Rubrica di aggiornamento legislativo e giurisprudenziale 2/luglio 2017
Introdotto nell’ordinamento italiano il «débat public» per le grandi opere infrastrutturali
In attuazione dell’art. 22, comma 2, del Codice dei contratti pubblici – D. Lgs. n. 50/2016, rubricato “Trasparenza nella partecipazione di portatori di interessi e dibattito pubblico”, è in fase di definizione il Dpcm sul dibattito pubblico, mutuato dall’istituto francese del “débat public”, procedura avente lo scopo di “democratizzare” i processi decisionali che conducono all’approvazione dei progetti relativi alle grandi opere, coinvolgendo sin nella prima fase della localizzazione del progetto e del suo dimensionamento la pubblica opinione.
L’esperimento di tale procedura diverrà obbligatorio per la realizzazione delle opere pubbliche di importo superiore a 200 o 500 milioni di euro, a seconda della tipologia; diverrà altresì comunque obbligatorio, al di là del valore dell’opera, qualora ne faccia richiesta la Presidenza del Consiglio o un Ministero, gli Enti locali (Consigli Regionali, Province, Città metropolitane o un numero di Consigli comunali che rappresenti almeno 100'000 abitanti) o la cittadinanza (procedendo alla raccolta di almeno 50'000 firme). In disparte da tali ipotesi obbligatorie, il soggetto proponente l’opera ha comunque facoltà di indire, su base volontaria, il dibattito pubblico.
La durata del solo dibattito è individuata in 4 mesi, preceduti da una fase preparatoria che può protrarsi per un massimo di 3 mesi ed è inoltre individuata una possibile fase di proroga del dibattito, in presenza di comprovate necessità, che perduri non oltre i 2 mesi successivi rispetto al normale decorso della procedura.
La procedura consta di una serie di incontri pubblici, di informazione, approfondimento e discussione, in particolare nei territori interessati dalla realizzazione dell’opera, e nella raccolta di proposte migliorative da parte della società civile.
Essa è gestita da un responsabile, che ha l’obbligo di svolgere il proprio compito in piena autonomia ed indipendenza, scelto mediante procedure di evidenza pubblica, col quale collaboreranno il soggetto proponente dell’opera ed un comitato di monitoraggio, formato da esponenti degli Enti locali interessati dal progetto e che avrà i compiti di: a) contribuire alla definizione delle modalità di svolgimento del dibattito pubblico; b) collaborare alla realizzazione e alla supervisione del dibattito; c) concorrere alla soluzione dei problemi e delle criticità che eventualmente si manifestassero durante il dibattito; d) contribuire alla discussione e alla valutazione delle proposte emerse nel corso del dibattito pubblico.
Entro tre mesi dalla fine del dibattito, il soggetto proponente è tenuto a presentare una relazione conclusiva che evidenzi le eventuali modifiche apportate al progetto e le ragioni che lo hanno condotto a non accettare eventuali proposte formulate durante il dibattito.
Avv. Davide Ferrara
La Dia dev’essere completa e veritiera anche per opere non strutturali
La dichiarazione di inizio attività dev’essere completa e veritiera, anche quando concerne opere di modesta entità, di carattere non strutturale. È quanto ha ribadito il Tar Lazio, sez. II-bis, con la sentenza n. 7858 del 5 luglio 2017.
Il caso prende le mosse dalla vicenda del proprietario di una unità immobiliare che, al fine di realizzare una sopraelevazione di tre metri di altezza, con superficie di appena 8,88 mq (mediante l’utilizzo di pannelli leggeri appoggiati al solaio già esistente), ha presentato una DIA priva dell’autorizzazione antisismica. Motivo per cui l’Amministrazione comunale inibiva l’esecuzione dei lavori oggetto della denuncia del privato.
Il Tribunale Amministrativo ha ritenuto legittima la condotta del Comune, in quanto “la DIA della ricorrente, riguardante, come evidenziato dall'Amministrazione Comunale e come emergente dagli atti, un intervento di sopraelevazione, anche se di modesta entità, avrebbe dovuto, in verità, essere soggetta alla verifica antisismica ai sensi dell'art. 2 del Regolamento Regionale n. 2/2012, documento, invece, assente nel progetto presentato. In mancanza di tale accertamento, la DIA presentata dalla ricorrente non poteva, dunque, neppure dirsi integrata e legittimare le opere realizzate”, richiamando ulteriormente in termini la consolidata giurisprudenza amministrativa sul punto, al lume della quale: “La dichiarazione di inizio attività … ( infatti) non dà vita ad una fattispecie provvedimentale di assenso tacito, bensì riflette un atto del privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge. Con riferimento sia alle d.i.a. di cui alla normativa di settore (con particolare riferimento all'edilizia) sia al modello generale di cui all'art. 19, l. n. 241 del 1990, presupposti indefettibili perché la d.i.a. possa essere produttiva di effetti sono la completezza e la veridicità delle dichiarazioni contenute nell'autocertificazione. Infatti, il decorso del termine di trenta giorni non può avere alcun effetto di legittimazione dell'intervento, rispetto ad una dichiarazione inesatta o incompleta, con la conseguenza che l'Amministrazione ha la facoltà e il potere di inibire l'attività o di sospendere i lavori” (cfr. Tar Lazio, Roma, Sez. I, 5.04.2013 n. 3506; Tar Campania, Napoli, Sez. II, 25.07.2016 n. 3869).
Nel concludere la motivazione, il Tar Lazio sottolinea come al cittadino, a norma del medesimo Regolamento Regionale, abbia in ogni caso la “facoltà di ripresentare nuova DIA con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa vigente”.
Dott. Giuseppe Acierno