Rubrica di aggiornamento legislativo e giurisprudenziale del 1° febbraio 2017
Cons. Stato, sez. IV, 8/9/15, n. 4176: Anche il comodatario può richiedere e ottenere la concessione edilizia in sanatoria.
Il contratto di comodato stipulato fra il proprietario di un immobile ed il concessionario instaura una relazione stabile con il bene oggetto del contratto, sufficiente (come quella del locatario) per richiedere ed ottenere la concessione edilizia in sanatoria, salva l’opposizione del proprietario.
Questo è il principio di diritto enunciato dai giudici di Palazzo Spada con la sentenza in commento.
La clausola contenuta nel contratto di comodato, che prevede espressamente l’autorizzazione da parte del proprietario alla esecuzione di lavori, non può essere interpretata nel senso che l’autorizzazione riguarda soltanto le opere conformi alla normativa urbanistica e quelle previamente autorizzate: “La non conformità dei lavori alla disciplina urbanistica è elemento che deve essere valutato dall’amministrazione in sede di rilascio del titolo (e successivamente dal giudice in sede di ricorso giurisdizionale), onde, ai fini della legittimazione a richiederne l’autorizzazione, risulta sufficiente che gli stessi siano in domanda prospettati come rispettosi della normativa urbanistica. Quanto, poi, all’argomento dell’autorizzazione preventiva alla esecuzione dei lavori, ritiene il Collegio che la clausola vada interpretata in conformità al nostro sistema urbanistico - edilizio, il quale prevede in definitiva la sanzionabilità dei soli abusi sostanziali, potendo quelli meramente formali essere ricondotti a legalità mediante l’istituto dell’accertamento postumo di conformità.
Ne consegue che la clausola contrattuale va letta nel senso che il comodatario è autorizzato a compiere interventi conformi alla disciplina urbanistica, i quali però devono essere supportati da autorizzazione dell’autorità amministrativa competente.
Potendo quest’ultima intervenire ordinariamente in via preventiva, ma per gli abusi meramente formali anche in via successiva di sanatoria, deve ritenersi che il comodatario, autorizzato dal proprietario alla esecuzione di opere edilizie regolari sia sostanzialmente che formalmente, è legittimato a richiedere la concessione in sanatoria, risultando questo strumento ordinario previsto dall’ordinamento per ricondurre a legalità, anche sotto il profilo formale, opere che siano comunque compatibili, da un punto di vista sostanziale, con la disciplina urbanistica”.
Il comodatario, dunque, è autorizzato a compiere interventi conformi alla disciplina urbanistica, i quali però devono essere supportati dall’autorizzazione dell’autorità amministrativa competente.
A confermare tali principi si pone anche il dato normativo. Ai sensi dell’art. 13 della Legge n. 47/85 è legittimato alla richiesta della concessione in sanatoria il “responsabile dell’abuso”. Analoga norma, è rinvenibile nell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, ai sensi del quale possono richiedere l’accertamento di conformità sia il responsabile dell’abuso sia l’attuale proprietario dell’immobile.
Peraltro, al momento del rilascio del permesso di costruire, l’amministrazione comunale deve limitarsi a verificare la sussistenza di un titolo idoneo. Una volta che tale titolo sia stato esibito, infatti, l’ente locale non è tenuto a compiere complesse indagini in ordine alla permanente validità del titolo stesso ovvero a contestazioni o a controversie che sul punto siano instaurate da terzi, quando tali situazioni non siano state introdotte nel procedimento.
Avv. Riccardo Rotigliano
Nuove norme in tema di livelli di progettazione: varata la moratoria di sei mesi
Il nuovo decreto ministeriale sui livelli di progettazione, attualmente in fase di approvazione presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti prevede, all’art. 37, che “Le disposizioni di cui al presente decreto entrano in vigore 180 giorni dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale”.
Fino a quel momento, le Pubbliche Amministrazioni potranno approvare i progetti secondo le norme attualmente in vigore. Ma quali sono i più rilevanti profili di novità che il decreto riserverà ai professionisti?
Il decreto ministeriale, in applicazione dell’art. 23, comma 3, del nuovo Codice dei contratti pubblici (D. Lgs.vo n. 50/2016), ridefinisce la progettazione su tre livelli: progetto di fattibilità tecnica ed economica, progetto definitivo e progetto esecutivo.
Il primo livello, che sostituisce quello della progettazione preliminare, amplierà il novero della attività che il professionista sarà tenuto a svolgere, in modo da offrire all’Amministrazione un quadro complessivo stabile, sotto i profili sia tecnico sia economico, relativo all’opera da realizzare. Esso dovrà includere l’analisi di tutte le possibilità relative alla realizzazione dell’opera, compresa la non realizzazione della medesima, nonché il suo impatto socio-economico, ambientale e territoriale; a tal fine, sarà necessario compiere un’analisi dello stato dell’immobile, degli aspetti geologici, idrologici e sismici, e una verifica dei vincoli ambientali, storici e paesaggistici. Il progetto di fattibilità tecnica ed economica, inoltre, dovrà contenere studi specialistici che valutino le specificità del contesto territoriale in cui è inserita l’opera.
Più snello appare invece il secondo livello di progettazione. Il decreto prevede che il progetto definitivo venga redatto in conformità alle scelte effettuate nel progetto di fattibilità tecnica ed economica, mentre le eventuali modifiche dovranno essere specificamente approvate dal progettista.
Quanto alla progettazione esecutiva, la novità di maggiore rilievo riguarda la necessità di predisporre un piano relativo alla manutenzione dell’opera in relazione al suo ciclo di vita.
Sulla bozza di decreto ministeriale in commento si è già espressa, con accenti critici, la Commissione Speciale del Consiglio di Stato. In particolare, con il recente parere n. 22 del 10 gennaio 2017 il Consiglio di Stato ha formulato molteplici rilievi: a non convincere è soprattutto l’elevato numero di adempimenti (e la complessità degli oneri connessi) richiesti fin dalla prima fase progettuale, che rischia di provocare un aumento dei costi per la realizzazione delle opere e, financo, pregiudicare il buon esito delle procedure.
Il Consiglio di Stato ha inoltre definito “non particolarmente felici” alcune scelte operate dal legislatore, riconducibili allo stesso Codice dei contratti pubblici, pertanto auspicando una “valutazione attenta delle norme sulla programmazione e sulla progettazione” in sede di correttivo al Codice.
Ulteriore punto a sfavore riguarda il mancato coinvolgimento delle autonomie locali all’iter di approvazione del decreto ministeriale. Come sottolineato dal Collegio, infatti, tale partecipazione sarebbe dovuta in ragione dell’attività di tali enti, che per sua natura è strettamente interessata dalle norme in questione.
Avv. Davide Ferrara