Rubrica di aggiornamento legislativo e giurisprudenziale del 09 Ottobre 2015
La competenza dei geometri alla progettazione di costruzioni in conglomerato cementizio armato
Con un recente parere del 4 settembre scorso (n. 2539, Pres. ed Est. Sergio Santoro) la Seconda Sezione del Consiglio di Stato interviene, in sede consultiva, a dirimere il noto e risalente contrasto di opinioni a riguardo delle competenze dei geometri a progettare costruzioni in cemento armato.
Il regolamento del 1929 (R.D. 11 febbraio 1929, n. 274) attribuisce ai geometri la competenza alla progettazione di “piccole costruzioni in cemento armato” che siano “accessorie” rispetto a costruzioni rurali e ad edifici per uso di industrie agricole (art. 16, lett. l), nonché alla generica progettazione di “modeste costruzioni civili” (lett. m). Nel vigore della norma del 1939 (art. 1 R.D. 16 novembre 1939, n. 2229) che riservava alla competenza esclusiva di architetti ed ingegneri la competenza in materia di opere di conglomerato cementizio (semplice ed armato) “la cui stabilità possa comunque interessare l’incolumità delle persone”, le citate norme regolamentari sulla professione di geometra erano state intese nel senso che, al di fuori dell’eccezione stabilita per le opere in c.a. dall’art. 16, lett. l), cit. (piccole costruzioni accessorie di edifici rurali), il geometra non avesse alcuna competenza in materia, nel senso che quella sulle “modeste costruzioni civili” di cui alla successiva lett. m) presupponeva che le stesse non fossero in cemento armato.
Nel 2010 tale condivisibile interpretazione restrittiva delle competenze del geometra aveva vacillato per effetto dell’abrogazione, per effetto del c.d. “taglia leggi 2” (d. lgs. n. 212/10), della norma del 1939 sopra citata. Secondo alcune voci, per la verità minoritarie, tale abrogazione avrebbe rimosso ogni ostacolo alla competenza dei geometri sulle costruzioni civili, che, quindi, ben poteva estendersi anche alle opere in c.a. Secondo una più prudente e condivisibile interpretazione, invece, rimaneva – anche dopo l’abrogazione dell’art. 1 R.D. n. 2229/39 – il divieto per i geometri di progettare costruzioni civili in c.a.
Il parere del Consiglio di Stato, reso su richiesta della Regione Toscana, abbraccia una tesi intermedia, ma sostanzialmente più vicina alla posizione garantista da ultimo richiamata. Infatti, secondo i giudici di Palazzo Spada occorre innanzi tutto individuare “un principio regolatore, che deve sovrintendere all’esercizio delle competenze dei vari ordini professionali”. Principio che essi individuano nel “pubblico e preminente interesse rivolto alla tutela della pubblica incolumità”, già peraltro richiamato in modo esplicito dallo stesso regolamento geometri del 1929 (cfr. lett. l) cit.).
In altre parole, anche alle “modeste costruzioni civili”, sulle quali il geometra ha, in astratto, competenza, vanno applicati analogicamente i limiti individuati per le piccole costruzioni costruzioni in c.a. accessorie ad edifici rurali, ovvero:
- la loro progettazione non deve richiedere “particolari operazioni di calcolo”;
- la loro destinazione d’uso non può “comunque implicare pericolo per la incolumità delle persone”.
Sicché, per quanto il concetto di “modestia” della costruzione civile non sia di univoca determinazione (anche se, ci ricorda il Consiglio di Stato, esso va verificato non solo dal punto di vista quantitativo, ma anche qualitativo), per le modeste costruzioni civili la competenza del geometra può riguardare anche le opere in c.a. soltanto nel caso in cui non siano oltrepassati i due cennati limiti. Con la conseguenza, nel caso di opere da realizzarsi in zona sismica (nel parere si riferisce che tale classificazione riguarda tutte le Regioni italiane ad eccezione della Sardegna), che “l’assenza del pericolo per la incolumità delle persone” vada valutata “con particolare rigore, al fine di considerare con prevalente attenzione la progettazione, esecuzione e direzione dei lavori delle opere statiche, che dovrà essere demandata alla responsabilità di un professionista titolare di specifiche competenze tecniche all’effettuazione dei calcoli necessari ed alla valutazione delle spinte, controspinte e sollecitazioni, cui può essere sottoposta la costruzione. Sicché la progettazione statica, in questi casi, avrà prevalenza sulla progettazione architettonica e, se si vuole, il professionista capofila non potrà che essere l’ingegnere o l’architetto”.
