Rubrica di aggiornamento giurisprudenziale APRILE 2018
Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria n. 3/2018: incapacità dell’imprenditore colpito da una interdittiva antimafia a ricevere risarcimenti per danni subiti da una PA.
Niente soldi pubblici per l'imprenditore colpito da interdittiva antimafia. Il principio, in parte affermato da precedenti sentenze del Consiglio di Stato, viene notevolmente ampliato da una pronuncia emessa dall'Adunanza Plenaria di Palazzo Spada.
La sentenza in commento contiene due novità di rilievo. La prima è che il risarcimento dovuto per danni patiti dall'impresa a causa della PA, ancorché non sia una fattispecie espressamente citata, viene ricondotta alla generica indicazione di “altre erogazioni ... comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità Europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali” contenuta nel codice Antimafia. La seconda novità è che la perdita del risarcimento include anche il caso in cui quest'ultimo sia stato deciso con sentenza passata in giudicato.
Il caso discusso in Adunanza Plenaria è stato originato da un lungo e complesso contenzioso al termine del quale l'impresa avrebbe dovuto ricevere dal Comune un risarcimento di 123.000 euro. Nelle ultime fasi del contenzioso è emersa la circostanza di una informativa interdittiva antimafia a carico dell'impresa emessa dalla Prefettura. Circostanza, quest'ultima, non dichiarata dall'impresa.
Al di là del complesso andamento del contenzioso, la V Sezione del Consiglio di Stato, dopo aver rilevato che la questione può dar luogo a contrasti di giurisprudenza, sintetizza le due seguenti questioni da sciogliere:
1) se l'interdittiva antimafia possa “precludere il versamento in favore dell'impresa di somme dovute a titolo risarcitorio in relazione a una vicenda sorta dall'affidamento (o dal mancato affidamento) di un appalto”;
2) “se osti a tale prospettazione il generale principio dell'intangibilità della cosa giudicata”.
Sulla prima questione, l'Adunanza Plenaria, muovendosi nel solco di simili sentenze, afferma che le erogazioni pubbliche precluse all'impresa colpita da informativa interdittiva antimafia possono anche avere carattere risarcitorio.
Sulla seconda questione, invece, si indica una soluzione che “taglia la testa al toro”, per così dire, ovvero, l'impresa colpita da interdittiva entra in una condizione giuridica di incapacità ad assumere o a mantenere la titolarità “non già dei soli diritti accertati con la sentenza, ma, più in generale, di tutte le posizioni giuridiche comunque riconducibili all'ambito delineato dall'art. 67 del Codice delle leggi antimafia … L'Adunanza Plenaria (affermano i giudici) ritiene che la questione ad essa sottoposta trovi soluzione nella definizione in termini di "incapacità" ex lege dell'effetto derivante dalla interdittiva antimafia sulla persona (fisica o giuridica) da essa considerata, di modo che il ricorso per l'ottemperanza è da dichiararsi, conseguentemente, inammissibile … L'avere inquadrato l'effetto prodotto dall'interdittiva antimafia in termini di "incapacità" rende possibile comprendere come non assuma rilievo, nel caso di specie, il problema della “intangibilità del giudicato””.
In altre parole, non conta tanto il se, il come o il quando la PA sia obbligata a risarcire l'impresa, conta invece se l'impresa sia in condizione o meno di poter incassarlo. E la risposta breve è no; l'impresa, finché perdurano le motivazioni sottostanti all’interdittiva, non ha la capacità giuridica a ottenere il risarcimento, anche se questo è stato deciso da un giudice. La condizione di incapacità cessa una volta cadute le motivazioni che hanno causato l'interdittiva.
“Una volta che venga meno l'incapacità determinata dall'interdittiva quel diritto di credito, riconosciuto dalla sentenza passata in giudicato, “rientra” pienamente nel patrimonio giuridico del soggetto, con tutte le facoltà ed i poteri allo stesso connessi, ivi compresa l'actio iudicati dal quale era temporaneamente uscito, e ciò non in quanto una “causa esterna” (il provvedimento di interdittiva antimafia) ha inciso sul giudicato, ma in quanto il soggetto che è stato da questo identificato come il titolare dei diritti ivi accertati torna ad essere idoneo alla titolarità dei medesimi. Né la titolarità del diritto ovvero la concreta possibilità di farlo valere, una volta “recuperata” la piena capacità giuridica, potrebbero risultare compromessi, posto che, come è noto, ai sensi dell'art. 2935 c.c. “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere””.
Avv. Giuseppe Acierno
Dal 22 aprile entrano in vigore 58 interventi che non richiederanno più la SCIA o il permesso di costruire.
La lista delle prime 58 opere che saranno considerate in regime di “edilizia libera” in tutto il paese si concretizza. È stato pubblicato, infatti, nella Gazzetta Ufficiale n. 81 del 7 aprile u.s. il glossario unico delle opere che non richiederanno più un titolo abilitativo, sia esso Cil, Cila, Scia o permesso di costruire.
Una mossa, questa, che punta a mettere un argine alle interpretazioni differenziate che caratterizzano regioni e comuni e che sarà effettiva a partire dal prossimo 22 aprile, senza bisogno di ulteriori atti di recepimento.
