Aggiornamento giurisprudenziale, n. Maggio.
Corte UE, sez. IX, ord. n. 552/18 del 20/11/2019: in pendenza di giudizio, l’amministrazione può escludere l’impresa ritenuta precedentemente inaffidabile.
Ricorrere al giudice per contestare la risoluzione di un contratto per inadempimento non garantisce un salvacondotto per la partecipazione alle gare d'appalto. Anche in attesa che il giudice civile si pronunci in favore della stazione appaltante o dell'impresa, le amministrazioni che indicono nuove gare d'appalto possono sempre escludere il concorrente giudicandolo inaffidabile.
A ribadire il principio è la Corte di Giustizia europea con l'ordinanza n. 552/18.
Nella pronuncia, i giudici europei contestano che una norma nazionale possa impedire alla PA di escludere un'impresa protagonista di una risoluzione contrattuale per il solo fatto che quella risoluzione sia oggetto di un ricorso su cui deve pronunciarsi un giudice. Per la Corte UE, anche in attesa del giudizio, la PA deve sempre poter esprimere una valutazione propria e motivata sull'affidabilità dell'operatore coinvolto nella vicenda.
La pronuncia prende le mosse da una versione del codice appalti (art. 80, co. 5, lett. c)) che permetteva l'esclusione di un concorrente incappato in una vicenda di risoluzione anticipata del contratto solo se quella risoluzione risultava “non contestata in giudizio, ovvero confermata all'esito di un giudizio”. Da qui la censura dei giudici UE che ricordano come le regole europee (art. 57, par. 4, della direttiva 2014/24 ) affidano “all'amministrazione aggiudicatrice, e ad essa sola, e non ad un giudice nazionale, il compito di valutare, nella fase della selezione degli offerenti, se un candidato o un offerente debba essere escluso da una procedura di aggiudicazione di appalto”.
Va evidenziato, però, che, medio tempore, anche a causa di altre vicende simili contestate dalla Corte Europea, le norme italiane sono state adeguate alle indicazioni europee. Nell'art. 80 non trova più spazio l'inciso che limitava il raggio di azione delle stazioni appaltanti in questi casi e, al co. 10-bis dello stesso articolo, è stata aggiunta una clausola che stabilisce che nell'attesa di definizione del giudizio spetta alla stazione appaltante valutare la sussistenza dei presupposti per l'esclusione dell'impresa dalla gara.
TAR Lazio, sez. I, sent. n. 4183/2020: è legittimo porre una percentuale massima ai subappalti.
Come è noto, su questo tema il Codice italiano si discosta dalla direttiva comunitaria, la quale non prevede limiti al subappalto. Proprio per questo, la Corte di Giustizia ha censurato la norma italiana in quanto non conforme ai principi UE.
Se la controversia giudicata dal TAR Lazio avrà un seguito, sarà interessante capire se anche il Consiglio di Stato la penserà come il TAR, oppure se si terrà più aderente alle norme comunitarie.
La sentenza è rilevante, prima di tutto, perché esplicitamente riconosce che il ricorso al lavoro autonomo è configurabile come subappalto. Pur se consentito, il ricorso al lavoro autonomo è, quindi, subordinato all'individuazione specifica del contenuto delle attività da svolgere e può riguardare solo attività accessorie o strumentali e non l'attività oggetto dell'appalto.
Il secondo motivo di rilevanza della pronuncia attiene al tema delicato della lotta alle infiltrazioni criminali. Citando il dispositivo, “il contrasto al fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici costituisce un obiettivo legittimo, che può giustificare una restrizione alle norme fondamentali e ai principi generali del Trattato FUE che si applicano nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici”.
Cons. Stat., sez. V, sent. n. 2260/2020: l'intesa anticoncorrenziale in una gara precedente legittima l'esclusione.
L'intesa anticoncorrenziale finalizzata ad alterare a proprio favore l'esito di una precedente procedura di gara rientra nella nozione di "errore grave nell'esercizio dell'attività professionale" che legittima l'esclusione del concorrente dalla gara pubblica.
E' il principio ribadito dal Consiglio di Stato con la sentenza in commento.
