RUBRIC AGGIORNAMENTO GIURISPRUDENZIALE N. 9/2021
Consiglio di Stato, sez. III, sent. n. 6034/2021: ok agli accordi tra PP.AA. senza gara se si punta a raggiungere un interesse comune.
Gli accordi tra pubbliche amministrazioni per lo svolgimento di attività comuni, come tali sottratti alle regole dell'evidenza pubblica ai fini dell'affidamento delle relative prestazioni, devono essere caratterizzati dalla sussistenza di un interesse comune delle amministrazioni coinvolte, inteso come effettiva cooperazione delle stesse per il perseguimento delle rispettive funzioni pubbliche.
Si è espresso in questi termini il Consiglio di Stato, con una pronuncia che offre significative chiavi di interpretazione al fine di definire i requisiti che devono sussistere affinché l'accordo tra pubbliche amministrazioni e, più in generale, tra soggetti pubblici possa essere legittimamente concluso senza che costituisca una violazione delle regole sull'affidamento dei contratti pubblici.
In particolare l'articolo 15 della l. n. 241/90 consente alle amministrazioni pubbliche di concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune.
Tale interesse comune è ravvisabile in tutti i casi in cui la funzione o il servizio pubblico da svolgere è comune alle amministrazioni o, in ogni caso, quando si realizzi una collaborazione istituzionale per lo svolgimento di attività di interesse pubblico comuni, purché tali attività non abbiano natura patrimoniale e non siano reperibili sul mercato da operatori privati. In sostanza, questa tipologia di accordi è caratterizzata dal fatto che le amministrazioni pubbliche coinvolte vengono a coordinare i rispettivi ambiti di intervento su oggetti di interesse comune.
In questo contesto, l'eventuale regolamentazione anche di aspetti economici può sussistere ma non come elemento centrale, bensì come fattore accessorio e naturale riflesso dell'attività amministrativa posta in essere. Ciò significa che se l'accordo prevede, invece, tra i suoi aspetti essenziali il riconoscimento di un corrispettivo a favore di una delle amministrazioni stipulanti, anche sotto forma di rimborso dei costi, si è fuori dai confini dell'accordo di cooperazione tra enti pubblici. Detto in altri termini, l'interesse comune che costituisce elemento fondamentale dell'accordo tra pubbliche amministrazioni esclude che l'una intenda avvalersi delle prestazioni dell'altra dietro pagamento del corrispettivo. A sua volta, l'art. 5, co. 6, del d.lgs. 50/2016 offre ulteriori elementi caratterizzanti il suddetto accordo. Nell'escludere lo stesso dall'applicazione delle regole pubblicistiche stabilite dal Codice degli Appalti, viene precisato che esso deve realizzare una cooperazione tra amministrazioni finalizzata a garantire che i servizi pubblici di rispettiva competenza siano prestati nell'ottica di conseguire degli obiettivi comuni e ispirata unicamente a considerazioni inerenti l'interesse pubblico.
Nel ricorso di queste condizioni, questi accordi hanno trovato legittimazione anche da parte del giudice comunitario. Quest'ultimo ha, infatti, evidenziato che le amministrazioni pubbliche, in linea generale, devono essere libere di decidere di fornire congiuntamente i servizi pubblici di loro competenza mediante reciproca cooperazione, senza l'obbligo di avvalersi di una forma giuridica in particolare. Inoltre, i servizi pubblici coinvolti non devono essere necessariamente identici, ma possono anche essere complementari. Ribadendo la ratio dell'esclusione di tali accordi dall'ambito applicativo delle regole pubblicistiche sull'affidamento degli appalti, lo stesso giudice comunitario conferma che tale esclusione deve considerarsi legittima a condizione che gli stessi siano conclusi esclusivamente tra amministrazioni pubbliche, che la cooperazione tra le stesse sia detta solo da considerazioni legate al pubblico interesse e che nessun operatore privato goda di una posizione di vantaggio in relazione al contenuto di tali accordi.
Risulta evidente, quindi, che l'elemento centrale ai fini dell'esclusione degli accordi dal regime dell'evidenza pubblica è la nozione di cooperazione. Sempre secondo il giudice comunitario, tale nozione va intesa in termini di partecipazione congiunta allo svolgimento dei servizi pubblici di rispettiva competenza, e non può considerarsi sussistere qualora l'unico contributo di una delle amministrazioni coinvolte si esaurisca in un rimborso spese a favore dell'altra.
TAR Lazio, sez. I-quater, sent. n. 9363/2021: il perimetro del diritto di accesso c.d. difensivo.
