Rubrica di aggiornamento legislativo e giurisprudenziale del 18 gennaio 2017
Gare d’appalto, la mancata adesione al patto di legalità è sanabile nel corso del procedimento: la Delibera Anac n. 1374 del 21 dicembre 2016.
Il soggetto che omette di allegare all’offerta l’adesione ai patti di legalità contro il rischio di infiltrazione criminale nelle gare d’appalto, di cui all’art. 1, comma 17, l. n. 190/2012, può correggere l’errore ed evitare l’esclusione pagando la sanzione prevista dal bando per il soccorso istruttorio, che non può comunque superare il tetto di cinquemila euro.
Questo è quanto ha stabilito l’Anac con delibera n. 1374 del 21 dicembre 2016 (depositata presso la Segreteria del Consiglio in data 4 gennaio 2017) su richiesta di parere formulata dal Ministero dell’Interno, nel solco di quanto già deciso dalla medesima Autorità (determinazione n. 1/2015 e delibera n. 227/2016) nella vigenza del precedente Codice dei contratti pubblici (D. Lgs. n. 163/2006).
Laddove le dovute dichiarazioni di adesione ai protocolli di intesa sulla legalità non vengano allegate ai documenti di gara, secondo l’Autorità non deve applicarsi la sanzione dell’esclusione automatica, bensì occorre attivare la procedura di soccorso istruttorio con la quale la stazione appaltante richiede al soggetto di sanare la propria posizione entro dieci giorni. In questo caso, al soggetto verrà applicata la sanzione di cui all’art. 83, comma 9, del D. Lgs. n. 50/2016, ossia una somma compresa fra l’uno ed il cinque per mille del valore dell’appalto, che nel massimo non può comunque superare i cinquemila euro.
Ciò, chiarisce l’Autorità, nel solo caso in cui il soggetto non voglia incorrere nell’esclusione dalla gara. Se invece egli non risponde alla richiesta di regolarizzazione, optando quindi per l’esclusione, la sanzione non deve essere pagata.
Avv. Riccardo Rotigliano
Tar Calabria, sez. I, 19 luglio 2016, n. 1545: riduzione dei tempi di progettazione e di esecuzione quali coefficienti di valutazione quantitativa dell’offerta.
Se la lex specialis prevede che la riduzione dei tempi di progettazione e di esecuzione dei lavori, unitamente al prezzo, sono considerati quali coefficienti degli elementi di valutazione quantitativa, allora, tali elementi non devono essere conosciuti al momento della valutazione discrezionale dell’offerta tecnica.
Questo il principio di diritto con cui il Tar Calabria ha risolto una controversia in materia di appalti, ove una ditta partecipante a una procedura aperta ha impugnato sia la legge di gara sia l’aggiudicazione definitiva. Le censure dell’impresa ricorrente, seppure rubricate sotto diversi motivi di illegittimità, si incentravano tutte sulla violazione del principio di segretezza.
In particolare, una norma del disciplinare di gara relativa all’offerta tecnica sulla progettazione definitiva e la realizzazione dell’intervento, prescriveva l’inclusione nell’offerta di una relazione tecnica ai fini della valutazione della riduzione del tempo di esecuzione, disponendo che la relazione medesima doveva illustrare e giustificare la riduzione del tempo di esecuzione tramite un dettagliato programma esecutivo.
La riduzione del tempo, dunque, costituiva elemento di valutazione automatica dell’offerta e, quale parametro di valutazione quantitativa della stessa, era destinato a non essere conosciuto al momento della valutazione discrezionale degli elementi dell’offerta tecnica. Ciononostante, proprio perché previsto dalla legge di gara, le imprese concorrenti avevano provveduto a produrre la relazione tecnica che descriveva il profilo temporale in discorso.
Ecco che il Collegio, confermando un orientamento giurisprudenziale già rassegnatosi sul tema (cfr. Tar Calabria, Sez. I, 6 giugno 2016, n. 1172, peraltro in accordo con Tar Puglia, Sez. I, 2 settembre 2014, n. 1053 e Tar Umbria, 7 maggio 2010 n. 279), ha dichiarato l’illegittimità della lex specialis, poiché “Se la riduzione dei tempi di progettazione e di esecuzione dei lavori, unitamente al prezzo, sono considerati nel disciplinare quali coefficienti degli elementi di valutazione quantitativa e, quindi, quali elementi di valutazione di carattere automatico, allora, secondo una regola costituente chiaro corollario del principio di segretezza delle offerte, essi non devono essere conosciuti al momento della valutazione discrezionale degli elementi dell’offerta tecnica; nel caso di specie, la riduzione del tempo di esecuzione era prevista, dall’art. 4 del disciplinare di gara per l’offerta tecnica sulla progettazione definitiva e la realizzazione dell’intervento, quale elemento di valutazione automatica dell’offerta, e dunque quale parametro di valutazione quantitativa dell’offerta, destinato a non essere conosciuto al momento della valutazione discrezionale degli elementi dell’offerta tecnica; nonostante ciò, le offerte tecniche presentate da entrambi i controinteressati contenevano indicazioni sul tempo di esecuzione dell’opera; in effetti, tale indicazione appare conforme – come rilevato dalla stessa commissione valutatrice - a quanto richiesto dall’art. 4.1.1. del disciplinare, secondo il quale l’offerta tecnica “dovrà contenere altresì una relazione tecnica (…) da predisporre con riferimento agli elementi (…)d) riduzione del tempo di esecuzione dei lavori (…) in cui siano dettagliati: l’approccio metodologico tecnico – progettuale - esecutivo, con la dimostrazione del rispetto dei fabbisogni e delle esigenze espresse dalla Stazione Appaltante, giustificando, in maniera inequivocabile, la riduzione del tempo di esecuzione tramite un dettagliato programma esecutivo”; deve dunque, ritenersi l’illegittimità dell’art. 4.1.1. del disciplinare, che si comunica conseguentemente a tutti gli altri atti della procedura impugnata”.
