RUBRICA AGGIORNAMENTO GIURISPRUDENZIALE, N. 8/2019
Consiglio di Stato, sez. III, sent. n. 6206/2019: in caso di incertezza del bando prevale il principio della massima partecipazione.
L'interpretazione delle clausole del bando deve essere letterale, non essendo consentito rintracciarvi significati ulteriori e procedere con estensione analogica.
A tutela dell'affidamento dei partecipanti ad una gara pubblica, della par condicio dei concorrenti e dell'esigenza della più ampia partecipazione, l'amministrazione può, tuttavia, legittimamente discostarsi in via di interpretazione dalle norme della lex specialis solo in presenza di una sua obiettiva incertezza. Quindi, a fronte di una clausola cui si riconnette una portata escludente e a fronte del carattere non univoco della disposizione in essa racchiusa, l'interprete deve conformare la propria attività interpretativa al criterio del favor partecipationis, favorendo l'applicazione della disposizione che consenta la massima partecipazione possibile alla procedura.
A lume della citata sentenza “è noto che, a fronte di una clausola cui si riconnette una portata escludente, e a fronte del carattere non univoco della disposizione in essa racchiusa, l'interprete deve conformare la propria attività interpretativa al criterio del favor partecipationis, favorendo l'applicazione della disposizione che consenta la massima partecipazione possibile alla procedura”.
Consiglio di Stato, sez. V, sent. n. 6150/2019: per far scattare il conflitto di interesse basta una asimmetria informativa potenziale.
La giurisprudenza amministrativa si è recentemente pronunciata sulla configurabilità di una situazione di conflitto di interesse nelle gare d'appalto in caso di asimmetria informativa anche soltanto potenziale.
Ai sensi dell’art. 42, co. 2, del d.lgs. n. 50/2016 “Si ha conflitto d’interesse quando il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione. In particolare, costituiscono situazione di conflitto di interesse quelle che determinano l’obbligo di astensione previste dall’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, 62”.
In altre parole, l'interferenza tra la sfera istituzionale e quella personale del funzionario pubblico si ha quando le decisioni che richiedono imparzialità di giudizio siano adottate da un soggetto che abbia, anche solo potenzialmente, interessi privati in contrasto con l'interesse pubblico.
Con la sentenza in commento, il Consiglio di Stato ha affermato che “l'ampia portata del secondo comma consente di ricomprendere nel suo ambito di applicazione tutti coloro che con qualsiasi modalità e anche senza intervenire nella procedura (predisponendone gli atti o facendo parte della commissione giudicatrice) siano in grado di influenzarne il risultato; e ciò si verifica quando il concorrente si sia potuto avvalere dell'apporto di conoscenze e di informazioni del progettista (esterno alla stazione appaltante e dalla stessa incaricato della redazione del progetto posto a base di gara) “al fine di predisporre un'offerta tecnica meglio rispondente alle esigenze ed agli obiettivi della stazione appaltante””.
Dunque, si ritiene sanzionabile il solo pericolo di pregiudizio che la situazione conflittuale possa determinare, a salvaguardia della genuinità della gara da assicurare, sia mediante gli obblighi di astensione espressamente previsti dalla norma sopracitata, sia attraverso la prescrizione del divieto di partecipazione, sia pure come extrema ratio.
Secondo tale condivisibile orientamento, ai fini dell'individuazione di una situazione di conflitto di interesse è sufficiente il carattere anche solo potenziale dell'asimmetria informativa di cui abbia potuto godere un concorrente, grazie all'acquisizione di elementi ignoti agli altri partecipanti, per il tramite di un soggetto in rapporto diretto con la stazione appaltante; così come, anche solo potenziale, può configurarsi il conseguente indebito vantaggio competitivo conseguito in violazione dei principi di imparzialità, buon andamento e par condicio competitorum.
TAR Lazio, sez. I, sent. n. 10837/2019: la mancata dichiarazione dei carichi pendenti non va considerata come un falso e non configura un illecito professionale da punire con l'esclusione.
