Rubrica di aggiornamento giurisprudenziale n. 6/2020
Cons. Stat., sez. V, sent. n. 3169/2020: i contratti continuativi di cooperazione non possono sostituire il subappalto e l'avvalimento.
La stipulazione di un contratto di collaborazione continuativa di cui all'art. 105, co. 3, lett. c-bis), del Codice Appalti consente di sopperire alla carenza dei requisiti tecnici prescritti dalla lex specialis, ma non può essere utilizzata per far eseguire, neanche pro quota, attività oggetto dell'appalto ad un soggetto esterno dell'organizzazione aziendale dell'aggiudicataria (cfr, Cons. Stato n. 5541/2017).
I contratti "continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura" costituiscono uno degli strumenti negoziali che consentono al concorrente, che non possieda tutti i requisiti tecnici richiesti dal bando, di partecipare alla procedura, incrementando la sua capacità tecnico-professionale attraverso la cooperazione con altri operatori economici. Tuttavia, mentre attraverso il subappalto, l'avvalimento, la cooptazione e le forme associative previste dal Codice degli Appalti (i raggruppamenti temporanei, i consorzi temporanei o stabili, le aggregazioni di imprese nella forma del c.d. contratto di rete, il c.d. gruppo europeo di interesse economico, GEIE) il deficit di requisiti può essere colmato coinvolgendo altri soggetti nell'esecuzione delle prestazioni oggetto di appalto, i contratti cooperativi consentono di procurarsi ab externo esclusivamente i beni, gli strumenti e le competenze indispensabili all'esecuzione della prestazione, ma senza esternalizzare l'esecuzione delle attività oggetto dell'appalto.
Tale invalicabile limite risulta espressamente prescritto dall'art. 105 del Codice, che specifica che le prestazioni oggetto di contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura sono rese "in favore dei soggetti affidatari" e non delle stazioni appaltanti, il che esclude, evidentemente, la possibilità che l'ausiliario possa eseguire attività oggetto della procedura (cfr. Cons. Stato, V, 7256/2018). Ciò significa che le eventuali prestazioni acquistate attraverso detti contratti possono essere utilizzate esclusivamente all'interno dell'organizzazione aziendale dell'aggiudicatario, per incrementare la propria capacità tecnica.
In sostanza, attraverso i contratti continuativi di cooperazione, il concorrente di una gara di appalto può acquisire la disponibilità di attrezzature e dotazioni da utilizzare nell'esecuzione delle attività oggetto dell'affidamento oppure può avvalersi dei servizi e delle prestazioni fornite dall'ausiliario per colmare il proprio deficit di competenze tecniche, acquisendo le capacità necessarie all' esecuzione dell'appalto.
Consentire l'utilizzo dei contratti di cooperazione per delegare l'esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante realizzerebbe, peraltro, una indebita ed inammissibile sovrapposizione con gli istituti del subappalto e dell'avvalimento, espressamente esclusa dalla disciplina codicistica, che distingue nettamente dette fattispecie.
Emblematica, al riguardo, la circostanza che l'art. 105 del Codice qualifichi subappalto "il contratto con cui l'appaltatore affida a terzi l'esecuzione di una parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto" e comunque "qualsiasi contratto avente ad oggetto attività ovunque espletate che richiedono l'impiego di manodopera", e specifichi che le prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari in forza di contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura "non costituiscono subappalto"; il che comporta che dette forme di collaborazione non possono avere ad oggetto l' esecuzione delle prestazioni o lavorazioni previste dal contratto di appalto e comunque attività che richiedono l'impiego di forza lavoro.
La ratio del divieto di esternalizzare attività concernenti l'esecuzione dell'appalto attraverso i contratti di cooperazione risiede nell'esigenza di tutela dei principi di concorrenza, imparzialità, trasparenza, e di salvaguardia delle garanzie di affidabilità dei concorrenti e di corretta esecuzione delle attività oggetto dell'appalto.