Avv. Riccardo Rotigliano
Edilizia privata - varianti in corso d’opera: il titolo richiesto dipende dal “peso” delle modifiche.
La normativa vigente consente di modificare in corso d’opera il progetto originario dell’opera, attraverso la presentazione di varianti. Tuttavia, la legge non definisce compiutamente la portata delle varianti. Ecco perché a tale lacuna ha finora supplito la giurisprudenza, che ha individuato tre tipologie di varianti: ordinarie, leggere ed essenziali.
Circa le varianti ordinarie, il Consiglio di Stato ha precisato che le modifiche, sia qualitative sia quantitative, possono considerarsi varianti in senso proprio soltanto quando il progetto già approvato non venga radicalmente mutato. Per comprendere quando ciò si verifica occorre fare riferimento a diversi indici, quali “la superficie coperta, il perimetro, la volumetria nonché le caratteristiche funzionali e strutturali (interne ed esterne) del fabbricato” (Cons. Stato, sez. IV, 11/4/07, n. 1572). In caso di varianti ordinarie, in sostanza, il progetto rimane pur sempre collegato a quello originario. Infatti, il nuovo titolo viene rilasciato con lo stesso procedimento previsto per il rilascio del permesso di costruire.
Le varianti leggere sono previste dall’art. 22, comma 2, d.P.R. n. 380/01. Ai sensi di tale norma, sono realizzabili mediante segnalazione certificata d’inizio attività (Scia) le varianti a permessi di costruire che non incidono su parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell’edificio qualora sottoposto a vincolo paesaggistico o storico – artistico, ai sensi del d. lgs.vo n. 42/04, e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Come affermato dalla giurisprudenza, “In tali ipotesi, la S.C.I.A. (ex D.I.A.) costituisce "parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell'intervento principale" e può essere presentata prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori: la formulazione dell'art. 22 consente, pertanto, la possibilità di dare corso alle opere in difformità dal permesso di costruire e poi regolarizzarle entro la fine dei lavori, purché si tratti – come si è visto – di varianti leggere o minori” (Tar Calabria - Catanzaro, sez. II, 1/2/16, n. 150).
La L. 164/14 ha, inoltre, aggiunto il comma 2-bis all’art. 22 d.P.R. n. 380/01, ampliando le ipotesi di modifiche leggere e includendo in tale categoria delle modifiche leggere “le varianti a permessi di costruire che non configurano una variazione essenziale, a condizione che siano conformi alle prescrizioni urbanistico - edilizie e siano attuate dopo l'acquisizione degli eventuali atti di assenso prescritti dalla normativa sui vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del patrimonio storico, artistico ed archeologico e dalle altre normative di settore”.
Quelle “essenziali”, infatti, non possono considerarsi vere e proprie varianti. La giurisprudenza ha evidenziato che “costituisce variazione essenziale ogni modifica incompatibile con il disegno globale ispiratore dell’originario progetto edificatorio, sia sotto il profilo qualitativo sia sotto l’aspetto quantitativo” (Tar Calabria - Catanzaro, sez. II, 1/2/16, n. 150). Per comprendere quando tali varianti si configurano, soccorre la definizione enunciata dall’art. 32 del d.P.R. 380/01, la quale ricomprende il mutamento della destinazione d’uso implicante alterazione degli standards, l’aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio, le modifiche sostanziali di parametri urbanistico - edilizi, il mutamento delle caratteristiche dell'intervento edilizio assentito e la violazione delle norme vigenti in materia antisismica. Le variazioni essenziali necessitano del rilascio di un nuovo e autonomo permesso di costruire e sono soggette alle disposizioni vigenti nel momento in cui vengono presentate.
Queste le ragioni per cui, nelle ipotesi di variazioni essenziali non autorizzate, la giurisprudenza ha ritenuto legittima “l'applicazione della sanzione demolitoria, che l'articolo 31, comma 2, dello stesso D.P.R. riconnette non soltanto agli interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire, ma anche a quelli realizzati con "variazione essenziali", determinate ai sensi del richiamato art. 32 (T.A.R. Lazio, sez. I-quater, 2 aprile 2015 n. 4975; T.A.R. Reggio Calabria, sez. I, 5 agosto 2015, n.834)” (Tar Calabria - Catanzaro sez. II, 1/2/16, n. 150).
Avv. Riccardo Rotigliano