Si attua, così, l’art. 1, co. 2, del d.lgs. n. 222/2016, che già conteneva una tabella dei vari interventi edilizi, con relativi regimi amministrativi, dall’ “edilizia libera” sino ai permessi di costruire. Già nella tabella pubblicata nel 2016 risultano libere le manutenzioni ordinarie e le pompe di calore, oltre ai manufatti leggeri in strutture di ricettive, l’eliminazione di barriere architettoniche, i pannelli fotovoltaici, gli elementi d’arredo.
L’elenco agisce su due direttrici:
- da una parte fa un lavoro compilativo, comunque molto utile per cittadini e operatori, mettendo in fila i interventi per quali è scontato che non serva autorizzazione;
- dall’altro lato, mette insieme una serie di casi al limite, per i quali c’è maggiore incertezza applicativa e sui quali, a partire da adesso, non saranno più possibile contestazioni o interpretazioni più restrittive a livello locale. Andando, peraltro, nella direzione affermata di recente dalla Corte Costituzionale, con la sentenza 68/2018.
Concretamente, vengono messe in “edilizia libera” alcune opere di arredo da giardino oggetto di frequente contestazione, quali ad esempio muretti, fontane, ripostigli per attrezzi, ricoveri per animali, ma anche gazebo e pergolati. Una semplificazione che riguarderà anche le tensostrutture per installare le quali servirà una comunicazione, mentre tutte le attività successive saranno libere. Stesso discorso per l’adeguamento degli impianti di estrazione fumi, spesso oggetto di contenzioso nei rapporti tra vicini.
Con il glossario in Gazzetta, in sostanza, si chiariscono i vari tipi di manutenzione ordinaria, precisando tuttavia che restano ferme le norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico sanitarie, sul rischio idrogeologico e quelle del codice dei beni culturali e del paesaggio. In particolare saranno queste ultime a governare l’ “edilizia libera”, con specifici elenchi di opere escluse dall’autorizzazione paesaggistica.
Ad esempio, nei centri storici le barriere architettoniche potranno essere eliminate senza alcuna autorizzazione se il dislivello resta nei 60 centimetri, mentre non è richiesta l’autorizzazione paesaggistica nei centri storici solo se le opere stesse sono invisibili da aree pubbliche.
Rimangono problemi, invece, per i pannelli fotovoltaici, che sono “edilizia libera” nelle zone non vincolate perché “accettati dalla sensibilità collettiva” (TAR Milano, sent. n. 496/2018), ma nelle zone di pregio ambientale e nei centri storici devono comunque rispettare le falde dei tetti.
Resta, comunque, salva, anche per queste opere, la possibilità di chiedere detrazioni fiscali. Sarà sufficiente una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, nella quale sarà indicata la data di inizio dei lavori, attestando che gli interventi rientrino tra quelli agevolati. A supporto di questo adempimento, serviranno le fatture per provare lo svolgimento dei lavori e i pagamenti effettuati tramite bonifico parlante.
Avv. Giuseppe Acierno
Consiglio di Stato, sez. V, sent. n. 2044/2018: deroga alla suddivisione in lotti prevista dall’art. 51 del Codice degli Appalti.
L'appalto che include varie attività ma che “riveste carattere unitario” e che ha un “valore economico oggettivamente modesto” può derogare all'applicazione dell'art. 51 del Codice dei Contratti sulla suddivisione in lotti per favorire l'accesso al mercato da parte di microimprese e piccoli e medi imprenditori. È, in sintesi, quanto afferma la recente sentenza del consiglio di Stato. Sentenza con la quale i Giudici di Palazzo Spada riformano una sentenza del TAR Umbria che aveva censurato un Comune, relativamente all'affidamento di un servizio triennale che includeva la gestione e il controllo di tutte le attività di funzionamento delle aree di sosta automatizzata e degli impianti di risalita meccanizzata più altri servizi accessori da svolgersi all'interno delle aree e dei parcheggi, ma anche degli immobili del Comune.
L'art. 51 del Codice ha lo scopo di difendere il principio della concorrenza, ma può anche essere impropriamente applicato per frazionare indebitamente un appalto. La sentenza del Consiglio di Stato fornisce indicazioni sugli elementi da considerare per evitare di sconfinare, da una parte, nell'accusa di frazionamento della gara a scopo elusivo della concorrenza, dall'altra, nell'accusa dell'aggregazione artificiosa degli appalti.
La decisione di applicare o meno la suddivisione in lotti, spiega il Consiglio di Stato, è discrezionale e deve essere motivata. La stazione appaltante deve valutare alcuni elementi che attengono alla sfera della ragionevolezza, della proporzionalità e dell'adeguatezza dell'istruttoria.
“Il principio della suddivisione in lotti (si legge nella sentenza) può dunque essere derogato, seppur attraverso una decisione che deve essere adeguatamente motivata (Cfr Consiglio di Stato, Sez. VI, 12 settembre 2014, n. 4669) ed è espressione di scelta discrezionale (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 16 marzo 2016, n. 1081), sindacabile soltanto nei limiti della ragionevolezza e proporzionalità, oltre che dell'adeguatezza dell'istruttoria, in ordine alla decisone di frazionare o meno un appalto “di grosse dimensioni” in lotti, mentre, come detto, l'appalto in esame non è di elevato importo economico e la scelta del Comune è motivata, come sarà meglio esplicitato ai punti nn. 4 e 5 della presente decisione, in modo del tutto ragionevole e, perciò, sottratta al sindacato del giudice di legittimità, non ravvisandosi manifesta illogicità, irragionevolezza o arbitrarietà nel tenore della medesima”.
Avv. Riccardo Rotigliano