La natura di “segreto tecnico/commerciale”, che potrebbe impedire l'accesso all'offerta dell'appaltatore, deve essere riservata solo ad elaborazioni e studi di carattere specialistico che sono in grado di differenziare il “valore del servizio offerto solo a condizione che i concorrenti non ne vengano mai a conoscenza” e non anche a qualsivoglia elemento dello schema di servizio proposto.
Nel caso di specie, veniva richiesto l’accesso all'offerta tecnica dell'aggiudicatario ed alle giustificazioni prodotte per superare la verifica delle congruità dell'offerta. Nell'affrontare la richiesta di accesso, il RUP deve interagire anche con il soggetto che subisce l'istanza (presentata per apprestare il proprio ricorso o la possibilità del ricorso) e spesso si trova innanzi ad un riscontro negativo (nel senso che il soggetto chiamato non consente l'accesso agli atti evidenziando segreti commerciali, know how ecc.). Il secondo classificato richiedeva atti inerenti l'offerta tecnica integrale e la documentazione completa inerente alle giustificazioni del prezzo offerto dalla stessa e si è visto rispondere negativamente dalla stazione appaltante, sia perché non erano stati forniti i motivi di “stretta indispensabilità degli atti richiesti ai fini della propria difesa in giudizio”, sia per il fatto che “gli atti richiesti implicherebbero (…) il disvelamento di segreti tecnici e commerciali (…) e come tali non sarebbero quindi ostensibili ai sensi dell'art. 53, co. 5, lett. a), del D. Lgs. n. 50/2016”.
Con la decisione in commento, il giudice fornisce un definitivo chiarimento su cosa debba intendersi per “segreti commerciali” e il rapporto tra tali "segreti" e l'accesso difensivo in relazione alla capacità di quest'ultimo di espletare tutte le proprie implicazioni in relazione al diritto costituzionale di difesa dell'appaltatore, che ha diritto di verificare la correttezza dell'azione amministrativa (e non potrebbe farlo senza gli atti/dati richiesti).
Più nel dettaglio, il TAR rammenta un proprio recente pronunciamento in tema di “rapporto tra accesso difensivo e segreto tecnico commerciale con la recentissima sentenza n. 8858/2021 del 22 luglio 2021”. Con questa sentenza si è evidenziato che, ad eccezione del caso in cui venga in considerazione la tutela della riservatezza o di dati personali delle persone fisiche, i segreti tecnici commerciali e il diritto d'accesso cosiddetto difensivo non sono affatto “valori di eguale dignità”.
Un primo punto importante risiede proprio in questa affermazione: al netto di dati personali o di tutela della propria riservatezza – che si pongono pertanto in una posizione superiore anche rispetto al diritto di accesso – ogni altro elemento è destinato a soccombere innanzi alla prospettata esigenza di tutelare le proprie prerogative.
Nel prosieguo, il giudice affronta la questione del rango di appartenenza delle due diverse istanze: il segreto tecnico-commerciale trova infatti tutela in fonti di rango primario (art. 53, co. 6, del d.lgs. n. 50/2016 – art. 98 del Codice della proprietà industriale), “mentre il diritto di accesso c.d. "difensivo" trova riconoscimento, oltre che in norme di legge primaria o (art. 22 ss. legge n.241/90), direttamente nella Carta costituzionale (art. 24 Cost.) e trova pertanto una tutela costituzionalmente "rafforzata"”.
I due riferimenti, pertanto, non possono essere paragonati, né l'operatore economico (che subisce l'istanza di accesso) può pretendere che il RUP, quasi, supinamente, accetti l'equazione.
Inoltre, nella materia degli appalti pubblici è stato lo stesso legislatore che, nel bilanciare il diritto di accesso con quello alla riservatezza del segreto tecnico-commerciale, prevede, al co. 5, lett. a), dell'art. 53 del d.lgs. n. 50/2016, l'esclusione e il divieto di ogni forma di divulgazione delle “informazioni fornite nell'ambito dell'offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente, segreti tecnici o commerciali”. Ma ciò solamente nel caso in cui l'istanza di accesso agli atti venga presentata per interessi non "difensivi". Viceversa, prosegue il giudice, qualora il richiedente vanti un interesse "difensivo", il successivo co. 6 del citato art. 53 precisa che “In relazione all'ipotesi di cui al comma 5, lettera a), è consentito l'accesso al concorrente ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto”.
Nel caso di specie, negata l'ostensione degli atti, la stazione appaltante non ha esternato però le motivazioni, ovvero non ha verificato la "verità" delle affermazioni dell'operatore circa l'esistenza di segreti commerciali. L'operatore economico, infatti, che neghi l'accesso è tenuto anche comprovare la sussistenza di un segreto tale da paralizzare l'accesso. Non basta, in pratica, una semplice motivazione.