Nelle ipotesi di avvalimento, subappalto, cooptazione di cui all'art. 92, co. 5, del d.P.R. 207/2010, e di ricorso alle altre formule associative previste dal Codice, infatti, il concorrente possiede autonomamente i requisiti tecnici necessari e si limita a delegare una quota circoscritta di attività ad un operatore qualificato di cui la stazione appaltante può verificare l'idoneità (subappalto e cooptazione), oppure la collaborazione si realizza attraverso "una sostanziale compenetrazione tra le imprese", in forza delle quale i soggetti ausiliari sono solidalmente responsabili nei confronti dell'amministrazione aggiudicatrice per l'esecuzione delle prestazioni oggetto dell'appalto, poiché partecipano alla procedura (forme associative) oppure assumono precisi impegni in ordine allo svolgimento delle relative attività (avvalimento), e sono assoggettati ai controlli di idoneità ed affidabilità prescritti.
Attraverso questi strumenti di integrazione del deficit di competenze tecniche dei concorrenti, pertanto, la corretta esecuzione dell'appalto risulta adeguatamente garantita dai precisi e vincolanti impegni assunti dagli operatori economici che intervengono ad adiuvandum dell'aggiudicatario e dalla circostanza che l'amministrazione aggiudicatrice può valutare l'idoneità tecnica di tutti i soggetti che partecipano allo svolgimento delle prestazioni oggetto di affidamento.
I contratti di cooperazione, invece, non forniscono analoghe garanzie, poiché gli obblighi concernenti il trasferimento di capacità tecnica riguardano esclusivamente le parti contraenti mentre la stazione appaltante resta completamente estranea al negozio, l'aggiudicatario dell'appalto e il soggetto che coopera con lui operano in maniera distinta ed autonoma, l'impresa ausiliaria non assume alcun obbligo nei confronti della stazione appaltante, il contratto di cooperazione attribuisce all'aggiudicatario un mero diritto di credito rispetto ai beni o alle attività che ne costituiscono oggetto, e non è prevista alcuna forma di controllo della idoneità del soggetto esterno a garantire gli standard qualitativi e quantitativi di esecuzione prescritti dalla disciplina di gara.
Sicché, consentire l'esternalizzazione di prestazioni oggetto dell'appalto attraverso detti contratti significherebbe "porre l'amministrazione in rapporto con un soggetto del quale non è mai stato accertato il possesso dei requisiti generali e speciali di partecipazione previsti dall'art. 80 d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 e dalla disciplina di gara".
In ragione delle suddette argomentazioni il Consiglio di Stato, con la sentenza in commento, ha statuito che l'impresa aggiudicataria dell'appalto, per l'esecuzione delle relative attività, "non può giovarsi dell'opera di un terzo con il quale aveva stipulato, prima della presentazione della domanda di partecipazione, un contratto di contratti di cooperazione servizio e/o fornitura finalizzato proprio a completare le operazioni di esecuzione dell'appalto".
Di conseguenza, "quando il terzo cooperante esegue una parte della prestazione oggetto del contratto d'appalto che l'impresa aggiudicataria non sa o non può eseguire si è fuori dalla fattispecie dell'art. 105, comma 3, lett. c-bis) del Codice, ed è corretta l'esclusione dalla procedura di gara; l'impresa concorrente avrebbe dovuto far ricorso agli strumenti negoziali allo scopo previsti dal codice dei contratti pubblici, l'avvalimento o le altre forme di partecipazione congiunta ad una procedura di gara".
Ciò posto, la sentenza precisa che nelle ipotesi in cui può rivelarsi difficile tracciare un netto confine tra acquisizione di dotazioni strumentali ed esternalizzazione di prestazioni contrattuali "assume carattere dirimente stabilire se l'impresa aggiudicataria, stipulando un contratto di cooperazione continuativa, si sia limitata a procurarsi il bene strumentale alla prestazione da rendere all'amministrazione, ovvero abbia affidato al terzo cooperante l'esecuzione di una parte (o frazione) della prestazione assunta nei confronti dell'amministrazione che non era in grado di eseguire ovvero ancora di una "sede operativa" con talune caratteristiche geografiche".
CGUE, sent. n. 219/2019, pubblicata l’11/06/2020: illegittimo escludere gli enti senza scopo di lucro dalle gare di ingegneria e architettura.
La normativa italiana che non consente l'affidamento di servizi di ingegneria e architettura agli enti senza scopo di lucro contrasta con il diritto dell'Unione europea. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia UE che si è pronunciata sulla conformità dell'art. 46, co. 1, del Codice dei Contratti alla direttiva 2014/24/UE a seguito del quesito posto dal TAR Lazio con l' ordinanza del 28 febbraio 2109, n. 2644 (“Se il combinato disposto del "considerando" n. 14 e degli articoli 19, comma 1, e 80, comma 2, della direttiva 2014/24/UE ostino ad una norma come l'art. 46 del decreto legislativo n. 50 del 18 aprile 2016 […] che consente ai soli operatori economici costituiti nelle forme giuridiche ivi indicate la partecipazione alle gare per l'affidamento dei servizi di architettura ed ingegneria”).
