rubrica di aggiornamento giurisprudenziale, aprile 2019
Consiglio di Stato, sez. V, sent. n. 2094/2019: gare di progettazione, la PA può ridurre i compensi base - i parametri non sono tariffe minime.
I parametri per i compensi professionali stabiliti con il d.m. del 17 giugno 2016 non possono essere considerati alla stregua di tariffe minime inderogabili. La stazione appaltante deve usare le tabelle del ministero come criterio base per stabilire gli onorari dei progettisti da porre a base delle gare per i servizi di ingegneria e architettura, ma può sempre decidere di ridurne il valore, motivando la scelta.
È quanto ha stabilito il Consiglio di Stato con la sentenza in commento. La pronuncia ribalta il verdetto emesso dal TAR Abruzzo che, invece, aveva accolto il ricorso presentato dagli ordini degli ingegneri e degli architetti di Teramo contro un bando emesso dal Comune di Civitella del Tronto.
La vicenda ruota intorno a un intervento da realizzare sulla Fortezza Borbonica di Civitella. Il bando di gara per la progettazione, pubblicato a settembre 2017, prevedeva un compenso di poco superiore a 153.000 euro. Una cifra molto inferiore a quella che sarebbe risultata applicando pedissequamente le tariffe previste dal decreto parametri. Di qui il ricorso dei due ordini professionali, accolto in prima battuta dal TAR. Per i giudici di primo grado il nuovo codice degli appalti (art. 24, co. 8, del d.lgs. n. 50/2016) “impone alle stazioni appaltanti di utilizzare i corrispettivi previsti dalle tabelle predisposte con decreto del Ministero della giustizia”. Ne consegue che il bando, da cui risulta un riduzione (pari al 45,63%) dei compensi sarebbe illegittimo.
Non la pensa così il Consiglio di Stato.
Alla base della decisione del Comune di ridurre i compensi professionali, che sarebbero risultati applicando le tariffe del decreto parametri, c'è, infatti, la volontà di non superare la cifra prevista nella convenzione con la Regione che prevede una spesa massima dell'8% per le attività professionali legate alla progettazione dell'intervento. “Il Comune di Civitella del Tronto - si legge nella sentenza - , nel bando di gara così come nel disciplinare di gara, ha chiarito di aver determinato l'importo stimato posto a base di gara per i servizi tecnici richiesti facendo applicazione, in prima battuta, del decreto ministeriale”, ma “avendo ottenuto un importo così calcolato superiore all'8% del finanziamento, in dichiarata applicazione degli atti regionali di indirizzo, di aver operato la decurtazione dei corrispettivi rimodulando in proporzione gli importi per le singole prestazioni tecniche in modo da ottenere un importo complessivo pari al limite imposto”.
Un comportamento legittimo per i giudici amministrativi. Infatti, scrivono, “non vi è dubbio che il legislatore abbia inteso fare delle tabelle ministeriali il punto di partenza di ogni determinazione sui corrispettivi dovuti ai professionisti (cfr. Cons. Stato, comm. speciale, parere, 30 marzo 2017, n. 782), evitando così che le stazioni appaltanti possano procedere a determinazioni dei corrispettivi professionali in via forfettaria, ma da ciò non può ricavarsi un divieto imperativo di non discostarsi dalle tabelle ministeriali”. Di più, secondo i giudici di Palazzo Spada, la norma del Codice Appalti (articolo 24, co. 8) “è chiara nell'imporre alle stazioni appaltanti di utilizzare i corrispettivi previsti dalle tabelle ministeriali solo quale parametro iniziale del calcolo del compenso da porre a base di gara, con possibilità di apportare riduzioni percentuali giustificate dalle ragioni che esse potranno discrezionalmente sviluppare”.
In conclusione, “i corrispettivi posti dalle tabelle ministeriali non costituiscono minimi tariffari inderogabili, come, invece, accadrebbe ove volesse seguirsi la tesi degli ordini professionali. Per questo la determinazione del Comune di Civitella del Tronto è legittima”.
Avv. Giuseppe Acierno
Consiglio di Stato, sez. III, sent. n. 2183/2019: la revoca di un credito di imposta non è motivo di esclusione.
La revoca di un'agevolazione fiscale non può essere considerata alla stregua di una grave irregolarità fiscale. Dunque, non può mai condurre all'esclusione di un'impresa da una gara d'appalto. È quanto ha precisato il Consiglio di Stato con la sentenza in commento.
La pronuncia ribalta le conclusioni cui era giunto il TAR Campania, che, invece, aveva considerato come legittima la scelta della stazione appaltante di escludere un'impresa che si era vista revocare un credito di imposta pari a 159.000 euro.
Tutto nasce dalla sentenza della Cassazione con cui si arriva alla decisione finale di revocare a un'impresa, in corsa per un appalto di vigilanza privata, un credito di imposta. Per la stazione appaltante e per il TAR, la sentenza costituiva un elemento certamente sufficiente a determinare l'esclusione dell'impresa.
Dopo aver ricostruito le norme previste dall'art. 80 del Codice Appalti, il Consiglio di Stato giunge, invece, a un'interpretazione opposta. Concludendo che la revoca di un'agevolazione fiscale non può costituire una causa di esclusione dalle gare, perché, pur accertando l'illegittimità del riconoscimento di un credito, questo tipo di atto “non è ancora espressione di una pretesa tributaria compiutamente e definitivamente stabilita, occorrendo in vista del relativo recupero accertare l'entità del dovuto in ragione anche delle modalità e dei tempi di concreto utilizzo del credito”.
Avv. Giuseppe Acierno