In questo senso, in sentenza si legge che “nel valutare la effettiva sussistenza di un segreto tecnico-commerciale” la stazione appaltante non si può discostare “dalla definizione normativa contenuta nel Codice della proprietà Industriale, di cui all'art 98 del d.lgs. 10 febbraio 2005 n. 30, che richiede, ai fini della tutela, che le informazioni aziendali e commerciali ed esperienze sulle applicazioni tecnico industriali rispondano a requisiti di segretezza e rilevanza economica e siano soggette, da parte del legittimo detentore, a misure di protezione ragionevolmente adeguate (Cons. Stato Sez. V, 07/01/2020, n. 64)”.
In pratica, nella definizione di segreti tecnici o commerciali “non può ricadere qualsiasi elemento di originalità dello schema tecnico del servizio offerto, perché è del tutto fisiologico che ogni imprenditore abbia una specifica organizzazione, propri contatti commerciali, e idee differenti da applicare alle esigenze della clientela”. Ciò non determina, in pratica, l'immediata qualificazione di detti elementi in termini di segreto tecnico o commerciale. Questa qualificazione deve essere riservata solamente a “elaborazioni e studi ulteriori, di carattere specialistico, che trovano applicazione in una serie indeterminata di appalti, e sono in grado di differenziare il valore del servizio offerto solo a condizione che i concorrenti non ne vengano mai a conoscenza (T.A.R. Campania Salerno Sez. II, 24/02/2020, n. 270)”.
Consiglio di Stato, sez. VI, sent. n. 6268/2021: danno da perdita di chance.
Il risarcimento per perdita di chance non compensa il risultato sperato ma la privazione della possibilità di conseguirlo, a tutela delle situazioni in cui non sia possibile accertare se un determinato esito vantaggioso si sarebbe o meno verificato senza l'ingerenza illecita del danneggiante.
Il Consiglio di Stato si è soffermato sulla domanda di risarcimento del danno da perdita di chance, respinta dal TAR in primo grado, in quanto l'operatore non sarebbe stato in grado di dimostrare, per il solo fatto di essere operatore di settore, di avere perduto, quale diretta conseguenza dell’atto illegittimo, un'occasione concreta di aggiudicarsi il servizio. I giudici di Palazzo Spada hanno dichiarato erronea questa statuizione, in quanto la risarcibilità della perdita di chance è stata elaborata al fine di traslare sul versante delle situazioni soggettive un problema di causalità incerta, quello cioè delle fattispecie in cui non sia possibile accertare se un determinato esito vantaggioso si sarebbe, o meno, verificato senza l'ingerenza illecita della PA. La lesione della chance viene, quindi, invocata per riconoscere una tutela alle aspettative andate deluse a seguito di un provvedimento illegittimo, a protezione dell'interesse alla possibilità di conseguire il bene finale.
La chance, dunque, prospetta un'ipotesi di danno solo ipotetico, in cui non si può oggettivamente sapere se un risultato vantaggioso si sarebbe verificato, né è possibile computarne la correlazione con la condotta illegittima dell'amministrazione. Talché, rappresenta una figura che non può essere confusa con la causalità civile ordinaria, correlata al risultato sperato: se il verificarsi dell'evento finale può essere empiricamente riscontrato, allora non ricorrono i presupposti per l'operatività della chance. Poiché, l'esigenza è quella di riconoscere all'interessato il controvalore della mera possibilità di vedersi aggiudicato un determinato vantaggio, è sufficiente accertare il nesso causale tra la condotta antigiuridica e l'evento lesivo consistente nella perdita della predetta possibilità. Con l'avvertenza che il risarcimento è pur sempre compensativo non del risultato sperato ma della privazione della possibilità di conseguirlo.
L'ulteriore avvertenza del Consiglio di Stato è che, al fine di non incorrere in una forma inammissibile di responsabilità senza danno, è necessario che la chance perduta sia "seria", per cui, da un lato, va verificato con estremo rigore che la perdita della possibilità di risultato utile sia effettivamente imputabile alla condotta contraria al diritto, dall'altro, che la possibilità di realizzazione del risultato rientri nel contenuto protettivo delle norme violate.
Nel caso di specie, la scelta dell'amministrazione di prorogare per la terza volta le concessioni in essere ha, senza dubbio, prevaricato le chance acquisitive dell'operatore ricorrente, che appaiono ai giudici dotate del carattere della "serietà", in quanto aveva, in più occasioni, manifestato la propria disponibilità a subentrare nella gestione del servizio. Al fine della liquidazione, tenuto conto della limitata durata della proroga e presumendo che l'impresa abbia riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori, il danno viene liquidato in misura non superiore al 10% dell'utile astrattamente ritraibile dall'affidamento.