La disciplina sulle cause di esclusione dalle gare non prevede alcun obbligo in capo ai concorrenti di dichiarare la sussistenza di carichi pendenti nei confronti dei propri rappresentanti. Deve, quindi, ritenersi illegittima la delibera dell'ANAC che, sulla base della ritenuta violazione di questo presunto obbligo, abbia irrogato una sanzione pecuniaria a carico di una impresa, con contestuale annotazione sul casellario informatico.
Si è espresso in questi termini il Tar Lazio con la sentenza in commento, la quale offre un'interessante indicazione in merito alla corretta delimitazione degli obblighi dichiarativi in sede di gara, strettamente correlati alla definizione delle cause di esclusione, con specifico riferimento alla materia dei reati penali.
Nel caso esaminato dal TAR, l'ente appaltante comunicava all'ANAC una presunta omissione dichiarativa da parte di un subappaltatore di un concorrente.
In particolare, il subappaltatore aveva dichiarato in sede di gara di accettare che la stazione appaltante potesse avvalersi di una clausola risolutiva espressa qualora nei confronti dell'imprenditore fosse stata disposta una misura cautelare, o fosse intervenuto un rinvio a giudizio per uno dei reati specificamente indicati.
Nonostante questa dichiarazione, il subappaltatore non aveva, tuttavia, dichiarato la sussistenza di carichi pendenti nei confronti di propri rappresentanti, ancorché vi fossero procedimenti penali in corso a loro carico.
A fronte di questo presunto inadempimento l'ANAC irrogava nei confronti dell'impresa, una sanzione pecuniaria con contestuale annotazione nel casellario informatico.
Il provvedimento veniva giustificato sul presupposto che il comportamento dell'impresa configurasse un'ipotesi di colpa grave che dava luogo a un grave illecito professionale, di per sé idoneo a pregiudicare il rapporto di fiducia tra concorrente e stazione appaltante.
Avverso la delibera dell'Autorità, il concorrente proponeva ricorso davanti al giudice amministrativo, chiedendone l'annullamento. A fondamento del ricorso il concorrente rilevava che nessuna delle norme che disciplinano le cause di esclusione dalle gare prevede l'obbligo per i concorrenti di dichiarare alla stazione appaltante l'esistenza di carichi pendenti in capo ai propri rappresentanti, posto che la causa di esclusione riferita ai possibili reati presuppone che sia intervenuta una sentenza definitiva o un decreto penale di condanna divenuto irrevocabile o una sentenza di applicazione della pena su richiesta.
Né può ritenersi che la mancata dichiarazione dei carichi pendenti configurasse un grave illecito professionale. Ciò, infatti, presupporrebbe che vi sia stata effettivamente un'omissione dichiarativa, laddove invece la stessa non è configurabile a fronte della mancanza di un corrispondente obbligo nella normativa di riferimento.
A ciò va aggiunto che non può neanche farsi riferimento a quanto previsto dall’art. 80, co. 12, del d.lgs. n. 50/16, secondo cui, in caso di false dichiarazioni l'ANAC, se ritiene che le stesse siano stare rese con dolo o colpa grave, può procedere all'iscrizione dell'impresa nel casellario informatico ai fini dell'esclusione dalle procedure di gara. La norma, infatti, prevedendo un potere sanzionatorio, è di stretta interpretazione e quindi non può che riguardare esclusivamente l'ipotesi in essa contemplata - cioè le false dichiarazioni – e non la diversa fattispecie della (ritenuta) omessa dichiarazione.
Il TAR ha accolto il ricorso del concorrente colpito dal provvedimento dell'Autorità. Quest'ultimo si fondava essenzialmente sulla configurazione a carico dell'impresa di un grave illecito professionale che sarebbe conseguente a un'omissione dichiarativa, configurabile in termini di falsa dichiarazione.
Secondo il giudice amministrativo questa prospettazione è errata. In primo luogo viene evidenziato come, per stessa ammissione dell'ente appaltante, non via sia stata nel caso di specie una falsa dichiarazione quanto piuttosto, anche a volere accedere alla tesi più restrittiva, una mera carenza informativa.