avv. Riccardo Rotigliano
rrotigliano@scozzarirotigliano.com
Costi di sicurezza aziendale o interni negli appalti pubblici
Negli ultimi anni la giurisprudenza amministrativa si è occupata a lungo della questione attinente all’indicazione dei costi di sicurezza aziendale in seno alle offerte economiche negli appalti di lavori, servizi e forniture.
Secondo una tesi più rigorosa, la omessa indicazione di tale elemento dell’offerta economica, per quanto non richiesto dal bando e dal disciplinare di gara, comporta l’esclusione del concorrente, per violazione degli artt. 86, co. 3 bis e 87, co. 4, d. lgs. n. 163/06.
Secondo un altro indirizzo, meno rigoroso, invece, l’esclusione in tale evenienza non può mai essere comminata, tenuto conto che le norme citate afferiscano alla fase – successiva a quella dell’ammissione dei concorrenti – di valutazione della congruità dell’offerta (verifica di anomalia). Secondo un indirizzo intermedio, invece, l’esclusione presuppone che tale onere dichiarativo sia stato chiaramente imposto ai concorrenti dalla legge di gara.
Tuttavia, due importanti novità, una normativa, l’altra giurisprudenziale, hanno definitivamente messo un punto fermo.
Con sentenza n. 3 del 2015, infatti, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, aderendo all’indirizzo più rigoroso, ha statuito che tale dichiarazione va sempre resa, ancorché non prevista dalla legge di gara, con la conseguenza che la sua omissione conduce alla esclusione del concorrente.
Sennonché, tale principio di diritto è stato normativamente superato dalle modifiche introdotte dal codice dei contratti pubblici dal d.l. n. 90/14. In particolare, l’art. 39 d.l. cit. ha introdotto due commi (art. 38, co. 2 bis e art. 46, co. 1 ter) in virtù dei quali:
- “La mancanza, l'incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2 obbliga il concorrente che vi ha dato causa al pagamento, in favore della stazione appaltante, della sanzione pecuniaria stabilita dal bando di gara, in misura non inferiore all'uno per mille e non superiore all'uno per cento del valore della gara e comunque non superiore a 50.000 euro, il cui versamento è garantito dalla cauzione provvisoria. In tal caso, la stazione appaltante assegna al concorrente un termine, non superiore a dieci giorni, perché siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti che le devono rendere. Nei casi di irregolarità non essenziali, ovvero di mancanza o incompletezza di dichiarazioni non indispensabili, la stazione appaltante non ne richiede la regolarizzazione, né applica alcuna sanzione. In caso di inutile decorso del termine di cui al secondo periodo il concorrente è escluso dalla gara. Ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte non rileva ai fini del calcolo di medie nella procedura, né per l'individuazione della soglia di anomalia delle offerte” (art. 38, co. 2 bis);
- “Le disposizioni di cui all'articolo 38, comma 2-bis, si applicano a ogni ipotesi di mancanza, incompletezza o irregolarità degli elementi e delle dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono essere prodotte dai concorrenti in base alla legge, al bando o al disciplinare di gara”.