L' art. 46 del Codice non include le fondazioni e, in generale, gli enti senza scopo di lucro tra i soggetti ammessi a partecipare alle gare per l'affidamento dei servizi in questione. Esclusione che è confermata dal decreto del Ministero delle Infrastrutture dei Trasporti n. 263 del 2016 che, nell'indicare i requisiti che devono possedere i soggetti che intendono partecipare a gare per l'affidamento dei detti servizi, prende in considerazione solo i soggetti indicati nell'art. 46.
Il considerando n. 14 della direttiva 2014/24/UE stabilisce che “la nozione di "operatori economici" dovrebbe essere interpretata in senso ampio, in modo da comprendere qualunque persona e/o ente che offre sul mercato la realizzazione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi, a prescindere dalla forma giuridica nel quadro della quale ha scelto di operare”. Da qui, l'art. 2, paragrafo 2, punto 10, che definisce l' operatore economico “persona fisica o giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento di tali persone e/o enti che offra sul mercato la realizzazione di lavori e/o di un'opera, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi”. Definizione a cui si "agganciano" l'art. 19, paragrafo 1 “gli operatori economici non possono essere respinti soltanto per il fatto che, secondo la normativa dello Stato membro nel quale è aggiudicato l'appalto, essi avrebbero dovuto essere persone fisiche o persone giuridiche” e l'art. 80, paragrafo 2 “l'ammissione alla partecipazione ai concorsi di progettazione […] non può essere limitata dal fatto che i partecipanti […] debbano essere persone fisiche o persone giuridiche”.
Nel caso di specie, una fondazione scientifica, specializzata nel settore geofisico e sismologico, interessata a partecipare a gare d'appalto indette da amministrazioni locali per l'affidamento del servizio di classificazione del territorio in base al rischio sismico, aveva proposto ricorso al TAR Lazio avverso il provvedimento con cui l'ANAC aveva negato alla stessa l'iscrizione nell'elenco dei soggetti ammessi a partecipare alle gare per l'affidamento di servizi di architettura e ingegneria, con la motivazione che “le fondazioni non rientrano tra i soggetti previsti dall'art. 46, primo comma, del Dlgs 50/2016”. Da qui, l'ordinanza in narrativa con la quale il giudice amministrativo, dopo aver analizzato la normativa interna ed europea, aveva prospettato alla CGUS che: 1) la definizione restrittiva di operatore economico di cui all'art. 46, comma 1, del codice dei contratti pubblici “potrebbe essere giustificata dall'elevata professionalità richiesta agli offerenti per garantire la qualità dei servizi”; 2) la formulazione del considerando n. 14 della direttiva 2014/24/UE avrebbe lasciato spazio “alla possibilità che uno Stato membro circoscriva la partecipazione a talune procedure di aggiudicazione di appalti pubblici solo alle persone fisiche o a determinate persone giuridiche”.
Le osservazioni del TAR Lazio non hanno colto nel segno. L'Alta Corte ha confermato il principio secondo cui “qualora un ente sia abilitato […] a offrire sul mercato servizi di ingegneria e di architettura nello Stato membro interessato, esso non può vedersi negato il diritto di partecipare a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico avente ad oggetto la prestazione degli stessi servizi” (Corte di giustizia UE, sentenza del 23 dicembre 2009). Ed ha ritenuto inammissibile la presunzione che i soggetti che forniscono servizi di architettura e di ingegneria a scopo di lucro possano essere maggiormente affidabili, rammentando che l'art. 19, paragrafo 2, della direttiva 2014/24/UE stabilisce che “alle persone giuridiche può essere imposto d'indicare, nell'offerta o nella domanda di partecipazione, il nome e le qualifiche professionali delle persone incaricate di fornire la prestazione per l'appalto di cui trattasi.
- Leggi qui per approfondire
- Leggi qui il testo della sentenza
- Qui la domanda pregiudiziale alla CGUE da parte del Tar Lazio