Rubrica di aggiornamento giurisprudenziale n. 5/2020
TAR Toscana, sez. II, sent. n. 552/2020: Rotazione negli appalti, per escludere l'impresa non basta il controllo societario dell'operatore uscente.
La stazione appaltante non può escludere dalla gara un operatore economico partecipato al 51% dal contraente uscente, né può negargli l'aggiudicazione dell'appalto, nell'ipotesi in cui, al di là del rapporto di controllo societario, si tratti di soggetti sostanzialmente distinti.
Ciò perché la regola della rotazione degli inviti alle gare e degli affidamenti dei contratti pubblici c.d. sottosoglia, di cui all'art. 36 del Codice, comporta il divieto di procedere all'aggiudicazione diretta al contraente uscente e di invitare alla procedura l'operatore economico che abbia partecipato alla gara precedente (anche senza aggiudicarsela), e non può essere applicata a società controllate da tali soggetti, a meno che non si tratti di meri "alter ego".
Il "ne bis in idem", che impone l'avvicendamento tra i partecipanti e gli aggiudicatari delle procedure di appalto sottosoglia costituisce, infatti, espressione dei principi di concorrenza, imparzialità, trasparenza e non discriminazione, ed assolve alla finalità di estendere il perimetro della competizione, e non certo di restringerlo escludendo dalle gare operatori che non rientrano espressamente nel divieto normativo. In ragione di ciò la selezione dei soggetti invitati alle procedure e la strutturazione delle regole di aggiudicazione devono risultare funzionali a soddisfare l'esigenza della maggiore apertura del mercato
In particolare, la rotazione degli inviti e degli affidamenti deve essere applicata in modo da favorire l'equa distribuzione tra gli operatori economici delle opportunità di aggiudicarsi un contratto pubblico, prevenendo l'eventualità che alcuni concorrenti possano avvantaggiarsi di rapporti consolidati con la stazione appaltante, o di conoscenze acquisite attraverso la partecipazione ad una gara precedente avente ad oggetto i medesimi lavori, servizi o forniture. In coerenza con tale impostazione la stazione appaltante può legittimamente escludere dalla gara soltanto gli operatori che, in virtù della partecipazione a precedenti procedure concernenti lo stesso appalto o dell'aggiudicazione (e dello svolgimento) delle prestazioni oggetto di affidamento, dispongano di rapporti e informazioni privilegiate, in quanto conoscono, meglio degli altri, le necessità della stazione appaltante, le caratteristiche dell'appalto ed i criteri di valutazione delle offerte.
Tuttavia, è evidente che limitare l'applicazione della regola della rotazione a tali operatori economici, sulla base di una interpretazione letterale restrittiva dell'art. 36 del Codice, consentirebbe di aggirarla facilmente attraverso varie forme di partecipazione indiretta. Di conseguenza, per prevenire l'insorgere di indebiti vantaggi competitivi, possono essere esclusi dalle gare tutti i soggetti che, anche indirettamente, possano beneficiare del vantaggio competitivo acquisito dal gestore uscente o dall'operatore economico che, pur non aggiudicandosi il contratto nella gara precedente, abbia comunque acquisito una posizione di vantaggio anticoncorrenziale.
Ciò avviene, ad esempio, nell'ipotesi in cui uno dei soggetti che non può partecipare alla gara, oppure ottenere l'affidamento del contratto, trasferisca il proprio vantaggio competitivo ad altro operatore che gli è riconducibile in virtù di stretti e comprovati legami.
In simili circostanze, a partecipare alla gara è un semplice alter ego e ciò giustifica l'estensione della regola dell'alternanza ad un operatore economico diverso da quelli che vi sono espressamente assoggettati. A tal fine, però, non basta un semplice rapporto di controllo societario, ma bisogna dimostrare l'effettiva riconducibilità di un operatore economico ad un altro, di modo che l'offerta formalmente proposta dal soggetto estraneo al principio di rotazione risulti, di fatto, imputabile ad uno di quelli a cui deve ritenersi inibita la partecipazione alla gara (ANAC, Linee Guida n. 4).
