Rubrica di aggiornamento legislativo e giurisprudenziale del 15 Ottobre 2015
I REQUISITI DI IDONEITÀ DEI DIRETTORI TECNICI NEL SETTORE DEI BENI CULTURALI.
Con la sentenza del 15 settembre u.s. (Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza n. 4290/15), i Giudici di Palazzo Spada si sono espressi su una questione di diritto, attinente “all’interpretazione di un complesso e disordinato quadro normativo”. Si trattava di stabilire se la norma transitoria di cui all’art. 357, comma 23, del D.P.R. n. 207/2010 – secondo cui i soggetti che alla data di entrata in vigore del D.P.R. n. 34/2000 svolgevano le funzioni di direttore tecnico potevano conservare l’incarico presso la stessa impresa anche se privi dei requisiti introdotti dall’art. 87 del medesimo D.P.R. n. 207/2010 – si applicasse anche alla qualificazione relativa ai beni culturali, per la quale l’art. 248, co. 5, D.P.R. cit. prevede un regime speciale, più ristretto quanto all’ambito soggettivo e ai connessi titoli di studio (laurea in architettura o equipollente).
Il dubbio si pone a causa di un difetto di coordinamento normativo tra alcune disposizioni contenute nel D.P.R. n. 207/2010.
L’Autorità Nazionale Anticorruzione, mutando la propria iniziale posizione interpretativa, aveva escluso l’applicabilità della deroga di cui al citato art. 357, comma 23, alla qualificazione relativa ai beni culturali.
Con la sentenza in commento, il Consiglio di Stato non ha condiviso tale interpretazione, ritenendo, “in un’ottica sostanzialistica, di valorizzare la ratio della deroga contenuta nell’art. 357, comma 23, che è quella di garantire la continuità imprenditoriale di imprese che da tempo operano sul mercato con la medesima direzione tecnica e di impedire che vengano “estromessi” dallo stesso mercato direttori tecnici già qualificati in base alle previgenti norme e che, se non operasse la deroga, sarebbero distolti dalle funzioni precedentemente svolte, senza possibilità di integrare la propria formazione”.
Pertanto, ai fini dell’ottenimento della attestazione SOA nella ctg. OG2 ai sensi della nuova disciplina recata dal D.P.R. n. 207/10, è possibile indicare un direttore tecnico ancorché non in possesso dei requisiti di cui all’art. 248, co. 5 (laurea in architettura o equipollente), purché tale soggetto svolgesse già tali funzioni in passato.
avv. Riccardo Rotigliano
rrotigliano@scozzarirotigliano.com
TITOLO EDILIZIO E DESTINAZIONE DEL MANUFATTO.
A mente dell’art. 3, comma 1, lett. e), D.P.R. 380/2001 sono da considerarsi “«interventi di nuova costruzione», quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti”.
Il citato articolo 3, quindi, nel definire gli interventi edilizi annovera nella categoria di “nuova costruzione” le strutture la cui realizzazione determini una trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, categoria più volte specificata ed arricchita grazie all’elaborazione giurisprudenziale.
Sulla base di questa cornica generale, il Consiglio di Stato (sez. VI, sentenza 18 settembre 2015, n. 4357) ha ritenuto che i container o gli altri generi di manufatti non ancorati al suolo ma poggiati su ruote, privi di allacci alla rete elettrica, idrica e fognaria, usati alla stregua di meri depositi, non costituiscono costruzione ai sensi della norma sopra citata e, pertanto, sono installabili sul terreno senza l’esigenza di acquisire il titolo abilitativo.
Invero, “La loro stessa struttura non ancorata al suolo, ma poggiata su ruote per consentire l'agevole spostamento, in assenza di qualsiasi allacciamento alla rete elettrica, idrica e fognaria, struttura unicamente usata come mezzo di custodia di materiale informativo per la cennata esigenza, consente di affermare che sia il container che la casetta risultino privi di quelle caratteristiche necessarie per poterli configurare come soggetti alla necessità di un titolo edilizio, la cui mancanza configura l'abusività di una qualsiasi costruzione. (…) Secondo questo Collegio, quindi, in considerazione delle attività descritte dagli appellanti e riconosciute dalla stessa sentenza impugnata, è ragionevole affermare che si rinvengono nella specie le caratteristiche di precarietà dei manufatti che, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera e. 5 del d.P.R. n. 380/2001, consentono di ritenere i medesimi installabili sul terreno citato senza l'esigenza di acquisire il permesso di costruire”.
avv. Riccardo Rotigliano
rrotigliano@scozzarirotigliano.com
I PROGETTISTI “DESIGNATI” NELL’APPALTO INTEGRATO
L’“appalto integrato” si distingue dalla tradizionale forma di appalto perché non ha ad oggetto solo l’esecuzione dei lavori, ma comprende anche la progettazione (definitiva ed esecutiva, o solo esecutiva).