L'art. 80, lett c), del Codice degli Appalti, infatti, consente espressamente alle stazioni appaltanti di escludere dalla gara il concorrente colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità e l'art. 45, par. 2, lett. d), della direttiva 2004/18/CE, nella versione in italiano, prevede che "Può essere escluso dalla partecipazione all'appalto ogni operatore economico: […] d) che, nell'esercizio della propria attività professionale, abbia commesso un errore grave, accertato con qualsiasi mezzo di prova dall'amministrazione aggiudicatrice".
Nell'impianto delineato dalla disciplina nazionale ed europea degli appalti, l'esclusione dalla gara si fonda sulla necessità di garantire l'elemento fiduciario nei rapporti contrattuali della pubblica amministrazione fin dal momento genetico. Non si tratta, pertanto, di una sanzione per inadempimento di pregressi rapporti contrattuali, ma piuttosto di una misura selettiva preventiva sulla scelta del contrante per il contratto in formazione, per garantire alla pubblica amministrazione l'affidabilità del potenziale contraente fin dal loro contatto.
Di conseguenza, il concetto normativo di “errore professionale” comprende una vasta gamma di "gravi mancanze", "cattive condotte", scorrettezze nell'adempimento dei doveri scaturenti dagli impegni nella propria attività economica che incida sulla credibilità professionale, integrità o affidabilità dell'operatore economico, e si sostanzia in un “comportamento dell’operatore economico in questione che denoti un’intenzione dolosa o un atteggiamento colposo di una certa gravità”.
In ragione di ciò, non v'è dubbio che "la commissione di un'infrazione alle norme in materia di concorrenza, in particolare, sanzionata con un'ammenda, costituisce una causa di esclusione rientrante nell'articolo 45, paragrafo 2, primo comma, lettera d) della direttiva 2004/18".(Corte giustizia UE 4 giugno 2019, causa 425/18, Generali-Providencia Biztosft 6, C-470/13)".
La stazione appaltante deve, pertanto, ritenersi legittimata ad escludere il concorrente resosi protagonista di condotte che, al di là della rilevanza penale, appaiono ispirate al tentativo di influenzare, in una prospettiva propriamente anticoncorrenziale, il processo decisionale della stazione appaltante.
Per accertare il “grave errore professionale” il committente può prendere in esame “qualsiasi mezzo di prova”: non è necessario, dunque, fare riferimento ai soli provvedimenti inoppugnabili o confermati da sentenze passate in giudicato, ma basta che l'illecito anticoncorrenziale sia stato accertato e sanzionato dall'autorità nazionale garante della concorrenza con "provvedimento confermato da un organo giurisdizionale".
Ciò posto, l'esclusione da una procedura di gara non consegue automaticamente ad una decisione di un'autorità nazionale garante della concorrenza che abbia accertato la violazione delle norme in materia di concorrenza, ma deriva da una "valutazione specifica e concreta del comportamento dell'operatore economico interessato" da parte della stazione appaltante, in conformità al principio di proporzionalità. L'onere di motivazione riguarda anche la decisione di "salvare" il concorrente: in questo caso, infatti, la stazione appaltante ha il dovere di motivare adeguatamente le ragioni per le quali, pur a fronte di un'intesa anticoncorrenziale accertata e presupposta da un atto sanzionatorio dell'Autorità, ritenga comunque affidabile l'operatore economico e dunque lo ammetta alla procedura.
La motivazione della scelta in ordine alla sorte del concorrente implica l'illustrazione delle ragioni che hanno determinato il giudizio sull'affidabilità del concorrente. Così, in caso di esclusione dalla procedura è sufficiente una motivata valutazione dell'amministrazione in ordine alla "grave negligenza o malafede" del concorrente, che abbia fatto ragionevolmente venir meno la fiducia nell'impresa, facendo riferimento non soltanto, in senso soggettivo, ai comportamenti propriamente sorretti da atteggiamento doloso, ma anche, in senso oggettivo, alle condotte complessivamente contrastanti con il canone generale di correttezza nella vita di relazione, qualificato dalla particolare dimensione di moralità e di professionalità che si impone a carico dei soggetti che aspirino, in prospettiva concorrenziale, all'aggiudicazione di commesse pubbliche.