Occorre, in particolare, che tra il soggetto che partecipa alla gara e quello che non può prendervi parte o aggiudicarsela vi sia una “tale confluenza strutturale e organizzativa per cui si possa supporre che l'esperienza raccolta dal soggetto controllante nella pregressa gestione possa essere transitata in capo all'operatore controllato, nuovo concorrente-aggiudicatario”. Ciò comporta la necessità di dimostrare un nesso di oggettiva ed inequivoca riconducibilità, che porti a ritenere, sulla base di concreti e concordanti elementi, che la partecipazione alla gara di un soggetto formalmente diverso costituisca un mero escamotage per aggirare l'applicazione della regola dell'avvicendamento dei partecipanti e degli aggiudicatari delle gare di appalto.
In carenza di ciò l'esclusione dalle gare di operatori economici non soggetti alla regola della rotazione comporterebbe la creazione di ulteriori ipotesi di divieto di partecipazione, e quindi la configurazione di cause di esclusione dalle gare atipiche, non soltanto non codificate, ma in totale contrasto col principio di tutela della concorrenza su cui è imperniato l'intero sistema degli appalti.
Di conseguenza, la stazione appaltante non può escludere un operatore economico dalla procedura sulla base di un astratto pericolo di inquinamento della gara, fondato sulla sussistenza di un semplice collegamento societario con il gestore uscente, poiché l'applicazione della regola dell'avvicendamento a soggetti diversi da quelli normativamente prescritti richiede precise, concrete e circostanziate motivazioni concernenti l'effettivo consolidamento di una posizione di vantaggio anticoncorrenziale in capo ad un operatore economico.
Sulla base di queste argomentazioni il TAR Toscana, con la sentenza in commento, ha chiarito che la previsione normativa sulla rotazione non può essere “dilatata in via interpretativa fino ad estendere la preclusione alla partecipazione alla nuova gara anche a carico delle società solamente in situazione di controllo rispetto alla precedente affidataria, e ciò attraverso una interpretazione estensiva del concetto di “riconducibilità””. Deve ritenersi, pertanto, illegittima l'esclusione dalla gara di un operatore economico che, sebbene partecipato al 51% dal gestore uscente del servizio, costituisca, tuttavia, una realtà imprenditoriale distinta e sufficientemente autonoma dal soggetto controllante. Al riguardo, secondo la pronuncia, costituiscono apprezzabili indici di autonomia l'esistenza di differenti sedi legali, partite iva, contatti pec e utenze, la circostanza che le cariche di vertice siano assegnate a soggetti diversi, e l'insussistenza di sovrapposizione delle compagini sociali e di elementi effettivi e concomitanti che possano dimostrare la comunanza di centro decisionale.
Cort. Cass., sez. I Civ., sent. n. 7463/2020: in caso di istanze reciproche di risoluzione contrattuale, il giudice deve valutare in modo unitario le azioni delle parti.
La Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi su una controversia avente ad oggetto - come spesso accade - due reciproche domande di risoluzione contrattuale avanzate, rispettivamente, dall'appaltatore e dalla stazione appaltante.
Nell'occasione, la Corte di legittimità ha precisato due concetti:
1) l'eventuale risoluzione in danno disposta dall'amministrazione (art. 108 d.lgs. n. 50/2016), non impedisce la valutazione, da parte del giudice, circa la legittimità o meno del provvedimento stesso (e ciò in quanto il giudice ordinario non ha il potere di annullare i provvedimenti amministrativi, ma ha quello di);
b) nel compiere la valutazione comparativa, al fine di stabilire quale inadempimento sia più grave rispetto all'altro, il giudice deve procedere ad una valutazione globale ed unitaria del comportamento delle parti, non isolando singole condotte di una di esse né stabilendo se ciascuna costituisca motivo di inadempienza, a prescindere da ogni altra ragione di doglianza.
A ben vedere, la Corte ha ripreso e ribadito l'orientamento giurisprudenziale già precedentemente espresso in tema. Come noto, infatti, l'art. 108 d.lgs. n. 50/2016 disciplina i casi di risoluzione del contratto da parte della stazione appaltante, indicando, ai co. 3 e 4, due fattispecie preponderanti: il grave inadempimento o il grave ritardo nell'esecuzione delle prestazioni.
Tuttavia, non è infrequente negli appalti pubblici che la stazione appaltante pervenga alla risoluzione del contratto, soprattutto per grave inadempimento, solo dopo un'analoga richiesta da parte dell'appaltatore, il quale evidenzi, a sua volta, un inadempimento della committenza pubblica. A volte, anzi, la decisione di assumere il provvedimento di risoluzione ex art. 108 perviene successivamente all'instaurazione di un contenzioso da parte dell'appaltatore, il quale richieda all'autorità giudiziaria di accertare l'intervenuta risoluzione del contratto per fatto e colpa della stazione appaltante.