In altre parole, se è vero (come ci ricorda l’Adunanza Plenaria, che però ha affrontato il caso di una gara celebratasi anteriormente alle modifiche di cui ora s’è detto) che l’indicazione sui c.d. costi di sicurezza aziendale va sempre resa, per le gare celebratesi dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 90/14 (giugno 2014), la mancata osservanza di tale onere dichiarativo non può – al pari di ogni altra omissione che riguardi dichiarazioni e documenti da produrre in sede di gara – condurre all’esclusione, dovendosi in questo caso dare luogo al c.d. soccorso istruttorio oneroso. Ovvero, come prevedono le norme richiamate, all’assegnazione di un termine per la produzione della dichiarazione omessa, e all’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria per il caso che il concorrente dia seguito alla richiesta. Al riguardo, l’Anac ha precisato (determinazione n. 1 dell’8 gennaio 2015) che la sanzione si applica soltanto in tale evenienza, con la conseguenza che se, invece, alla richiesta del seggio di gara non fa seguito la produzione del documento o della dichiarazione, il concorrente verrà escluso senza però applicare la sanzione.
La giurisprudenza più recente mostra di essere concorde su tali conclusioni. Ad esempio, secondo Tar Sicilia, Catania, Sez. I, 10/07/15, n. 1896 “Occorre, inoltre, considerare come, l’Adunanza Plenaria nella sentenza n. 3/2015, invocata dal Consorzio aggiudicatario, abbia – sì - statuito che “nelle procedure di affidamento di lavori i partecipanti alla gara devono indi-care nell’offerta economica i costi interni per la sicurezza del lavoro, pena l’esclusione dell’offerta dalla procedura anche se non prevista nel bando di gara”, contestualmente chiarendo – però - come la regola di specificazione (o separata indicazione) dei costi di sicurezza operi in via primaria nei confronti delle amministrazioni aggiudicatrici in sede di predisposizione degli atti di gara per lavori e al fine della valutazione dell’anomalia delle offerte (in tal senso, il punto 2.9 della citata decisione dell’Adunanza Plenaria), con la conseguenza che, ove – come nel caso di specie - un’indicazione dei costi di sicurezza interni sia stata comunque resa dal concorrente ai fini della veri-fica di anomalia della propria offerta, la mancanza di un espresso scorporo di tali costi dal quantum, in assenza di una espressa previsione in tal senso negli atti di gara, non possa risolversi in una causa di esclusione dalla gara, anche alla luce del principio di tassatività delle cause di esclusione previsto dall'art. 46, comma 1 bis, del Codice dei contratti pubblici (in senso conforme, l’ancor più recente sentenza del Consiglio di Stato, sezione VI, n. 1798 del 9 aprile 2015)”.
Per quanto attiene, in particolare, all’ambito dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria, la questione poteva dirsi già in nuce risolta dalla considerazione che per tali servizi, frutto di un’attività intellettuale resa dal professionista, si può già escludere in astratto che il concorrente possa sopportare costi di sicurezza interni alla propria organizzazione (di lavoratore autonomo o di azienda).
avv. Riccardo Rotigliano
rrotigliano@scozzarirotigliano.com
Cassazione, Sezioni Unite, ordinanza 16/07/14, n. 16240: responsabilità contabile del progettista dei lavori e del direttore dei lavori
La Suprema Corte chiarisce ancora una volta i limiti alla giurisdizione della Corte dei Conti in materia di responsabilità amministrativa e contabile del direttore dei lavori e del progettista. In particolare, per regola generale il progettista esterno, non essendo organo dell’amministrazione, non risponde innanzi la Corte dei Conti per i danni arrecati alla stesa in relazione a difetti di progettazione. A rispondere, invece, innanzi la Corte dei Conti è il direttore dei lavori, in quanto organo della stazione appaltante deputato a sovrintendere alla corretta e fedele esecuzione dell’appalto, anche mediante l’esercizio di poteri autoritativi (ad es. ordini di servizio) verso l’esecutore. Tale responsabilità si estende anche ai fatti commessi dal direttore dei lavori nella qualità di progettista. Questa, però, la regola generale. Regola che secondo le Sezioni Unite della Cassazione subisce una deroga nel caso di affidamento dei lavori a contraente generale, perché, in tale caso, il direttore dei lavori è nominato dall’impresa e ad essa risponde. Con la conseguenza che in questo caso difetta la giurisdizione della Corte dei Conti. Secondo la cassazione, infine, la responsabilità amministrativa sussiste anche in capo ai componenti della commissione di collaudo, mentre difetta per i componenti della commissione di accordo bonario.