In tale caso, pertanto, oggetto della prestazione a carico dell’aggiudicatario è anche la progettazione, in relazione alla quale dovrà dimostrare il possesso dei relativi requisiti di ordine speciale. Al riguardo, l’art. 53, co. 3, D. Lgs. n. 163/06 pone all’impresa edile che voglia concorrere ad un appalto integrato 3 alternative:
- partecipare da soli, in quanto in possesso anche dei requisiti prescritti per i progettisti (attestato SOA esteso anche alla progettazione);
- riunirsi in associazione temporanea di impresa con progettisti qualificati;
- avvalersi di progettisti qualificati, da indicare in sede di partecipazione alla gara.
Ora, con riferimento a tale terza eventualità (c.d. progettisti “indicati” o “designati”), è utile richiamarne brevemente natura e funzioni, tenuto conto che nella prassi amministrativa non di rado si registrano incertezze applicative al riguardo.
Essi non rivestono la qualifica di “concorrenti”. Pertanto, non intrattengono con la stazione appaltante alcun rapporto contrattuale. Tuttavia, da questa premessa non può farsi scaturire la conseguenza che i progettisti “indicati” siano esentati dall’onere di dimostrare già in fase di partecipazione alla gara il possesso dei requisiti di ordine generale e speciale (art. 263 D.P.R. n. 207/10). Al riguardo, anche la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato ha precisato che “il possesso dei requisiti di ordine generale di cui all’articolo 38 grava su tutti gli operatori economici che partecipano a qualunque titolo a procedure di evidenza pubblica, anche a prescindere da qualsiasi prescrizione della lex specialis e anche sui progettisti ex articolo 53, comma 3 del codice dei contratti pubblici”; […] i progettisti indicati, al pari di quelli associati, devono essere “qualificati” e come tali in possesso sia dei requisiti di ordine generale che di quelli di capacità tecnico professionale. […] “la ratio agevolatrice del concorrente (ancorché “unico”) consistente nella prevista possibilità di indicazione del progettista non può incidere sulla necessità che sia garantita – quanto meno tendenzialmente - l’affidabilità e l’onorabilità nei riguardi di chi venga comunque in rapporto diretto con la pubblica amministrazione, indipendentemente dal soggetto (il concorrente) destinatario del pagamento del corrispettivo e su cui ricada l’eventuale responsabilità da inadempimento”, confortata dall’orientamento espresso dall’Adunanza Plenaria n. 8 del 2012 per fattispecie similare, secondo cui il possesso dei requisiti di ordine generale costituisce presupposto indefettibile di qualsiasi pubblico affidamento o sub affidamento. Tale ratio permea la disciplina del codice dei contratti pubblici e non consente l’interpretazione seguita nella sentenza impugnata secondo la quale nell’appalto integrato i progettisti “indicati”, non essendo essi stessi concorrenti non sarebbero tenuti al possesso dei requisiti di ordine generale” (Cons. Stato, V, 16 febbraio 2015, n. 775).
Inoltre, di recente la Quinta Sezione del Consiglio di Stato (ordinanza 4 giugno 2015, n. 2737) ha rimesso alla Corte di Giustizia la questione interpretativa intorno alla compatibilità comunitaria della disciplina domestica che proibisce il c.d. avvalimento a cascata, con particolare riferimento alla sua applicabilità al progettista “indicato” ex art. 53, co. 3, D. Lgs. n. 163/06. Ebbene, in quella sede il ragionamento è stato sviluppato a partire dall’esatta considerazione circa la necessità che il progettista, ancorché “designato” o “individuato”, sia comunque in grado di dimostrare il possesso dei requisiti di ordine speciale. Infatti, “secondo la giurisprudenza comunitaria (cfr., da ultimo da corte di giustizia, 10 ottobre 2013, c-94/12) l’istituto dell’avvalimento si applica non ai soli concorrenti ma a tutti gli operatori economici, tenuti a qualsiasi titolo a dimostrare il possesso dei requisiti in sede di gara; ritenuto, quindi, che sulla base del predetto orientamento si pone il dubbio che un soggetto, come il progettista nella presente gara, per cui vi è contestazione, che è qualificato dalla nostra giurisprudenza amministrativa come mero “collaboratore dell’offerente”, pur essendo tenuto a dimostrare i necessari requisiti di qualificazione previsti dal bando di gara, in base al citato art. 53, comma 3, del codice dei contratti, possa non essere qualificabile come operatore economico e, quindi, non possa fare ricorso all’istituto dell’avvalimento”.