Ebbene, in tutti questi casi la costante giurisprudenza di legittimità ha sancito due importanti principi: il primo, relativo all'applicabilità degli artt. 1455 e 1458 c.c. (il giudice deve tener conto della gravità dell'inadempimento di una parte rispetto all'interesse dell'altra – Cass., sez. III, n. 7083/2006; sez. II, n. 1773/2001; sez. III, n. 8063/2001; n. 5755/1988; il danno eventualmente risarcibile si quantifica in termini di danno emergente e lucro cessante); il secondo, relativo alla necessaria comparazione che il giudice deve operare in ordine al comportamento di ambedue le parti per stabilire quale di esse si sia resa responsabile delle trasgressioni maggiormente rilevanti e causa della conseguente alterazione dell'equilibrio contrattuale (Cass. n. 1168/2000).
L'orientamento richiamato, pertanto, suggerisce - in fase precontenziosa - una ponderata e serena valutazione, sia da parte dell'appaltante sia da parte dell'appaltatore, di quali siano le condotte effettivamente rilevanti al fine di pervenire ad una richiesta (o ad un provvedimento, nel caso della PA) di risoluzione contrattuale. Ciò, evidentemente, sia al fine di evitare un inutile e defatigante contenzioso, sia al fine di non incorrere in una condanna per risarcimento danni, in caso di soccombenza in giudizio. È parimenti da sottolineare, per completezza, che la sentenza segnalata risente delle lungaggini del processo civile e si esprime, pertanto, su fattispecie normative molto risalenti nel tempo. Tuttavia, essa riporta argomentazioni che possono a buon diritto ritenersi applicabili anche nella vigenza delle attuali normative, atteso il richiamo ai principi generali del codice civile e, soprattutto, in considerazione della sostanziale continuità nel tempo della disciplina relativa alla risoluzione in danno (art. 119 DPR 554/99; art. 136 D.lgs. 163/2006; art. 108 D.lgs. 50/2016).
Cons. Stat., sez. V, sent. n. 2864/2020: l'affidamento ad una società partecipata dalla stazione appaltante non è conflitto di interesse.
La disciplina del conflitto di interessi contenuta nel codice degli appalti non riguarda i rapporti societari delle amministrazioni aggiudicatrici, sicché una stazione appaltante, all'esito di procedure di gara, può legittimamente affidare un contratto a proprie entità partecipate o controllate.
L'art. 42, co. 2, del d.lgs. n. 50 del 2016, infatti, chiarisce eloquentemente che le ipotesi di conflitto di interessi prospettabili in relazione alle procedure concernenti contratti pubblici riguardano il “solo “personale" della stazione appaltante”, e che la disciplina diretta a neutralizzarne gli effetti non può essere estesa alle “società partecipate o controllate dalla stazione appaltante” (Consiglio di Stato, n. 3401/2018).
In ragione di ciò l'esclusione dalla gara dell'operatore economico coinvolto o la risoluzione dell'affidamento disposto in suo favore, previste dall'art. 80, co. 5, lett. d) del Codice, possono essere adottate esclusivamente in relazione ad ipotesi di conflitto di interessi “non diversamente risolvibile” che riguardino il dipendente pubblico che, “in forza di un valido titolo contrattuale o legislativo, ovvero per la sua posizione di rilievo abbia la capacità di impegnare la stazione appaltante nei confronti di terzi” (Cfr, Consiglio di Stato, n. 2511/2019).
Dal combinato disposto degli artt. 42 e 80 del codice degli appalti si ricava, pertanto, che nessuna ipotesi di conflitto può ipotizzarsi in relazione ai legami tra la stazione appaltante e i partecipanti alla procedura. Ciò perché “il conflitto si deve verificare tra l'interesse funzionalizzato e l'interesse dell'agente o di un terzo con il quale l'agente versi in particolare rapporto tale da condividerne l'interesse stesso”, mentre l'affidamento di un contratto ad una società partecipata dell'Amministrazione aggiudicatrice realizza “l'interesse del soggetto proprietario, vale a dire la stessa stazione appaltante”, per cui “l'interesse funzionalizzato e l'interesse terzo coinciderebbero” (Consiglio di Stato, parere 5 marzo 2019, n. 667).
