entro i limiti rigorosi dell’art. 95 co. 7 del Codice Appalti: ossia nell’ipotesi in cui tale prezzo o costo fisso sia rinvenibile ai sensi di “disposizioni legislative, regolamentari o amministrative relative al prezzo di determinate forniture o alla remunerazione di servizi specifici”, o, in mancanza, valutando con attenzione le modalità di calcolo o di stima di esso. In questo secondo caso resta fermo l’obbligo per la stazione appaltante di rendere chiaro l’iter logico seguito per la determinazione del prezzo fisso.
In definitiva, sia per la normativa nazionale sia per quella europea, la predeterminazione del prezzo del servizio oggetto d’appalto è necessaria e funzionale a garantire il principio di qualità della prestazione e della connessa affidabilità dell’operatore economico, anche nelle ipotesi in cui la componente quantitativa della prestazione sia valutata unitamente a quella qualitativa.
avv. Riccardo Rotigliano
rrotigliano@scozzarirotigliano.com
Corte di Cassazione, sent. n. 22884/2016: chi rinuncia al direttore dei lavori in cantiere risponde dei danni.
Con la sentenza in commento, la Cassazione ha affermato il principio a mente del quale, se il committente privato decida di non avvalersi del direttore dei lavori, affidando, quindi, la direzione direttamente all’impresa appaltatrice, risponderà in solido dei danni eventualmente causati.
Così la Corte, “…la responsabilità dei committenti in solido con l’impresa appaltatrice, avendo essi affidato all’appaltatore l’esecuzione di interventi di natura strutturale senza disporre di un progetto e senza nemmeno affidare ad un professionista abilitato la direzione dei lavori: che pertanto sono stati eseguiti dall’impresa appaltatrice sotto la direzione e la responsabilità diretta – e concorrente – degli stessi committenti”.
Nel nostro ordinamento, la direzione dei lavori è prevista come obbligatoria dalle norme in materia edilizia, in particolare quando si interviene su strutture o con l’utilizzo del cemento armato. Quando, invece, ci si trova di fronte a lavori di modesta entità, ed il committente ritiene di non avvalersi del direttore dei lavori, questo non significa che la l’intera responsabilità per la corretta esecuzione dell’opera vada fatta ricadere sull’impresa appaltatrice.
Ciò che la Cassazione sottolinea è, infatti, che dalla mancanza del direttore dei lavori, può desumersi che le opere siano state eseguite sotto la diretta e concorrente responsabilità del committente.
Nel caso specifico, quindi, i danni causati da errori esecutivi saranno risarciti sia dall’impresa, sia dai privati committenti, perché la mancanza del direttore dei lavori non accresce, di per sé sola, la responsabilità dell’impresa esecutrice.
avv. Riccardo Rotigliano
rrotigliano@scozzarirotigliano.com
Consiglio di Stato, sez. III, sent. n. 4934/2016: segretezza delle offerte.
Il Consiglio di Stato ha affermato l’illegittimità delle operazioni valutative operate da una seconda commissione di gara, nominata in esito all’annullamento d’ufficio della nomina della prima commissione. Ciò in quanto, la nomina della nuova commissione è avvenuta dopo l’apertura dell’offerta sia tecnica che economica, già scrutinate e valutate dalla prima commissione.
Tutto questo si pone in palese contrasto con la regola che impone la segretezza dell’offerta, nello specifico quella economica, prima della valutazione dell’offerta tecnica.
Afferma il Consiglio di Stato, “Tale regola implica che - nei casi in cui la procedura di gara sia caratterizzata da una netta separazione tra la fase della valutazione dell’offerta tecnica e quella dell’offerta economica (come nel caso in esame, in cui la stazione appaltante ha scelto il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa) - le offerte economiche devono restare segrete fino alla conclusione della fase relativa alla valutazione di quelle tecniche (Ad Plen., 26 luglio 2012, n.30; ex multis Cons. St, sez. IV, 29 febbraio 2016, n.824), a presidio della genuinità, della trasparenza e della correttezza delle operazioni valutative (che resterebbero irrimediabilmente compromesse e inquinate da un’anticipata conoscenza del contenuto delle offerte economiche). Orbene, nella fattispecie controversa il principio appena enunciato è rimasto vulnerato per effetto della ripetizione delle operazioni valutative (da parte della nuova Commissione) dopo che le offerte tecniche ed economiche erano state, non solo conosciute, ma addirittura valutate dalla Commissione originariamente nominata (con atto poi rimosso dalla stazione appaltante in via di autotutela). La valutazione di offerte inserite in buste già aperte (entrambe) implica la violazione del principio di segretezza delle offerte, per come sopra definito, nella misura in cui l’attività valutativa si è concentrata su offerte i cui contenuti avevano ormai irrimediabilmente perso i caratteri indefettibili della riservatezza e dell’anonimato, essendo stati già conosciuti (perlomeno dagli originari commissari e dalle imprese concorrenti). E non vale obiettare, come fa l’Istituto, che le buste contenenti le offerte erano state custodite in cassaforte, con la conseguenza che non si è determinata alcuna concreta alterazione dell’imparzialità del giudizio della nuova Commissione. Perché sia violato il principio della segretezza delle offerte non è, infatti, necessaria la dimostrazione dell’effettiva conoscenza delle offerte da parte della nuova Commissione, ma è sufficiente l’astratta conoscibilità delle stesse, quale effetto dell’apertura delle relative buste e della potenziale diffusione del loro contenuto”.
Dunque, come evidenziato dal Consiglio di Stato, non è necessario che la commissione di nuova nomina abbia avuto effettiva conoscenza del contenuto delle buste. Perché si abbia violazione delle regole sull’anonimato e sulla segretezza è sufficiente la potenziale conoscenza del contenuto delle buste, dovuta alla precedente apertura delle stesse.
avv. Riccardo Rotigliano