Lo stesso ente appaltante, proprio sulla base di questa considerazione, non ha emanato alcun provvedimento volto a censurare il comportamento del concorrente, né, tanto meno, ha proceduto all'esclusione dalla gara del raggruppamento che aveva dichiarato di avvalersi del subappaltatore che aveva omesso l'informazione.
In questa logica il TAR ricorda come l'art. 80, co. 5, lett. c), del d.lgs. n. 50/16, nel definire la causa di esclusione, consistente nell'aver commesso gravi illeciti professionali, prevede che la dimostrazione degli stessi deve essere operata dalla stazione appaltante con mezzi adeguati. Nel caso di specie questa dimostrazione non è avvenuta, e anzi la stessa stazione appaltante ha qualificato la mancanza del subappaltatore di cui il concorrente intendeva avvalersi come una mera carenza informativa, di per sé non idonea a determinare l'esclusione dalla gara. Peraltro, è solo la stazione appaltante che può dimostrare la sussistenza del grave illecito professionale, non potendo dispiegare alcun effetto le valutazioni effettuate dall'ANAC.
D'altronde, lo stesso TAR ha ritenuto che l'ente appaltante abbia operato correttamente nel non procedere all'esclusione del concorrente, considerato che il co. 1 dell'art. 80 fa riferimento all'intervenuta sentenza di condanna definitiva – o provvedimento equivalente - e non certo alla mera pendenza di un procedimento penale.
Resta la circostanza che, in sede di gara, il concorrente (e il suo subappaltatore) aveva esplicitamente accettato che la stazione appaltante potesse avvalersi della clausola risolutiva espressa qualora nei confronti dei rappresentanti dell'impresa fosse stata disposta una misura cautelare ovvero – circostanza rilevante nella fattispecie – fosse intervenuto un provvedimento di rinvio a giudizio per determinati reati.
Tuttavia, secondo i giudici amministrativi l'attivazione di questa clausola poteva eventualmente intervenire nella fase esecutiva del contratto, e non certo nella fase di svolgimento della procedura di gara. Fase che rimane del tutto indifferente alla eventuale sussistenza di carichi pendenti, al punto che il giudice amministrativo non esita ad affermare che un'eventuale provvedimento di esclusione dalla gara adottato per questa ragione sarebbe da considerare illegittimo in quanto evidentemente contra legem, posto che la previsione normativa ricollega l'esclusione esclusivamente a una condanna divenuta definitiva.
La decisione, che appare condivisibile, si incentra sulla netta distinzione tra commissione di reati, accertata a seguito di sentenza o altro provvedimento avente i caratteri della definitività, e pendenza di un procedimento penale diretto ad operare tale accertamento.
Come rilevato l'art. 80, co. 1, del d.lgs. n. 50 stabilisce espressamente che solo l'intervenuta sentenza di condanna definitiva per determinati reati costituisce causa di esclusione dalla gara. Questa previsione si pone in perfetta coerenza con la corrispondente disposizione comunitaria, anch'essa indirizzata a esigere che vi sia un provvedimento definitivo ad accertare la colpevolezza del concorrente.
È quindi evidente che il legislatore, nel definire la disciplina della responsabilità penale collegata all'esclusione dalla gara, ha inteso sancire che tale responsabilità deve essere accertata con sentenza passata in giudicato, mentre la semplice pendenza del procedimento penale non è, di per sé, elemento sufficiente per decretare l'esclusione del concorrente. Ed è in questa logica che non può trovare spazio un autonomo obbligo di dichiarare la sussistenza di carichi pendenti, proprio perché tale obbligo dichiarativo non trova corrispondenza in alcuna previsione di carattere sostanziale da cui far conseguire determinati effetti alla pendenza del procedimento penale.
A fronte di questa chiara impostazione costituisce altresì una forzatura ritenere che la mancata dichiarazione dei carichi pendenti costituisca un'ipotesi di grave illecito professionale, anche perché si finirebbe per far rientrare sotto altra forma una causa di esclusione che invece il legislatore ha espressamente evitato di considerare.
Avv. Riccardo Rotigliano
Avv. Giuseppe Acierno