Sotto altro profilo, l'unica ragione che può impedire l'aggiudicazione del contratto al concorrente che ha proposto l'offerta risultata migliore consiste nell'accertamento di uno o più fattori di inquinamento della procedura, attinenti alla violazione dei principi di imparzialità e trasparenza, che costituiscono gli ineludibili presupposti di tutela del fondamentale valore della concorrenza.
Le uniche ipotesi possibili di inquinamento di una procedura di gara sono evidentemente riconducibili all'esistenza di interessi privati del personale delle stazioni appaltanti, estranei ed incompatibili con i principi cardine delle pubbliche procedure, a cui consegue una “lesione degli interessi istituzionali dell'ente e una caduta dell'immagine di imparzialità amministrativa, rimuovibile solo con la risoluzione dell'affidamento” (Consiglio di Stato, parere 5 marzo 2019, n. 667).
In questa prospettiva la funzione della disciplina sul conflitto di interessi è sanzionare il perseguimento di un interesse “finanziario, economico o personale” antagonista rispetto a quello che i dipendenti pubblici dovrebbero perseguire, e che pregiudichi l' imparziale svolgimento della procedura di gara e la parità di trattamento di tutti gli operatori economici.
In coerenza con tali premesse dal coordinamento delle disposizioni del Codice degli Appalti, e del testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, deriva che l'affidamento di contratti dell'amministrazione appaltante a favore di società partecipate o controllate deve ritenersi espressamente ammesso, sebbene possa produrre un certo “impatto sul piano dell'imparzialità e della trasparenza” (Consiglio di stato, n. 2511/2019).
Ciò significa che l' “oggettiva problematicità di situazioni in cui una società controllata partecipi alla gara indetta dalla sua controllante” (Consiglio di Stato, parere 5 marzo 2019, n. 667) può essere affrontata soltanto attraverso le regole ordinarie poste a tutela dell'imparzialità e della trasparenza degli organi di aggiudicazione, e non con gli strumenti del conflitto di interessi, che possono essere attivati solo per contrastare l'insorgere di situazioni di vantaggio competitivo di uno o più concorrenti riconducibili a particolari rapporti con il personale pubblico che gestisce le procedure di gara.
In altri termini, i concorrenti che lamentino un trattamento di favore nei confronti di un partecipante alla gara controllato dalla stazione appaltante non possono limitarsi a evidenziare la situazione di controllo societario, ma devono dimostrare la violazione delle regole poste a tutela dell'imparzialità e trasparenza della procedura.
Di conseguenza, l'unica possibilità di impedire l'aggiudicazione di un contratto attraverso la disciplina del conflitto di interessi è che l'interesse in conflitto riguardi un dipendente della stazione appaltante coinvolto nella procedura (che, ad esempio ricopra una carica di vertice presso una delle società concorrenti).
Anche in tale ipotesi, tuttavia, l'esistenza del conflitto di interessi non può essere predicata in via astratta, ma deve essere accertata “in concreto sulla base di prove specifiche”, attraverso la dimostrazione che la “minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione” integri i presupposti di concretezza ed effettività di cui agli artt. 42, comma 2, e 80, co. 5, lett. d), del codice degli appalti.
Sulla base di tali argomentazioni il Consiglio di Stato, con la sentenza in commento, ha rilevato “l'insostenibilità della tesi del conflitto di interesse in caso di partecipazione alla gara di un soggetto controllato dalla stazione appaltante, per il paradosso cui si giungerebbe nel ritenere quest'ultima sarebbe contemporaneamente il terzo avvantaggiato dal conflitto alla stessa stazione appaltante, riguardata schizofrenicamente ora come amministrazione aggiudicatrice ora come terzo”.
Posto, pertanto, che la disciplina dell'esclusione del concorrente e dell'invalidazione dell'aggiudicazione di cui agli artt. 42 e 80 del d.lgs. n. 50/2016 si riferisce esclusivamente alle situazioni di conflitto di interessi del funzionario pubblico, deve ritenersi privo di fondamento e ai limiti dell'abuso del diritto il tentativo di estenderne l'applicabilità alle situazioni di controllo societario tra stazione appaltante e operatori economici partecipanti alla procedura.